Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

La critica d’arte ieri, oggi, domani


Insieme a Rosalba Falzone, artista eclettica e docente di storia dell’Arte, abbiamo svolto alcune considerazioni a proposito della critica d’arte e del problema delle attribuzioni oggi.

di Sergio Bevilacqua

Rosalba Falzone

Il metodo sociatrico organalitico applicato all’arte non sostituisce le tecniche di valutazione ben note e i relativi processi nei vari campi specialistici, ma giustappone un ulteriore criterio di garanzia assoluta, ovvero relativa in caso di dubbio, basato sul raccordo necessario tra composizione semiologica dell’opera e sistema dell’Arte.

Tra gli elementi originali, c’è il principio di semiologia evolutiva, che rivede in termini non-solo-storici (la correntezza) il principio di significazione, data l’estrema turbolenza del periodo in corso, con il proliferare di tecniche di riproduzione sempre più perfette.

La sociatria organalitica di un caso d’opera d’arte studia le sue specifiche relazioni interne al sistema dell’arte: in estrema sintesi, cioè, dove è nata, chi l’ha veicolata, chi, quanti e dove l’hanno vista, chi ne ha scritto o parlato e come essa si presenta semiologicamente.

Le attribuzioni storiche hanno moltissimi versanti. Ricordo il caso di un’attribuzione a Caravaggio, con decine di periti di merito, a volte più di uno per ogni gamma di segni presenti sulla tela (acconciatura, abbigliamento, oggetti raffigurati, ecc.). Nelle epoche antiche (direi fino a metà ‘800) era normale la produzione di copie e tra il XV e il XVII era un’attività simile a quella della produzione industriale di piccola serie in tanti settori manifatturieri.

Se invece manca o è poco documentata la storia dell’opera, tipo appunto il famoso caso accaduto nel 1984 a Livorno cosiddetto delle “Teste di Modigliani”, sculture rinvenute in un canale non lontano dalla casa natale del grande artista attribuitegli da alcuni, o anche altre opere che spuntano dopo secoli nell’ombra, mancando “una gamba” alla valutazione (la storia dell’opera nel sistema dell’arte) un critico competente od onesto si dovrebbe astenere. Ne è risultata una gran bella presa in giro verso critici d’arte e storici d’arte che non hanno mai usato scalpello e pennello.

Chi fa, sa” era una delle posizioni di alcune correnti di avanguardia in quei primi anni ‘80 riguardo alla critica d’arte: il ruolo del critico come storico dell’arte o studioso di estetica era misconosciuto, e ciò valeva anche sul tema delle attribuzioni. L’obiezione, che in parte formuliamo anche noi oggi,  è che senza serio intervento socio-artistico, i fenomeni mediatici indotti da critici d’arte (o altri opinion leader in altri campi) creano fatti commerciali e a volte anche scientifici incontrollabili, in particolare se ribattuti, com’è inevitabile, dalla ipermediatizzazione. Non è invece infrequente che esperti d’arte si espongano spregiudicatamente in casi di loro interesse materiale, soprattutto dove la loro competenza specialistica e fama è sufficiente a valorizzare l’opera. Il metodo sociatrico organalitico mette al riparo da questi limiti scientifici e deontologici.

Il “fare” però è anche “clinica” e può esserci anche in un critico che non abbia vissuto di biblioteca soltanto. Può poi pure capitare che un buon conoscitore possa dare un ottimo consiglio, ma tale consiglio è garantito solo se a darlo è un professionista. E la discussione diviene quindi quali siano i professionisti giusti…

Chi fa il critico o lo storico dell’arte, ma non conosce le tecniche artistiche, l’anatomia, la prospettiva, la teoria delle ombre, non ha mai fatto lo studio del colore e non si è mai cimentato nel realizzare una scultura o un dipinto, avrà difficoltà a capire l’arte.

Se poi ci riferiamo, in particolare, a Modigliani, che aveva uno stile semplice e stilizzato, è ancora più facile che venga copiato e che le falsificazioni non vengano individuate. È peraltro anche vero che la conoscenza utile non si ottiene solo col fare diciamo così poietico. Si ottiene anche con la clinica dell’Arte, che è Art advising e intervento concreto sull’attività dell’artista e sul suo inserimento nel sistema dell’arte. Ciò che chiamo appunto Sociatria Organalitica dell’Arte, che può includere anche altre qualità personali, in buona parte derivate dall’esperienza, come l’occhio critico del buon osservatore.

Ad esempio, consideriamo il senso dell’attributo “leonardesco” destinato a un’opera: quanto quell’opera interviene sul concetto di “leonardesco”? Se l’effetto è marginale, il problema è solo relativo a un’opera. Quindi prevalentemente collezionistico (nelle varie forme private o pubbliche) o patrimoniale. Se invece l’importanza è tale da cambiare almeno un poco il senso generale della parola, cioè del suo referente, allora siamo di fronte a un problema scientifico. Ma non c’è valida coscienza critica senza rapporto col Reale, che è anche manifattura e, se non la si esegue, occorre averla vista e studiata.

Roberto Longhi

Dev’essere sfatato il mito che con le espressioni d’arte contemporanea necessiti soltanto saper scrivere bene, e con l’intelligenza artificiale nemmeno più quello: la contemporary ha una sua estetica che radicalizza il rapporto con l’immaginario ed effettua la estrema moltiplicazione delle tecniche, facendo fallire il sistema longhiano di linea, forma, colore. Perciò, a maggior ragione, nell’arte contemporanea non conta solo tutto lo studio possibile, ci vuole anche la pratica per capire bene, e la pratica può essere anche partecipare alle poiesi in veste di osservatore partecipante (sociatra) e dialogante (organalitico).

Gli artisti devono fare il loro mestiere, costruire catarsi d’altri, e il dispiegarsi dell’opera non è quasi mai loro. Né verso il fruitore né tanto meno verso il sistema dell’arte. Ma questo non significa che debba essere di ladri e profittatori.

Sugli affreschi antichi romani, veniva usata la prospettiva scientifica? Dall’esperienza di aver seguito importanti processi di attribuzione, credo che l’artista proprio c’entri molto poco. Lo studio della manifattura dei “classici” è stato microscopicamente studiato, è disponibile e funziona quasi sempre. Il pool di competenze che portano a una certificazione è vastissimo. Le radiografie e la ricerca scientifico-chimica sono pratiche recenti, che aiutano il riconoscimento, ma non sono risolutive: va sempre considerato sia il versante poietico che quello di sistema dell’Arte semplice o complesso, cioè, rivestito o meno di analisi raffinate che lo qualificano in termini di epoca e senso, che porta l’opera a noi, e un problema di processo è la sua affidabilità. Non dimentichiamo che tecnica e materiali, sono padronanza dei falsari prima che dei manieristi. Dunque, il problema dell’attribuzione è poietico, di tanti versanti semiologici che confluiscono nell’opera e anche il suo “viaggio” nel sistema dell’Arte.

Un’opera senza storia documentata è di per sé sospetta, ma se un falso è recente si scopre con la scienza. Poi, invece, se è un’ottima opera di maniera mi pongo il problema se o meno abbia senso l’accanimento attributorio…

In epoca di contemporary, poi, chi usa pennello e scalpello, non ne sa necessariamente degli sfumati davinciani o del lieve materico raffaelliano. Un bravo critico deve sapere entrare in quegli aspetti di dettaglio dei processi manifatturieri delle diverse epoche e artisti, e può riuscirci solo col rispetto per la poiesi e i suoi attuatori.

L’Arte oggi è figlia di un padre che non è mai stato così forte: l’Immaginario (accanto a Simbolico e Reale). L’Arte figurativa è invece dalla parte dal Reale, ma dopo la fotografia ha perso il senso della documentazione che ha avuto sempre fino a 150 anni fa. Da lì si è aperta la strada maestra dell’Immaginario e da quel momento linea colore e forma, basi del longhismo e della critica d’arte d’antan, hanno iniziato a decadere.

Sergio Bevilacqua


Avatar

Sergio Bevilacqua

Torna in alto