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Le ‘bombe di Savona’. La sorte della rete Consigli di Quartiere che ha vita breve


Le bombe di Savona e il “novembre di sangue” del 1974. Si può dire che a Savona nasce il clima di unità sociale che porterà a sconfiggere il terrorismo?

di Ezio Marinoni

In cinquantesimo anniversario dei tragici eventi savonesi è già stato ricordato da Trucioli il marzo 2024 (Anno XII N. 31): https://trucioli.it/2024/03/14/savona-50-anni-anni-dopo-le-bombe-louting-del-misterioso-confidente-di-taviani-testimonianze-video-e-foto/

Massimo Macciò (1), insegnante e studioso che non hai mai rinunciato a ricercare quella verità, ne aveva già scritto il 24 dicembre 2015 (N. 60), lanciando uno scoop: https://trucioli.it/2015/12/30/ultima-ora-savona-sotterranea-e-le-bombe-un-foglio-misterioso-rivela-mitomania/

Riprendiamo, quindi, l’argomento, in occasione del ricorrere del “novembre di sangue savonese” del 1974, allo scopo di riassumere i fatti, che provocano la morte di una donna, Fanny Dallari, e decine di feriti.

Tra l’aprile del 1974 e il maggio del 1975 a Savona vengono fatte esplodere 12 bombe: gli attentati sono puntualmente rivendicati da organizzazioni neofasciste, ma i responsabili non saranno mai individuati e tutta la vicenda rimane un buco nero nella storia della città, uno dei tanti misteri italiani nella strategia eversiva neofascista,

Tutto inizia la sera del 30 aprile del 1974, quando una bomba al plastico esplode nel centro di Savona, a poche decine di metri da un cinema che sta proiettando il film di Carlo Lizzani Mussolini: Ultimo atto. L’ordigno è posizionato in via Paleocapa 11, all’ingresso di un palazzo in cui abita il senatore della Democrazia Cristiana Franco Varaldo; è da segnalare che manca poco meno di un mese prima alla strage di piazza della Loggia di Brescia del 28 maggio 1974, in cui muoiono otto persone.

Il 3 maggio la redazione del Secolo XIX riceve una lettera in cui Ordine Nero, l’organizzazione neofascista nata nel novembre del 1973 dopo lo scioglimento di Ordine Nuovo, rivendica l’attentato. Diverse inchieste ipotizzeranno che gli attentati siano stati pianificati da organizzazioni neofasciste nell’ambito di quella che la storia ha chiamato “strategia della tensione“, che punta a diffondere paura e incertezza nella società italiana, al fine di favorire una svolta autoritaria nel Paese (già tentata con il Golpe Borghese del 1970) ed evitare il radicarsi di tendenze progressiste.

Quello del 30 aprile è il primo di una serie di 12 attentati dinamitardi organizzati a Savona tra l’aprile 1974 e il maggio 1975: tutti compiuti in una zona geografica circoscritta, fra Savona e Comuni limitrofi; i giornali dell’epoca definiscono gli attentati “Bombe di Savona”.

La seconda bomba esplode il 9 agosto nella centrale Enel di Vado Ligure; gli attentati si intensificano tra il 9 e il 23 novembre, quando vengono fatte esplodere sette bombe in diversi punti di Savona: tra essi, il Palazzo della Provincia, la scuola media inferiore “G. Guidobono”, una casa in via dello Sperone 1, un tratto della linea ferroviaria Torino-Savona, un tratto della medesima autostrada e la stazione dei Carabinieri di Varazze.

Il fatto più grave si verifica nel pomeriggio del 20 novembre 1974: la deflagrazione di una bomba posizionata nel palazzo di via Giacchero 20 provoca la morte della signora Fanny Dallari (82 anni, avvenuta il giorno seguente) e di Virgilio Gambolati (71 anni, muore tre mesi più tardi a causa delle ferite riportate). È il picco più alto di tensione politica vissuto dalla città di Savona dal dopoguerra.

Gli attentati colgono di sorpresa la popolazione e il quadro politico locale, dominato dal P.C.I., con una attività sociale e sindacale che si attesta su posizioni moderate.

Il 25 novembre, infine, vengono ritrovati tre candelotti di dinamite inesplosi sulla piazza principale di Varazze.

Dopo il «novembre di sangue», per più di tre mesi non si verificano attentati e la Polizia allenta pattugliamenti e sorveglianza.

Agli attentati di novembre seguiranno ancora due esplosioni in febbraio, contro un edificio vicino alla Prefettura e contro un traliccio dell’Enel. Gli ultimi sussulti avvengono nella primavera successiva, con il ritrovamento di ingenti quantità di esplosivo e la deflagrazione di un ordigno sulle alture di Savona.

Ordine Nero – organizzazione neofascista di matrice terroristica nata dalle ceneri di Ordine Nuovo – rivendica la paternità di alcune azioni. La stampa dell’epoca azzarda l’ipotesi che Savona rappresenti un laboratorio di azione terroristica per testare la reazione della popolazione in vista di un futuro colpo di Stato, inscrivendo il fenomeno nell’ambito della strategia della tensione.

Nonostante il bilancio di dodici attentati, due morti e una ventina di feriti nessuna inchiesta porta a risultati e polizia e magistratura non individuano nessun colpevole.

Novembre è il mese di più alta tensione, il susseguirsi e la costanza degli attentati provocano la reazione della popolazione. Si assiste a una mobilitazione spontanea dal basso, che si diffonde sul territorio cittadino per cercare di prevenire altri attentati; prende forma un movimento che trova nei Consigli di Quartiere feconde strutture attraverso le quali tradurre l’iniziale spontaneismo in una vigilanza civile autogestita.

L’allora presidente del Consiglio di Quartiere di Zinola, all’indomani degli attentati del novembre ’74, ricorda così i primi passi della mobilitazione: «Nei giorni seguenti il lavoro organizzato prese una fisionomia ben definita. Si stilò un elenco di persone disponibili che ingrossava giornalmente in funzione della crescita della tensione alimentata dalle ulteriori esplosioni. Si formarono squadre di quattro persone con turni di quattro ore, e si estese il servizio di vigilanza a tutto il quartiere» (2)

Il presidio costante, organizzato “dal basso”, va avanti nei quartieri savonesi per tutto il mese di dicembre, con una flessione a gennaio, per poi rivitalizzarsi all’indomani della ripresa degli attentati in febbraio. In alcuni Consigli di quartiere, come a Savona Ponente, i volontari vengono muniti di tesserino identificativo e i presidi del territorio sono organizzati meticolosamente. Tutti i portoni, sia di giorno che di notte, devono rimanere chiusi.

I muri di cinta della Chevron, nei cui serbatoi sono depositati milioni di litri di carburante, vengono anch’essi sorvegliati. Si controllano le strade, i veicoli che sembrano sospetti vengono segnalati alle forze dell’ordine. Ognuno “vigilante” porta in tasca un tesserino di riconoscimento, con le sue generalità e il numero della carta di identità.

Le tessere intestate al Quartiere di Savona Ponente sono rilasciate dal Comitato Unitario Antifascista. Al braccio di ciascuno è legata una fascia rossa, con su scritto, a pennarello nero, “Consiglio di Quartiere – Savona Ponente”.

In un primo momento, le forze istituzionali cavalcano l’onda del movimento. L’indirizzo del P.S.I. ai suoi militanti è di «partecipare e promuovere quelle azioni di mobilitazione democratica che stavano sorgendo soprattutto per iniziative degli organismi di base quali Consigli di quartiere, società di mutuo soccorso, sezioni dell’ANPI, sindacati, ecc».

La sintesi istituzionale del movimento prende forma con la nascita del Comitato Unitario Antifascista Provinciale – presieduto dal senatore comunista, ex comandante partigiano e Presidente dell’A.N.P.I. provinciale Giovanni Urbani (3) – a cui aderiscono ANPI, FIVL, P.C.I, DC, P.S.I., P.S.D.I., P.R.I. e, in un secondo momento, anche il P.L.I. Nasce un fronte politico unito che appoggia la mobilitazione popolare.

A questo proposito, si legge nel documento redatto e inviato da Umberto Scardaoni (4), Segretario del P.C.I. savonese, alla Direzione Nazionale del partito: «non si sono avute apprezzabili deviazioni settarie. I TENTATIVI in questo senso dei gruppi extraparlamentari sono stati presto battuti. Questi gruppi – nella sostanza e salvo alcune “sbavature” – sono stati costretti a seguire nel complesso la linea unitaria»

Si muove in questa direzione anche il sindacato, che partecipa da diversi anni al dibattito sulla democratizzazione della Polizia, sviluppatosi fuori e all’interno del corpo. Nelle testimonianze dell’allora presidente della Cgil di Savona Santo Imovigli (5) e di Romano Promutico, agente in servizio nei primi Anni Settanta a Savona, emerge il clima di dialogo creatosi. È singolare rilevare che proprio per il 25 febbraio 1975, data che segna la ripresa degli attentati dinamitardi in città, la Federazione provinciale Cgil-Cisl-Uil organizzi un’assemblea pubblica in Comune «per dibattere il tema della costituzione nel nostro Paese del sindacato dei dipendenti della polizia».

Tali presupposti spianano la strada a una collaborazione tra partiti e sindacati da una parte e forze di polizia dall’altra. A Savona il movimento popolare fraternizza con le forze dell’ordine e presidia insieme a loro il territorio cittadino: non è proprio un leitmotiv negli Anni Settanta!

In conclusione, la rete dei Consigli di Quartiere ha vita breve, rapidamente istituzionalizzata con una legge nazionale (6): la vitalità del movimento, di fatto, viene anestetizzata dalla burocrazia che ne impedirà crescita e sviluppo popolare, imbrigliandola nella macchina organizzativa.

Ezio Marinoni

Note

1. Massimo Macciò, Una storia di paese: Le bombe di Savona 1974 – ’75; Le bombe di Savona: chi c’era racconta, Savona, 2007 (libro intervista).

2. Simone Lallaro, BOMBE A PONENTE SAVONA 1974-1975, https://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2015/08/Zap32-10_Schegge-3.pdf

3.Giovanni Battista Urbani (Venezia, 3 novembre 1923 – Savona, 2 settembre 2018), Sindaco di Savona dal 1957 al 1958 e più volte consigliere provinciale. Successivamente è stato senatore della Repubblica per quattro legislature nelle file del Partito Comunista Italiano, dal 1972 al 1987.

4.Umberto Scardaoni (Savona, 19 ottobre 1932 – Savona, 28 marzo 2016). Membro del P.C.I, segretario della FGCI di Savona negli Anni Cinquanta, quindi assessore comunale a Savona. Dal 1970 al 1980 è segretario della Federazione del P.C.I di Savona. In seguito alle elezioni amministrative del 1980 diventa vicesindaco di Savona, di cui diventa Sindaco nel 1982, incarico nel quale viene riconfermato alle elezioni amministrative del 1985.Nel 1987 lascia la guida dell’amministrazione comunale, per essere stato eletto al Senato della Repubblica. Nel 1992 conclude il mandato parlamentare, senza iscriversi al P.D.S. Negli ultimi anni è stato Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Savona.

5.Santo Imovigli è deceduto nel 2021, cfr.: https://www.savonanews.it/2021/05/04/leggi-notizia/argomenti/al-direttore-3/articolo/scomparsa-di-santo-imovigli-il-ricordo-commosso-di-franco-zunino.html

6.Cfr. Legge n. 278 dell’8 aprile 1976, «Norme sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nella amministrazione del comune».

ALLEGATI A CURA DI TRUCIOLI.IT

ARTICOLO DEL SECOLO XIX-SAVONA DEL 9 NOVEMBRE 2024

NEL TESTO SI CITANO I NOMI DI DUE SAVONESI TRA I PRESUNTI AUTORI


ANCHE SAVONA NEWS HA CITATO NELL’ARTICOLO I DUE NOME ‘RIVELATI’ DA MAURIZIO PICOZZI

Da ricerca su internet- DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 18.06.2002 N. 90 L.r. 18/1996: ‘‘Commissione per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate’’ della Provincia di Savona….Un rappresentante dell’Amministrazione Provinciale di Savona: • rag. Pollero Giuliano – Domiciliato in Savona –  o altro delegato….
in sua assenza…;


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