Per 10 anni emblema della pallacanestro savonese. Il ‘re mite’ Antonio (Tonino) Michelini ha raccolto nella vita di giocatore prima, allenatore poi, persino fondatore di club sportivi, i frutti prelibati di un basket non solo pulito, ma che rinnegava l’edonismo del ‘dio denaro’. La passione, la missione educativa, strappare i giovani dalla strada, dall’ozio, dal vizio, dalla povertà di valori. Uno sport formativo, dunque, in soccorso degli adolescenti e delle loro famiglie. Un missionario, senza toga e senza ‘voti’, ma presto dimenticato. Non certo nel cuore e nei ricordi di tanti giocatori, appassionati spettatori, semmai da quella stessa società a cui tanto ha dato. Non ricordiamo una cerimonia, una ricorrenza, una delibera di giunta o di consiglio comunale (in particolare Loano), un manifesto in onore di Tonino.
Eppure il probo Michelini, papà di Giuliano (salito agli onori della cronaca rosa nazionale, con giornali e tivù, per il matrimonio arricchito, tra gli invitati, da stupendi levrieri a Verezzi) e di Davide che a scelto a dimora Peagna di Ceriale, ‘capitale dei libri’ in Liguria; eppure, dicevamo, non riserba rancore, ne vis polemica. Ci è spiaciuto non averlo indicato tra le poche decine di persone presenti ai funerali di Silvano Barone, primo cittadino di Borghetto, artefice della ‘seconda rappallizzazione‘ della Liguria.
Michelini, famiglia segnata da una tragedia passata alla storia, negli archivi editoriali. Era il 12 maggio 1962, alle 13,30. Il Secolo XIX, in prima pagina, titolava: “Strage a Borghetto Santo Spirito, è crollato il codominio Albatros. Sette operai rimasti uccisi sul colpo. Funerali senza Angelo Mendola di Toirano, il giovane era ancora prigioniero del cemento armato e del ferro.”
Le altre vittime si chiamavano Vincenzo Bonfiglio, proveniente da un paesino dell’Aspromonte; Luigi Cagnino, 18 anni, da Termini Imerese, Giovanni Vassallo, 27 anni, di Toirano, Giuseppe Androcchio, 31 anni, di Monterosso Calabro, Giuseppe Sciascia, 45 anni, da Palma Montechiaro, Andrea Sasia, 48 anni, di Savigliano. Alle esequie, cui partecipai da pochi giorni diciottenne, non ebbi però tutta la percezione dell’immenso dramma. Rimasi comunque colpito dall’articolo che scrisse il compianto ed amato giornalista Mario Giannetti Beniscelli. Alassino doc, classe 1917, abitava in via Colombo 2 ed era iscritto all’albo dei pubblicisti di Genova dal 13 novembre 1957.
Conservo parecchi suoi articoli, testimonianze preziose. Era cronista esemplare e quel giorno esordì scrivendo: “La febbre edilizia di Borghetto ha fatto le prime vittime. Un disastro purtroppo. Uno dei palazzi che hanno invaso la pianura a cavallo dell’Aurelia, è crollato per metà, mentre un buon numero di operai addetti aveva ripreso da poco il lavoro pomeridiano. Di 22 operai 12 sono rimasti travolti dal crollo…un edificio di 8 piani, oltre l’attico”. Il condominio si chiamava Albatros, con un progetto approvato di 250 vani, più magazzini e rimesse al piano terra.
Sottolineai in rosso l’indelebile ritratto firmato Beniscelli, un ‘maestro’ della penna, agiato borghese che lascerà agli eredi un patrimonio immobiliare nella sua Alassio: “Un edificio che ha causato morte, dolore in quel gruppo di enormi, alti, assurdi casoni che sono nati e cresciuti in questi ultimi anni a Borghetto, destinata a distruggere la sua identità, il suo futuro…; il tutto in un’indifferenza agghiacciante…senza neanche un piano regolatore”.
Probabilmente per una sorta di autocensura (non l’abbiamo mai saputo) Beniscelli non scrisse che il sindaco in carica era Silvano Barone, un democristiano della vecchia guardia, maestro elementare a Ceriale. Io che abitavo a Peagna, figlio di muratore, nonni pastori della vera transumanza da e per Mendatica, quelle parole e quell’immagine di degrado che avanzava incontrastato, lasciarono il segno. E quando nel 1966-’67, iniziai a collaborare con la Settimana Ligure, fondata da Romano Strizioli (Albenga), Gilberto Costanza e Aldo Dompè (Loano), tra i primi articoli mi scagliai, con le modeste capacità di un esordiente, contro il muro di cemento, a Ceriale, che un costruttore partigiano originario di Laigueglia (i Riolfo, incolpevoli congiunti, vivono a Loano) stava erigendo a pochi metri dalla spiaggia di ponente. Ebbi un incontro assai vivace con quel gentiluomo che farà erigere un monumento ai Caduti, proprio a Ceriale. In seguito sarà colpito da una immane disgrazia. Due figli rischiarono di annegare in un pozzo dove si erano calati, uno morì.
Peggio andò al sindaco dell’epoca, un gran galantuomo, purtroppo succube dei ‘poteri forti’ (Dc e costruttori). Il veterinario di Albenga- Ceriale Francesco Merlo che morì in un tragico incidente stradale nel rettilineo di Spotorno mentre si recava in Regione, dove era stato eletto consigliere. Con il fotografo del Secolo XIX, Salvatore Gallo, fui tra i primi ad accorrere.
Un ottimo professionista che si era spesso occupato delle mucche dei miei nonni ed in un caso disperato fece un miracolo (salvo la paralizzata Gaglietta, una Valdostana da 20 litri di latte al giorno). Come ho già scritto in passato, un anno dopo mi ritrovai, da studente, tra i primi contribuenti (imposta di famiglia) di Ceriale. Una scelta punitiva che non stava in piedi ed un assessore, in commissione tributaria, ebbe il coraggio di procedere all’annullamento. I lettori perdoneranno l’intrusione personale.
Torniamo al dramma Albatros. Nell’articolo di 51 anni fa, niente nome del potente sindaco. Doveroso almeno scrivere chi era il costruttore- amministratore della società: l’ing. Paolo Scurci, abitava a Genova in via Piaggio 10. Incredibilmente (?) figurava proprietario l’allora studente d’ingegneria a Genova, Antonio Michelini, secondogenito di Pietro, agricoltore, famiglia proprietaria dell’area. La figlia rimase estranea, perlomeno formalmente.
Iniziamo da quel giorno l’intervista, a sorpresa, a Tonino Michelini, in una serra dell’azienda floricola dei due figli.
Signor Michelini cosa ricorda? E il sindaco Barone….
Alla data del crollo del palazzo, ero assessore nella giunta Barone da 3 o 4 mesi. Mi dimisi subito senza che alcuno me lo chiedesse. Volevo però restare consigliere perché avevo ricevuto il consenso dagli elettori. Silvano si impuntò, fui indotto a lasciare anche il consiglio. Quel giorno che in parte segnerà la mia vita, stavo pranzando in casa.
Ha letto l’articolo, le testimonianze, le riflessioni che ho scritto sul numero scorso di trucioli.it. A proposito dell’era Barone. Un suo commento?
E’ vero, ai funerali c’era davvero poca gente, non me lo sarei aspettato… Posso dire che Barone è stato una persona assai più onesta di tanti altri….Essendo confinanti ho avuto piccoli diverbi, alcune volte per i miei cani. E poi ho un carattere portato a dimenticare, rimuovere le cose negative.
Comprensibile, può accennare almeno al maggiore errore del sindaco Barone…
Fu quasi subito materia di confronto e discussione nella breve esperienza in Comune. Devo premettere che per una serie di motivazioni ho frequentato assai di più Loano ed il suo mondo. Silvano credo sia stato incapace di tenere a freno la macchina edilizia, ha dato certamente un impulso allo sviluppo e al benessere di Borghetto. Io ho insistito invano alle due urgenze prioritarie: piano regolatore e piano viario. Ricordo, inoltre, che durante la costruzione dell’Autofiori un geometra mi confido il rifiuto del Comune di utilizzare una copiosa sorgente trovata negli scavi della galleria sotto il Monte Piccaro. Così fu murata e deviata dalla natura direttamente a mare. Silvano ripeteva che Borghetto era ricca di acqua, al punto che attingevano la privata Sla, Boissano, Loano. Ora ogni tanto torna il sogno dell’Aurelia bis e della galleria sotto il Piccaro, non so a che quota si trovava la ‘sorgente’.
E’ stato encomiabile a ricordare il triste evento. Non è un voler rinvangare, ma le giovani generazioni ignorano quasi tutto. A volte anche disinformate. Veniamo ai suoi anni nel basket, il grande amore di un’esistenza al servizio dello sport sano, educativo. I suoi primi passi…?
Avevo terminato il liceo, estate 1960. Con papà ero impegnato nella raccolta delle pesche di cui Borghetto e la mia famiglia eravamo importanti produttori. Ci sono le pesche ‘Michelin’? Allora un successo sui mercati locali e del nord Italia. Vidi avanzare nel frutteto l’avvocato Mario Rembado, poi sindaco e il compianto Raimondi, titolare dell’Arabesque, locale estivo assai frequentato, tra gli animatori sportivi di Loano. Cercavano un allenatore per il Loano basket. Fondato proprio nel 1961. Io, a 18 anni, allenavo la nazionale a Cortina. Si presentarono dicendo: ‘cerchiamo Michelini, l’allenatore di basket’. Risposi: sono io. Rembado: ‘Forse ci siamo capiti male, dov’è tuo padre’ ? ‘No, guardi che l’allenatore sono io…’. Allenavo a livello regionale e nazionale, ma a Loano preferivo giocare e lo dissi chiaro e tondo. Ci ritrovammo nella sede provvisoria della società, al bar Rino. Qui incontrai Gianni Traverso. Da lui un secco: Michelini? Lasciamolo perdere. In realtà non ero alto; un play, sempre di guardia.
Quanti ricordi!
Eccome! Facevo il campionato universitario, ricordo il mito Mimmo Lasagni. I dirigenti dell’Italsider vennero a cercarmi. C’era già il bravo Renzo Vaccarezza. Facevamo il viaggio insieme, lui giocava, mentre io molta panchina. Allenatore Bertoldi, Genova poteva fregiarsi pure di un grande basket femminile. Due anni di campionato in A 2, diciamo la serie B, tornato dall’esperienza di Genova con più fiducia, si aprì il discorso di allenatore. Al Loano basket erano sorti problemi per via, se ricordo bene, di gente di Savona. Seguii la squadra giovanile e dopo 2 anni, abbiamo vinto, con i colori loanesi, gli juniores a Livorno. Tra le prime 8 squadre in Italia. Abbiamo disputato la serie C. e Vaccarezza scelse l’aventino. Erano gli anni d’oro di Campisi, Vallarino, Witkowski, Ferrari, i due Scrivano. La città di Loano era tutto un mobilitarsi. Partite con pienoni. Tifo alle stelle. Paginate sui giornali. Tornei e trofei nazionali, internazionali.
E il declino, o perlomeno quando decise di lasciare, abbandonare il Basket Loano ?
Preferirei sorvolare, posso unicamente raccontare la mia visione dei fatti. In consiglio si votò la presidenza di Gennaro Mazzitelli. Idee grandiose, ricerca di giocatori di fama, e bisognava pagarli. Io ho subito detto di no, non era e non è mai stato il mio mondo. Il mio basket è amatoriale. In consiglio mi ritrovai isolato, dalla mia parte si era schierato solo Elio Garassini, anche lui sarà sindaco della città.
Un sacco di rimpianti…e qualche amarezza?
Al massimo potevamo permetterci ritiri a Peveragno, a Calizzano; io allenatore pagavo di tasca le mie spese e non solo. Loano tirò su, si suole dire, qualche bravo giocatore, con carriera successiva. Penso a Lardo, finì al Torino con la squadra allenata da Gamba. Sono stato padrino di cresima di Lino. Mio figlio Giuliano è andato di recente a trovarlo a Trapani, dove fa l’allenatore della squadra, serie B. Penso a Witkowski (fu al Cantù), al mediocre Silvio Melgrati, alassino, due metri di altezza, con ’39’ di scarpe, quindi carente di equilibrio. E ad Alassio si veniva facilmente attratti dalla bella vita. Loano aveva raggiunto la Serie B. In tre anni, dopo la mia rinuncia, si è piombati nel patatrac, in ginocchio dai debiti. Non c’era più l’entusiasmo popolare del periodo in cui brillava la stella del basket amatoriale, era solo passione per amore del gioco, della vittoria. Niente stipendi, né rimborsi a piè di lista. Ho sofferto in silenzio e senza polemizzare. E’ il mio stile.
Loano, ultima esperienza…
Pensa che interessi davvero la mia storia? Con tutti i problemi che ha la gente, burocrazia inclusa… Dopo Loano sono venuti a cercarmi da Ceriale, da Pietra Ligure. Ho troncato definitivamente a 45 anni. A Pietra eravamo in promozione, serie C. Il mio verbo costante: “no ai professionisti pagati’. In Italia non è quasi mai così. Ci sono esempi a decine, il business del calcio, del ciclismo e aggiungiamone pure a piacere. Non mi sento un missionario, ma ho un’altra visione. Sbaglierò!
Ricorda chi è stato il primo presidente del glorioso Basket Loano?
Era Pagani, aveva un”agenzia viaggi e i Bagni Doria. Loano era in serie C. Ci fu uno spareggio per non retrocedere contro il Varese, dove giocava Nesti, campione a livello nazionale. Sorsero problemi in campo e Loano ebbe fortuna. Il compianto Pertosa in un’azione di contropiede diede un calcio nel sedere proprio a Nesti. Si favoleggiava che…
Nessun illazione, invece, all’epoca il valente imprenditore Pagani era iscritto ad una loggia massonica. Il sindaco comm- Felice Elice perse, come Comune, una causa per via del manufatto sorto sulla spiaggia dei ‘Doria’. Sono stato testimone di un paio di incontri conviviali dell’allora presidente del tribunale Tartufo, già procuratore della Repubblica, con i coniugi Pagani al ristorante Capanno di Ranzi (Pietra Ligure). Li serviva il patron Bartolomeo Rembado e con lui commentammo.. Nessuna reato, forse motivi di opportunità visto il contenzioso Pagani-Comune di Loano.
Non so nulla di massoneria e massoni, a me non hanno mai chiesto di diventare ‘fratello’. Sono stato due anni presidente del Basket Borghetto, e volevo lasciare ad altri. Ho due nipotini e troppa nostalgia, ricordi, tanti esempi di amicizia vera. Non si può dimenticare e sicuramente ho tralasciato qualcuno che non merita e me ne scuso. Mi vengono ancora in mete, a Loano, Fiorenzo Gimelli, Bosio, Blengino, Tassara. Li chiamavo i ragazzi nati dal ’54 al ’61. Con i mitici del ’57. A Borghetto ci onora il figlio di Antonio Oxilia, il panettiere, famiglia stimata. Vorrei lasciare, ai nipoti, un testamento morale: fare sport come strumento di crescita civile e di formazione umana.
Luciano Corrado