«La rielezione di Trump è una crisi per la conservazione. Abbiamo urgente bisogno del vostro supporto per prepararci alla lotta che ci attende e proteggere paesaggi vitali come l’Arctic National Wildlife Refuge dai suoi devastanti attacchi distruttivi.»
di Franco Zunino*
Parole recenti della Wilderness Society, la storica associazione fondata da Robert “Bob” Marshall col contributo di tanti altri leader dell’allora (1936) nascente movimento in difesa degli stati di wilderness americani, tra i quali Aldo Leopold il cacciatore-conservazionista poi massimo ecologo riconosciuto di livello mondiale.
Alla fine l’America degli US ha nuovamente voluto mandare al potere Trump. Lo ha fatto in maniera democratica, così come democraticamente lo aveva cacciato. E quindi la scelta va accettata, perché è proprio accettandola che si dimostra l’esistenza di un pensiero libero e democratico (come lo stesso Trump non ha saputo fare quando fu sconfitto al di là di ogni ragionevole dubbio!). Solo il futuro ci dirà se la scelta popolare americana di oggi è stata quella giusta. E fortunatamente la storia di quel paese ci ha insegnato come quel popolo sappia rimediare alle scelta quanto scopre di aver sbagliato (le famose alternanze tra democratici e repubblicani che hanno reso grande l’America – che invece da noi sono sempre state rese difficili a causa di pensieri politici troppo disparati e troppo distanti, dove hanno sempre influito gli estremismi).
Di Trump noi ambientalisti e, soprattutto, conservazionisti, non possiamo certamente fidarci perché ci ha aveva già dimostrato come la pensa nei suoi primi quattro anni di presidenza (con molti guai e disastri ambientali fortunatamente poi in parte rimediati da Biden). Né possiamo fidarci degli Yes men dei quali Trump si sta circondando: perché scelti sulla basse della fedeltà o meno alla sua persona – caratteristica, purtroppo, tipica dei dittatori o aspiranti tali – anziché sulla capacità ed esperienza dei campi di cui si devono occupare (memore la figuraccia che fece il Presidente Regan quando nominò James G. Watt al Ministero che si occupa delle aree protette, poi costretto a rimuoverlo dopo la “rivolta” popolare che lo aveva definito la volpe messa alla guardia dei pollai!). Scelte, peraltro, fatte nonostante discutibili curriculum moral-giudiziari; almeno secondo quanto i media di questi giorni hanno riportato. Ultima quella di Doug Burgum, come Watt a suo tempo, nominato al Ministero dell’Ambiente nonostante i suoi trascorsi di “amico” dei petrolieri: in pratica, ancora una volta la volpe messa a guardia dei pollai! Non resta che sperare, se la nomina sarà confermata, che la nuova “volpe” finisca poi per fare la fine della vecchia!
Ci conforta il fatto che difficilmente Trump potrà poi proseguire per altri quattro anni. Così come ci conforta il fatto che in entrambe le Camere del Congresso (il nostro Parlamento) la sua maggioranza sia risicata (cosa che rappresenta una garanzie per frenare gli eventuali disastri e per non impedire del tutto i provvedimenti di salvaguardia che pendono al Congresso). E ci conforta anche il sapere che la maggioranza degli americani, almeno sulla base dei loro rappresentanti al Parlamento, in campo conservazionistico (tutela della natura selvaggia) è a favore della conservazione, a prescindere se essi siano democratici o repubblicani. Per cui il businessman Trump non dovrebbe avere gioco facile nello smantellare Parchi Nazionali, Rifugi Faunistici, Aree Wilderness e altre forme di aree protette federali. Al massimo potrà mettere un freno alla costituzione di nuove aree protette, e magari favorire lo svilimento di alcune esistenti; ma in quattro anni non dovrebbe poter fare troppi danni visti i pesi e contrappesi del sistema giudiziario americano.
Infatti, non ci si dimentichi che in America il potere politico è sufficientemente controllato dal sistema giudiziario, disgiunto da quello politico assai più di quanto non lo sia da noi, e, quindi, garante della democrazia e del rispetto delle regole democratiche.
D’altronde, non ci si dimentichi che lo storico Wilderness Act fu approvato a grandissima maggioranza da entrambi i rami del Congresso, con 374 voti a 1 alla Camera dei Deputati e 73 voti a 12 in quella dei Senatori. Prova della condivisione popolare della legge e della sua democraticità e di come la difesa dei territori selvaggi fosse sentita in maniera trasversale da democratici e repubblicani. Oggi Trump fortunatamente ha dalla sua parte una maggioranza non propriamente eccessiva sia alla Camera (218 a 208 – ma 9 devono ancora essere assegnati) sia al Senato (53 a 47). E fortunatamente negli USA nessuno giudica franchi tiratori gli eventuali repubblicani che decidessero di votare con i democratici in difesa della wilderness e delle aree protette; né, per questo, in quel paese qualcuno grida allo scandalo, proprio per quella “scarsa” distanza ideologica tra democratici e repubblicani.
Tornando alla storia. In quanto difensori della wilderness si sappia che almeno nel caso della natura selvaggia, strenui suoi difensori non sono stati pochi i repubblicani: tra i maggiori, veri miti ancora oggi del movimento per la sua difesa, ci sono stati personaggi quali il Presidente Theodore Roosevelt e il conservazionista e scrittore Sigurd F. Olson. Personaggi che oggi, come hanno fatto o dichiarato molti repubblicani, non avrebbero mai votato un business man, un tycoon, un arricchito miliardario come Trump, proprio per il suo totale disinteresse verso la bellezza della natura selvaggia da lui vista solo come luoghi o merce da sfruttare affinché rendano danaro ad ogni costo, magari per consentire a tanti di edificarsi magioni come la sua Mar-a-Lago!
Questa dell’AIW (e del movimento per la Wilderness americano) non è, quindi, una posizione contro i Repubblicani, bensì contro Trump come uomo e cittadino e contro i “trumpisti” che lo assecondano; perché è la sua idea di società che rischia di snaturare l’America dei suoi valori più veri, quelli che la hanno resa famosa nel mondo, e per i quali in tanti si recano a visitarla: il resto del mondo, infatti, non va in America per vedere i campi di petrolio che Trump vuole aprire in Alaska, o gli “stump” di ciò che resta delle foreste boreali che Trump vuole abbattere per favorire l’industria del legname, o le lande scarnificate delle contrade del Wyoming, del New Mexico o dello Utah che Trump vuole aprire alle prospezioni petrolifere, gassose e al fracking, o il rosseggiare dei laghi, fiumi e paludi inquinate dall’apertura di miniere di rame, titanio e zinco che Trump vuole favorire nel Minnesota e nella Georgia.
Ecco, la speranza è che proprio i conservazionisti repubblicani gli impediscano di fare tutto questo!
Quindi, parlando agli americani che difendono la wilderness, esortandoli (ma non ce né certo bisogno visto che si sono già attivati!):
Fight! Fight! Fight! For to Save the AmericaLn Wilderness!
Franco Zunino
(Segretario Generale AIW)