Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

La Liguria dimentica che Ilaria del Carretto era ligure e apparteneva ai marchesi di Zuccarello. La statua


Ilaria del Carretto (Zuccarello, 1379 – Lucca, 1405) apparteneva al casato dei marchesi di Zuccarello. Nacque da Carlo I del Carretto, dal 1379 primo marchese Del Carretto di Zuccarello, e da Pomellina Adorno. Seconda delle quattro mogli di Paolo Guinigi, signore di Lucca tra il 1400 e il 1430, si sposò nel 1403 e dette alla luce due figli, Ladislao e Ilaria Minor. Il maschio partecipò alla guerra del Finalese del 1447-1448 mentre la secondogenita andò in sposa al figlio di Battista Fregoso, doge della Repubblica di Genova.

Nel 2007 è stata posizionata una statua bronzea all’ingresso sud del borgo medievale di Zuccarello, in onore di Ilaria del Carretto.

Morì durante il parto della figlia Ilaria Minor, nel 1405. Per lei il marito commissionò il famoso sarcofago, capolavoro di Jacopo della Quercia, visibile nella cattedrale di San Martino a Lucca. La salma, però, è sepolta nella chiesa di San Francesco. Nel 2007 è stata posizionata una statua bronzea all’ingresso sud del borgo medievale di Zuccarello, in onore di Ilaria del Carretto.

Ilaria pur essendo nativa della Liguria è presto dimenticata dalla Regione, come se fosse straniera ovvero non facente parte della regione stessa. Ancora oggi chi viene in Liguria per motivi di salute o di lavoro è, dai nativi, considerato straniero anche se i medesimi contribuiscono a pagare tasse e cos’altro onere a favore del governo regionale.

Durante una illustrazione di programma tenuto dall’allora sindaco,  per le elezioni nel Comune di Vezzi Portio, il segretario comunale presente sbottò all’improvviso con la frase: vengono in Liguria per portare via il lavoro alle persone del luogo, dimenticandosi che a suo tempo è venuto da Aqui Terme. Ilaria andata sposa giovanissima ad Paolo Guinigi, signore di Lucca, è divenuta straniera e come tale è finita, ancora oggi, nel dimenticatoio.

La tomba di Ilaria del Carretto nel duomo di Lucca (1406c.) richiama tipi francesi, ma contiene, specialmente nei fianchi ornati da genietti reggi-corone, palesi riferimenti classici. La testa, rialzata dal guanciale e chiusa nel cercine, è un ovoide levigato e luminoso; il modellato si va spianando sul petto, poi s’irradia in un fascio di pieghe. Jacopo mira dunque a fare della forma un nucleo solido in cui si condensa e da cui si irradia la luce: e lo si vede anche nell’Apostolo nella stessa chiesa lucchese (1413c.: contemporaneo dunque, e la coincidenza temporale è significativa, alle statue di Ghiberti, Nanni di Banco e Donatello) e dalle parti conservate della fonte Gaja (1409-1419) per la piazza del Campo di Siena (un’opera “civile”, il cui tema è, come nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti, il Buon Governo della città). Dal 1425 fino alla morte, nel 1438, Jacopo lavora alla sua opera più impegnativa, il portale maggiore di San Petronio a Bologna.

[da Approfondimentiweb.tiscali.it.]

Numerosi rimangono ancora oggi i quesiti da sciogliere intorno al monumento di Ilaria del Carretto, che attualmente si conserva nella sacrestia della Cattedrale di Lucca. Tali questioni – che hanno alimentato la fortuna critica dell’opera e accresciuto l’aura di mistero che da sempre circonda il monumento – riguardano la collocazione cronologica, l’ubicazione e la struttura originarie del sepolcro, il ruolo avuto da Jacopo della Quercia e da eventuali collaboratori nella sua realizzazione, nonché l’identificazione dell’effigiata, da alcuni riconosciuta in Maria Caterina degli Antelminelli, prima moglie di Paolo Guinigi.

Cenni storici- Le nozze tra Ilaria del Carretto dei Marchesi di Savona e Paolo Guinigi, che fu Signore di Lucca tra il 1400 e il 1430, vennero celebrate con grande sfarzo nel febbraio del 1403. Dopo il matrimonio non consumato con la giovanissima Maria Caterina degli Antelminelli, che peraltro aveva procurato al Guinigi una cospicua eredità, Paolo si assicurò la continuità del casato con la nascita di Ladislao nel 1404 grazie all’unione con Ilaria del Carretto. L’otto dicembre dell’anno successivo, l’allora ventiseienne consorte del Signore di Lucca morì dopo aver dato alla luce la secondogenita, cui venne imposto il suo stesso nome. La giovane sposa venne sepolta nella Cappella di Santa Lucia fatta edificare nel 1404 da Francesco Guinigi nel giardino della sua villa suburbana, addossata al convento di San Francesco, luogo ordinario di sepoltura dei componenti della famiglia. A copertura della tomba terragna venne posta la scultura con l’effigie della defunta magistralmente espressa da Jacopo Della Quercia (analoga sistemazione verrà adottata dallo stesso Jacopo dieci anni più tardi, per la tomba dei coniugi Trenta nella basilica di San Frediano). Con la caduta della Signoria guinigiana (1430), a seguito di una sommossa popolare, vennero saccheggiati non solo i palazzi ma anche le tombe di famiglia. La lastra marmorea raffigurante “la bella donna del Guinigi”, divelta dal pavimento, venne in seguito trasferita in Cattedrale e collocata precariamente nel transetto destro davanti l’altare dei Santi Giovanni e Biagio.

Volendo esaltare l’incomparabile bellezza della scultura, ha pensato di realizzare un sarcofago eseguendo le fiancate con i putti reggenti festoni concordemente ritenute dagli storici dell’arte di esecuzione posteriore, ma sulla cui paternità si trovano divisi oscillando da Francesco di Valdambrino a Benedetto da Maiano . L’attuale e non definitiva ubicazione nella sacrestia della Cattedrale, che risale al Dicembre 1995. è dovuta ai problemi di stabilità rilevati nelle pareti del transetto ed ai conseguenti lavori di consolidamento che si protrarranno per alcuni anni.

Il Monumento- Nel monumento sepolcrale di Ilaria – la cui esecuzione era verosimilmente quasi ultimata nell’aprile del 1407, quando il Guinigi si risposò – Jacopo della Quercia dimostra ancora profondi legami con il linguaggio di Antonio Pardini, presso il quale dovette avvenire la sua formazione nell’ambito del vivace cantiere della Cattedrale lucchese sullo scorcio del Trecento. Tale dipendenza si manifesta nelle affinità registrabili con la pardiniana lastra tombale di Sant’Agnello nella stessa sacrestia, nella comune deferenza all’operato di Andrea e soprattutto di Nino Pisano, nonché nelle evidenti conformità con la produzione del senese Francesco di Valdambrino, pure gravitante intoro alla fabbrica del Duomo lucchese.
Jacopo della Quercia è presente nella nostra città a più riprese. Nato a Siena verso il 1371, è probabile che abbia a lungo vissuto a Lucca con il padre Piero d’Angelo; oltre al sepolcro di Ilaria Jacopo esegue anche altre opere, quali l’altare e le tombe terragne della Cappella Trenta in San Frediano (1412-1422) e la statua del San Giovanni realizzata per il coronamento di uno dei contrafforti della chiesa di San Martino ed oggi visibile nell’adiacente Museo della Cattedrale.
La peculiarità dell’artista senese consiste nella sua capacità di mediazione tra la ricerca di eleganti formule cortesi di matrice borgognona ed il recupero di forme classiche desunte dallo studio di statue e rilievi antichi, così come dalla tradizione bisalente alle opere pisane e senesi di Nicola e Nino Pisano.
Il sarcofago di Ilaria del Carretto rappresenta una delle espressioni più significative. I profondi legami con il gusto del Gotico intemazionale si riscontrano nell’impostazione architettonica della tomba, legata alla tipologia del monumento funerario di derivazione francese e, più specificamente, in certi elementi compositivi e tematici quali la figura giacente, la posizione delle mani, il cagnolino ai piedi della defunta, simbolo di fedeltà, ma soprattutto la raffinata veste indossata da Ilaria, una “cioppa” o “pellanda” di fattura oltremontana. Essa è caratterizzata da ampie maniche terminanti in polsini alti e aderenti, dalla cintura stretta sotto il seno e dall’alto soggolo che incornicia il volto, i cui lineamenti appaiono sottolineati anche dall’elaborata acconciatura percorsa da bande floreali. Questo tipo di abito ricorre frequentemente nelle manifestazioni artistiche coeve (Pisanello, Gentile da Fabriano) e costituisce un chiaro simbolo di appartenenza alla classe sociale più elevata.

Jacopo di Pietro d’Agnolo di Guarnieri, detto Jacopo della Quercia (Siena, 1374 circa – Siena, 21 ottobre 1438), scultore minore a cavallo  del trecento e quattrocento scultore senese decisamente avverso al linearismo calligrafico della tradizione martiniana: preferisce ricollegarsi alla plastica serrata di Giovanni Pisano e all’umanesimo precoce di Ambrogio  Lorenzetti. Lavora spesso fuori di Siena; a Lucca, a Firenze (nel 1401 partecipa al concorso per le porte del Battistero), a Ferrara, a Bologna. Non si può provare il contatto, ma non si può negare la consonanza profonda della sua scultura con l’austera plastica borgognona, con Claus Sluter; da una parte, con la classicità dall’altra, assimila attraverso le nuove scoperte del Rinascimento fiorentino: il suo maggiore interesse si rivolse alle figure, rese monumentali e percorse da una vitalità prorompente.

Tentò una sintesi fra la scultura gotica di Giovanni Pisano dove riuscì a sviluppare gli spunti del padre Nicola, confermando il ruolo della scultura tra le arti figurative del XIII secolo, almeno fino al sorgere di Giotto. Diede alle sue statue forme slanciate ed elegantemente inarcate, ai rilievi un forte senso di movimento e di chiaroscuro, manifestando una forte espressività, senza tuttavia dimenticare mai una solida volumetria tipicamente italiana. La sua opera non trovò continuatori immediati. Fu stilisticamente un isolato, che venne capito successivamente solo da Michelangelo. Tra gli scultori della fine del trecento non appartenne alle corporazioni che non ebbero mai  la stessa importanza: solo alcune ebbero un effettivo ruolo politico. Le arti dei Mercanti, del Cambio e dei Notai furono preminenti quasi ovunque. Per quanto riguarda le attività produttive, in Toscana dominavano le arti della Lana e della Seta, mentre in Lombardia la situazione era più variegata.

Alesben B.


Avatar

Alesben B

Torna in alto