Una breve nota riguardante il convegno svoltosi a Savona l”8-9 novembre.
di Franco Astengo
Convegno organizzato dall’ISREC di Savona, con il patrocinio del Comune di Savona e la Provincia e la partecipazione del Comitato Cittadino della Resistenza Antifascista di Savona, ANPI, FIVL, ANED, CGIL, CISL, UIL di Savona, Associazione Cento Fiori e Società Campanassa per ricordare i 50 anni dalla drammatica fase di attentati che tra la primavera del 1974 e quella del 1975 avevano colpito la nostra Città.
Nel corso del Convegno si è molto discusso della figura del senatore Paolo Emilio Taviani, sia nella parte dell’incontro dedicato specificatamente ai fatti savonesi, sia nel corso del panel successivo dedicato al quadro nazionale e internazionale della fase montante del terrorismo stragista di destra.
Il riferimento di questa nota redatta “oltre il convegno” riguarda l’andamento di una audizione svolta dal senatore Taviani alla Commissione Stragi nel 1997.
In quella sede Taviani accennò anche all’eventuale coinvolgimento nell’attentato di un colonnello dei Carabinieri o di un ipotetico ufficiale del SID.
Interessanti anche altri tre punti dell’esposizione di Taviani:
1) Soltanto il terrorismo di destra poteva portare un futuro un golpe (smentendo quindi la teoria dell’equivalenza tra gli “opposti estremismi”). Taviani proclama anche l’estraneità dell’MSI dagli attentati: questo è un punto sul quale mi permetto di dubitare mentre nel corso del convegno illustri storici come Miguel Gotor hanno palesato l’ipotesi che l’abbandono della teoria degli “opposti estremismi” elaborata dalla DC sia costato a Taviani un futuro dei ruoli di governo;
2) La presenza di agenti del KGB in Italia era destinata esclusivamente a vigilare sul PCI perché non diventasse mai un partito di governo;
3) Se si fosse detto subito, come era sua intenzione, che la strage di Milano era di destra (anziché perseguire la pista anarchica) si sarebbe lasciato meno spazio alla capacità del terrorismo rosso di attrarre giovani. Se si fosse detto che quella strage era di destra, probabilmente non si sarebbe arrivati né alle stragi dei treni, ma soprattutto non si sarebbe arrivati al delitto Moro.
Ci troviamo quindi al nodo di fondo della vicenda politica italiana, il rapimento Moro, la sua uccisione, il peso della divisione tra fermezza e trattativa.
Una divisione quella tra fermezza e trattativa ancora non sufficientemente esplorata e che, invece, è stata alla base della crisi del sistema dei partiti, poi crollato per altre ragioni (Tangentopoli, caduta del Muro di Berlino, trattato di Maastricht).
Non è questo però il punto di fondo che intendevo sollevare alla vostra attenzione.
Bensì intendo riferirmi a un aspetto dell’analisi sviluppata in quella sede dal “Comandante Pittaluga” (nome di battaglia di Taviani nella Resistenza) che mi ha fatto pensare (e ripensare, in tutta onestà intellettuale) alle “Bombe di Savona” sulle cui scaturigini ed esiti il convegno si è soffermato nel tentativo di fornire un contributo ad una verità storica che rimane comunque da accertare.
Nel 1996 gli atti della vicenda furono portati in Commissione Stragi da Michele Del Gaudio che ne era componente (chi scrive ricopriva l’incarico di responsabile della segreteria parlamentare) ma la caduta della legislatura portò al definitivo arresto delle indagini in quella sede.
Nella citata audizione del 1997 Taviani espresse ai membri della Commissione l’ipotesi che gli attentatori di Piazza della Fontana non intendessero compiere una strage: a suo giudizio, infatti, essi agirono nella convinzione che in quel tardo pomeriggio la banca fosse chiusa.
A sostegno della sua tesi Taviani compì un parallelo con l’esito degli attentati avvenuti nello stesso giorno a Roma in via Veneto, in piazza Venezia, al Museo del Risorgimento che causarono feriti ma non uccisero nessuno.
Questo particolare mi ha riportato alla mente la scansione temporale delle “Bombe di Savona” che tutti noi ricordiamo verificatasi tra l’aprile del 1974 e il maggio del 1975 laddove può essere rintracciata una evidente analogia nella continuità dell’idea di provocare esplosioni in modo tale da suscitare tensione sociale ma senza causare eccessivi danni alle persone.
Rimango convinto della circoscritta natura “locale” degli episodi savonesi e di una possibile natura da “processo imitatori” ma un punto di ulteriore riflessione andrebbe compiuto sull’esistenza di uno “schema” di destra nella ricerca di momenti di provocazione.
Poi il tipo di reazione dell’opinione pubblica savonese, o meglio delle forze politiche e dei sindacati, è probabile che gli attentatori non l’avessero messa in conto, dato e non concesso che gli stessi fossero pienamente coscienti dell’importanza e della gravità dei loro gesti.
Franco Astengo