“Getta le tue reti, buona pesca ci sarà, e canta le tue canzoni che burrasca calmerà”. Le note iniziali del capolavoro canoro di Pierangelo Bertoli, portato sulle scene con Fiorella Mannoia.
di Willy Olivero
E chissà se nel redigere il testo, il compianto cantautore non abbia pensato ai pescatori del Borgo Coscia che alle prime luci dell’alba tornavano dalla notte a volte fruttuosa, a volte deludente. Ad attenderli in riva i gatti del quartiere, ciascun pescatore ne aveva adottato uno a cui gettare un antipasto di quanto si sarebbe portato nelle tavole o nei banchetti vendita.
Uno di questi era portato a fatica da Lisetta che passava per il quartiere e sul lungomare nei mesi estivi per catturare l’attenzione dei ricchi turisti lombardi e piemontesi. Moglie di un pescatore che come le altre donne del borgo trascorrevano le notti, soprattutto quelle invernali, con il pensiero che nulla accadesse.
Ai giovani lettori, molti dei quali temo insensibili al racconto troppo lontano al loro mondo virtuale, sembrerà che si parli di chissà quale era archeologica, invece sono passati soltanto una sessantina di anni. Tra quei pescatori, poco inclini a rivolgersi ai medici, c’era anche Culin, suo nome d’arte, che negli anni ’30 era stato imbarcato in Africa per il servizio militare e qui aveva contratto la malaria, con crisi fortissime di febbre che si ripetevano negli anni.
Il medico di famiglia, William Barinetti, così stimato dai miei familiari che ne presi il nome, stilò una relazione nella quale si descrivevano i sintomi, soprattutto febbre molto alta, sudorazione e brividi da far tremare il letto. Passate le crisi in pochi giorni Culin prendeva di nuovo le sue reti in spalla e tornava a pescare, come nulla fosse accaduto. Culin come tutti aveva il ciclismo nel cuore e nella sua abitazione alla domenica molti chiedevano udienza per seguire alla radio le grandi classiche, quelle che oggi chiamiamo Monumento. E poi il Giro, il Tour, e la Milano-Sanremo, rito collettivo con gli abitanti del Borgo che, muniti di sedie, si spostavano sull’Aurelia ad aspettare la Carovana e i corridori.
Tanti erano Coppiani e così alla notizia che il Grande Fausto era stato ricoverato in gravi condizioni dopo una battuta di caccia in Africa, Culin non esitò “Ma ha i miei sintomi, ha la malaria, chiamiamo i medici, chiamiamo i medici, deve essere curato con il chinino”. Il tentativo, si direbbe oggi, non andò a buon fine come del resto quello di Gimignani, altro grande corridore, compagno di quella avventura e ancora vivente, quasi centenario.
Culin era arrabbiato e lo diceva a voce alta, anche per quella sordità che lo aveva colpito in tempo di guerra. Ed era arrabbiato, oltre che pieno di lacrime, quando Tuttosport usci in edizione straordinaria con un pellegrinaggio di gente a recarsi all’edicola posizionata accanto alla latteria. “L Airone ha chiuso le ali ” quel titolo che portava ad un’altra immane tragedia, quella del Grande Torino, il 4 maggio del 1949. Culin non si dava pace e si narra che nelle notti fredde e piovose l’anima del Grande Fausto, quasi per ringraziarla, si posasse sul gozzo per aiutarli nella buona pesca.
“Getta le tue reti, buona pesca ci sarà, e canta le tue canzoni che burrasca calmerà‘”
Willy Olivero