Da tempo è noto che cerco di spiegare che la narrazione storica genovese del duo dei “Dogi” : Toti e Bucci ha ormai raggiunto i limiti di una farsa se non fosse che stiamo parlando di un elemento essenziale della coscienza civile e sociale di tutte e tutti noi.
di Danilo Bruno
Costoro si sono fermati al periodo barocco pensando che bastino mostre, su mostre, eventi su eventi per non far conoscere e soprattutto indagare la complessità di una città, nata in periodo romano, saccheggiata in età tardoantica dai pirati saraceni per risorgere sul Mediterraneo, creando una sorta di stato mai effettivamente unitario ( se si eccettua il territorio dalla Podesteria di Voltri a Portofino) poiché fu effettivamente legato ad alleanze locali.
Questo sistema favorì sicuramente un sistema di autonomie e di signorie locali ma fu anche un elemento di debolezza poiché la Repubblica di Genova non ebbe mai ad esempio una vera e propria rete di strade di collegamento costiero e verso l’interno.
Questa visione, che è probabilmente troppo complessa per il duo Bucci-Toti, che all’antico Palazzo della Borsa di Banchi volevano creare l’ennesimo evento celebrativo ma sono stati al momento bloccati dai resti dell’antica città medievale, rimanda al complesso discorso di Fernand Braudel, fondatore della “Nuova storia”,su Genova «Il suo tumultuoso gioco politico interno – scrive ancora Braudel – non avrà riflessi negativi sulle sue collettività all’ estero, una rete che va dal Mediterraneo orientale a Malaga e poi a Siviglia, a Nord a Londra, a Southampton e a Bruges, a Sud fino al Nord Africa. La sua forza è il sentimento di solidarietà e di lealtà delle collettività genovesi all’ estero…»
Evidentemente questo discorso diviene troppo complesso per il duo Toti-Bucci poiché implicherebbe alcune considerazioni politiche a cui nella loro smania di apparizione e nel ridurre tutto a semplicità non potrebbero essere adusi:
a) in primo luogo si tratterebbe di capire che il centro storico di Genova, il più grande d’Europa, è una stratificazione di strutture abitative, che meriterebbe di essere valorizzato ma soprattutto di tornare a vivere non nel riutilizzo dei bassi ma piuttosto come luogo di insediamento di attività produttive e di abitazioni. Su questo punto esiste una lunghissima letteratura storica e non, che parte da Cervellati, redattore del piano del centro storico di Bologna e va a Bessone, assessore del Comune di Genova anni settanta/ottanta per finire a Don Gallo e all’insediamento della comunità di San Benedetto. Quindi si tratterebbe di passare da un centro storico,luogo della movida e problema di ordine pubblico ad una città viva, vitale e ospitale come Genova è stata per secoli proprio per la sua natura di centro commerciale;
b) in secondo luogo bisognerebbe capire che fin dall’ Alto Medioevo è stato accertato che a Genova vi fossero moschee e sinagoghe oltre a rappresentanti delle religioni islamiche ed ebraiche poiché in una città dedita al commercio , oltre ai commercianti, pure agli schiavi islamici era consentito esercitare la propria fede religiosa.Tutto ciò ovviamente è una narrazione,che darebbe un enorme fastidio a molti alleati del Duo citato all’inizio,che evidentemente preferiscono un canto e una storia genovese e ligure monocorde che una lettura plurale e completa.
Insomma meglio la Controriforma che una città, ospitale e che fu repubblicana con Mazzini e con orgoglio rivendicò la propria libertà nel 1849, poi nella medaglia d’oro della Lotta di Liberazione e infine nel 1960, cacciando i fascisti, che volevano celebrare il loro congresso in città.
Danilo Bruno