Mi sono state chieste notizie possibili su Maria Bianco-Aschero, nata nell’anno 1812 a Villa Guardia, ridente località ponentina, autonoma fino al 1928, quando fu aggregata a Pontedassio come frazione.
di Gian Luigi Bruzzone
Purtroppo è problematico reperire notizie in questo senso, non perché il personaggio non meriti di una memoria, ma per la “professione” esercitata e per la modestia e l’amore al nascondimento della stessa. E tuttavia non ci è sembrato giusto tenere per noi quel poco che si è reperito, bensì di parteciparlo ad una cerchia più vasta, quali i simpatici lettori del blog “Trucioli” e gli abitanti di Pontedassio in particolare.
Maria apparteneva ad una famiglia socialmente stimata, ma forse non troppo dotata di mezzi di fortuna. Ignoriamo come avvenne la conoscenza con le suore fondate dal canonico san Giuseppe Cottolengo (Bra, 1786 – Chieri, 1842). È un dato di fatto che, diciannovenne appena, Maria giunse in Torino e il 15 novembre 1831 entrò nel “Ritiro delle Figlie della Carità” (nate nell’agosto dell’anno precedente) per servire i poveri e gli infermi per lo più abbandonati. Si noti, l’Istituto era fresco di fondazione e soltanto nella primavera del 1832 sarà aperta la “Piccola Casa della divina Provvidenza” nel rione Valdocco, allora periferico.
Pressoché da subito la nostra giovane ponentina visitò i poveri malati nelle soffitte dei loro tuguri portando cibo e indumenti e rendendosi conto della povertà materiale, talora anche spirituale, di molti ceti sociali di Torino. Anni difficili soprattutto per la povera gente priva di assistenza e di quei servizi sanitari oggi ritenuti indispensabili: fenomeno anche più vistoso se consideriamo la condizione di capitale della città subalpina.
Si può arguire che il santo Cottolengo rimanesse assai contento di questa ragazza, che fu inviata nella “Piccola Casa” appena aperta e il 4 maggio 1832 vestì l’abito religioso con il nuovo nome di suor Giusta. Il noviziato e la formazione si erano esplicate soprattutto sul campo, nel servire i bisognosi.
Il bene non fa rumore e di fatto possiamo appena figurarci le fatiche, l’impegno profuso con generosità e senza misura da parte di suor Giusta. Il fisico ad un certo punto si ribellò: per questo la suora fu inviata, ventitreenne, insieme con la consorella suor Fede, a Chieri, in casa del canonico Luigi Cottolengo, fratello di Giuseppe, dove, si spera, le nostre giovani poterono un poco stare con se stesse e fruire di un po’ di riposo.
È curioso: in questo 1835 si verificò una pandemia del colera, sia in Liguria sia in Piemonte, con molte vittime, anche per essere il morbo poco conosciuto. Ma Chieri rimase esente dall’epidemia. E don Luigi scrivendo al fratello Agostino (pittore poco noto, fino alla preziosa monografia di M. Teresa Colombo, uscita a Savigliano nel 2013), gli comunicava che le due suore della Carità erano convalescenti sempre presso di lui e “la città nostra è sana e libera dal rìo malore, fosse pure lo stesso di Genova, ove in 24 ore morirono in 140 … Quanto a Chieri, per giorni ventuno non si udì mai suonare annunzio di alcun decesso” (lettera del 25 agosto 1835).
Per circa un anno suor Giusta collaborò con la consorella suor Policarpa ad aprire una nuova scuola d’insegnamento destinata alle fanciulle: lei come assistente e l’altra come maestra. Pare che le allieve fossero una cinquantina; la scuola è ricordata fra l’altro dal famoso Dizionario diretto da Goffredo Casalis.
Il canonico Luigi Cottolengo infatti fu promotore della scuola di carità nella città di Chieri e fu nominato dal governo provveditore agli studi per Chieri nel decennio 1838-49. Il re aveva riconosciuto il 27 agosto 1833 l’Istituto fondato dal Cottolengo, mentre il governo elogiava l’opera educativa prestata dalle Figlie della Piccola Casa.
Al termine dell’anno scolastico 1835-36 suor Giusta lasciava Chieri per Andezeno (borgo fra Chieri e Torino): qui continuò la sua opera di educatrice per due anni nella scuola inaugurata nell’autunno del 1834. Fedele all’obbedienza riprese il primitivo apostolato, poiché i superiori la inviarono quale assistente all’ospedale maggiore di Fossano. Dall’incarico si arguisce la stima goduta da suor Giusta: di fatto era un compito rognoso, giacché la situazione era difficile a causa di contrasti sorti fra gli amministratori laici e le suore della “Piccola Casa”. Dopo vari tentativi la nostra religiosa, giovane ma conoscitrice delle persone, ritenne preferibile ritirarsi a Torino, come avvenne nel novembre del medesimo anno. Le doti naturali, le capacità dimostrate, il savoir-faire, la naturale autorevolezza attirarono l’attenzione su di lei – certo suo malgrado – e così fu nominata Madre generale nei difficili anni (ma quando gli anni non sono difficili?) 1841-48. Con l’esempio e con la disponibilità affabile e pronta favorì il progresso della vita comunitaria.
Gli scarsi documenti archivistici disponibili ci consentono di ricordare l’apostolato nell’ospedale di Mondovì, e poi assistente della “Famiglia delle buone figlie” e della “Famiglia delle epilettiche” sempre profondendo competenza e carità verso chi ne avesse bisogno.
Nel processo ordinario informativo per la beatificazione del fondatore, canonico Giuseppe Cottolengo, celebrato negli anni 1863-73, suor Giusta fu testimone, dal momento che lo aveva conosciuto. Sessantatreenne raggiunse il mondo dei più nella “Piccola Casa” torinese il 31 gennaio 1875. Il laconico necrologio delle consorelle recita: “Donna forte, suora di gran cuore e di spirito buono”.
La figura e l’opera di suor Giusta possono considerarsi come la probabile punta di un iceberg di un fenomeno quanto meno diffuso nei secoli passati. Giovani che, lasciato il natìo paesello, divennero frati e monache donando la loro vita agli altri. Sì, all’inizio poteva esserci l’umano desiderio di uscire da uno stato economicamente precario, per entrare in un ceto allora rispettato e sicuro, pur nel rispetto dei tre voti, castità, povertà e obbedienza. Ma poi diventava scelta convinta e generosa.
Gian Luigi Bruzzone
Villa Guardia nel Comune di Pontedassio