UNA, NESSUNA, CENTOMILA: STORIA DELLA COMUNIONE MASSONICA DI PIAZZA DEL GESÙ, 47. (Prima Parte)
di Michele Allegri
La prima vera luce massonica fu portata in Italia dai libero-muratori scozzesisti, legati al clan napoleonico che, a Milano nel 1805, fondarono il Rito Scozzese Antico ed Accettato, nonostante da nord a sud della penisola esistessero già centinaia di logge massoniche che si muovevano in ordine sparso, non coordinate tra di loro, molte delle quali erano in contatto con la fiorente gran loggia inglese dei Moderns.
La massoneria italiana non aveva ancora emesso il primo vagito che già pendeva sul suo capo una pesante scomunica da parte dei papi della Chiesa Cattolica i quali, fin dal 1738, vedevano nei massoni una riedizione degli eretici templari e li consideravano eredi della tradizione gnostica-ofitica che aveva come culto principale l’adorazione del Serpente primordiale, il dio della conoscenza.
Durante il periodo risorgimentale, le logge (o officine) crebbero a dismisura. Quasi tutti i patrioti italiani, monarchici e repubblicani, di sentimenti anticattolici, entrarono a farne parte. Si creò così una rete massonica che, tra Torino e Palermo, nel 1860, gettò le basi per la costituzione di un Supremo Consiglio del Grande Oriente Italiano. La scelta del nome, Grande Oriente Italiano, si legava palesemente alla tradizione francese del Grand Orient de France, manifestando sin da subito quell’attaccamento filiale dei massoni italiani alla visione laica ed anticlericale dei fratelli d’oltralpe.
Il titolo di primo massone d’Italia venne conferito a Giuseppe Garibaldi, eroe dei due mondi ed artefice dell’unità nazionale. Il generale nizzardo che si vantava apertamente di essere un “mangiapreti”, nelle sue “balaustre” (lettere massoniche), definì papa Pio IX “un metro cubo di letame” e la Chiesa e il clero “disgrazia e cancro dell’Italia”. Quindi, invitava i sacerdoti a dedicarsi all’agricoltura, scrivendo apertamente che “il grido di ogni italiano, dalle fasce alla vecchiezza, deve essere: guerra al prete!”.
Così, in questo clima di ostilità verso il clero cattolico, i massoni italiani, divisi in settantadue logge e corpi massonici, il 21 maggio del 1864, a Firenze, acclamarono Garibaldi loro primo Gran Maestro. Nella denominazione del Grande Oriente, l’aggettivo italiano fu sostituito da quello d’Italia. Tra i presenti alla cerimonia Michele Coppino che, di modeste origini, diventò ben presto rettore dell’Università di Torino, ministro dell’Istruzione ed anche presidente della Camera.
Nel 1885, la massoneria ebbe la sua massima espansione grazie alla forte personalità del Gran Maestro Lemmi, un livornese che riuscì ad affiliare al Grande Oriente d’Italia i più importanti nomi che brillavano nei ministeri, nelle accademie, nelle banche, nell’esercito, nell’industria, anticipando di quasi un secolo l’attivismo del noto pistoiese Licio Gelli. Lemmi arrivò persino ad avere alla sua obbedienza quasi trecento parlamentari!
Quattro anni più tardi, il Grande Oriente d’Italia, forte del potere accumulato negli anni fiorenti della guida di Lemmi, lanciò un guanto di sfida al Vaticano, facendo erigere a Roma, in Campo de’ Fiori, un’enorme statua di bronzo, in onore del filosofo e monaco Giordano Bruno, che fu bruciato come eretico su quella stessa piazza nel 1600. Bruno era stato torturato dalla Santa Inquisizione e condannato a morte a causa della sua visione panteistica la quale, a dire delle massime autorità ecclesiastiche dell’epoca, sconfessava le sacre scritture. Per i massoni dell’epoca post risorgimentale, Giordano Bruno rappresentava senza dubbio il martire per eccellenza del libero pensiero, colui che non aveva voluto abiurare i suoi scritti, tanto da scegliere la morte in maniera socratica.
La battuta d’arresto di quest’espansionismo massonico la si ebbe nel 1908, quando il deputato socialista e massone Leonida Bissolati, rafforzando la visione laica della scuola già introdotta con la legge Coppino, ripropose una vecchia legge di quel fratello, quella del 15 luglio del 1877, all’epoca bocciata, che si proponeva di abolire definitivamente l’insegnamento della dottrina cattolica nelle scuole elementari.
Una parte dei deputati massoni, quelli di provata fede repubblicana e socialista, appoggiarono quella proposta, altri invece, come alcuni sottosegretari, alcuni ministri e l’ex presidente del Consiglio Sandrino Fortis che facevano parte del rito scozzese e della corrente di Saverio Fera, votarono contro. La mozione Bissolati, quindi, non passò e nel Grande Oriente d’Italia si aprì una spaccatura profonda che si ricompose solo nel 1973.
Saverio Fera era un massone sui generis. Era reverendo della chiesa cristiana evangelica, si dichiarava nazionalista e appoggiava il regime crispino, senza interessarsi direttamente alle vicende politiche del paese. Aveva scalato i gradi del Rito Scozzese arrivando ad ottenere il massimo grado, quello di 33, e in qualità di Luogotenente del Rito Scozzese, aveva partecipato al Convento scozzesista di Bruxelles del 1907, dove aveva manifestato ai fratelli di tutto il mondo un’aperta polemica verso la gran maestranza del Grande Oriente d’Italia, che venne da lui accusata di cercare di contare nella vita politica e sociale del paese e di perseguire uno sbandierato anticlericalismo.
Il casus belli che portò alla fine dell’unità massonica italiana fu dato proprio dalla legge del fratello Bissolati. Il 24 giugno del 1908, Saverio Fera, seguito da ventuno alti dignitari scozzesi, armati di sigilli e cassa del Rito, in aperta polemica con la gran maestranza del Grande Oriente d’Italia che aveva appoggiato la legge Bissolati, crearono una scissione del Rito dall’Ordine, sicuri di portare dalla loro parte tutti quei fratelli che non si riconoscevano nell’orientamento progressista e anticlericale del Grande Oriente d’Italia. Il nuovo Rito scozzese, del quale Fera divenne subito Sovrano Gran Commendatore, ebbe i natali in via Ulpiana, a Roma. Il secondo passo intrapreso da Fera fu quello di costruire, al di sotto del quarto grado del rito, una nuova obbedienza massonica che fosse l’espressione dei primi tre gradi della massoneria azzurra, apprendista-compagno-maestro. Nacque nel 1910 la Serenissima Gran Loggia (con un chiaro riferimento, nella denominazione, alla tradizione anglo-americana).
Ancora una volta, come nel 1805, la massoneria italiana, prendeva forma e vita dalla dottrina del Rito Scozzese e il Sovrano Gran Commendatore del Rito Fera assunse anche la carica di Gran Maestro, dimostrando quanto il Rito condizionasse l’Ordine. L’Obbedienza massonica di Fera si presentò al Congresso massonico di Washington del 1912 e ottenne gli ambiti riconoscimenti internazionali, inglesi e americani. La sede della Comunione massonica di Fera, tanto per non creare più fraintendimenti di ostilità verso la religione cristiana, si spostò da via Ulpiana ad un appartamento sito in Piazza del Gesù, al civico 47. Inevitabilmente, il Grande Oriente d’Italia, da quel momento in avanti, venne considerato irregolare da tutte le potenze massoniche mondiali.
Serenissima Gran Loggia d’Italia-. Dopo la parentesi di Leonardo Ricciardi, che succedette al Fera nel 1916, diventò Gran Maestro e Sovrano Gran Commendatore l’onorevole Ruggero Camera, che tentò una riconciliazione con i cugini di Palazzo Giustiniani (dal luogo dove aveva sede il Grande Oriente d’Italia). Nettamente contrario alla fusione era il Gran Segretario Raoul Palermi mentre la maggioranza dei dignitari della Massoneria di piazza del Gesù avvertirono il fratello e pastore inglese Burgess che la riconciliazione era da considerarsi un fatto ormai compiuto. Palermi, che intanto era però diventato Gran Cancelliere del Rito, non si dette per vinto e mise i bastoni tra le ruote della riconciliazione, accusando i giustinianei di fare politica e di essere di sentimenti anti-cristiani. La fusione, quindi, non avvenne perché i fratelli inglesi e americani dettero credito a Palermi, il quale non era affatto un massone qualunque, era il nipote di Saverio Fera e voleva scalare la piramide scozzesista del Rito conquistando sul campo il titolo di Sovrano Gran Commendatore, consapevole che, in questo modo, avrebbe controllato di fatto tutto l’Ordine massonico.
Muovendosi con agilità tra i palazzi del potere, ad imitazione del gran maestro Lemmi, Palermi portò alla Comunione di Piazza del Gesù affiliazioni di spessore. Per esempio, riuscì a consegnare la sciarpa e il brevetto del grado 33 del Rito Scozzese al poeta-vate Gabriele D’Annunzio di Montenevoso, iscrivendolo di fatto alla Comunione di Piazza del Gesù. Per rafforzare, poi, i suoi poteri all’interno della Comunione, Raoul Palermi stabilì l’insindacabilità dell’operato del Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese, una sorta di infallibilità papale.
Con l’avvento del fascismo in Italia, la Comunione di Piazza del Gesù operò un’infiltrazione massiccia nel nascente regime mussoliniano dopo aver foraggiato con circa tre milioni e mezzo di vecchie lire la marcia su Roma del 1922. Furono iniziati alle logge non solo alti ufficiali dell’esercito e della guardia regia ma molti dirigenti del partito nazionale fascista che furono accolti a braccia aperte proprio da Raoul Palermi il quale concorreva, con la sua Obbedienza massonica, a consolidare un blocco di potere politico-culturale di stampo conservatore, legato sia alla Chiesa cattolica che alla corona. A Palermi, non rimaneva altro che stringere a sé il duce del fascismo, e così fece il 25 ottobre del 1922, quando presso la stazione Termini di Roma, insignì Benito Mussolini della fascia del grado di 33 della sua Comunione massonica, nominandolo sulla spada persino Gran Maestro onorario. Mussolini, per contraccambiare il favore, una volta giunto al governo dell’Italia, nominò Palermi suo capo ufficio stampa alla presidenza del Consiglio dei Ministri.
Mussolini sapeva benissimo che gli uomini che lo avevano aiutato alla scalata politica appartenevano alla massoneria, in particolare a quella di Piazza del Gesù, a cominciare da Italo Balbo per arrivare fino a Cesare Rossi, Giacomo Acerbo e Roberto Farinacci. I primi tre, facenti parte del Gran Consiglio del Fascismo, si astennero dal voto quando, il 15 febbraio del 1923, Mussolini presentò un ordine del giorno per dichiarare l’incompatibilità tra l’iscrizione al partito fascista e l’appartenenza a logge massoniche. Mussolini voleva conciliarsi con il Vaticano, promuovendo anche un Concordato con la Chiesa. La richiesta di scioglimento della Massoneria venne proprio d’Oltre Tevere dove l’annosa questione romana, con la breccia di Porta Pia, pesava ancora in quegli anni.
I dodici massoni che erano presenti al Gran Consiglio del Fascismo, l’organo esecutivo del regime, ritennero giusto dismettere i panni iniziatici e giurare a Mussolini che non avrebbero più messo piede in un tempio massonico. Così, anche i gerarchi del regime Torre, Giurati, Starace, Teruzzi, Postiglione, Rocca, Bottai, Arpinati, Rossoni, Amidei, Grandi ed altri ventinove esponenti del fascismo, misero in soffitta il loro grembiulino e da quel momento indossarono solo la camicia nera.
Raoul Palermi, cercò di minimizzare il colpo, dichiarando ai suoi adepti che l’incompatibilità tra massoneria e fascismo riguardava solo i cugini del Grande Oriente d’Italia in quanto essa era un’“Obbedienza atea, sovversiva, irreligiosa” ma era una bugia. Mussolini voleva disfarsi anche dell’Obbedienza di Piazza del Gesù, temendo che si formassero al suo interno cordate politiche che potessero spodestarlo da Palazzo Venezia. In un primo momento, i seguaci di Palermi resistettero, tanto che il Gran Maestro comunicò alle massonerie inglese ed americane che non vi era persecuzione della sua Obbedienza da parte del regime fascista. E per dare dimostrazione di quanto affermava, il 12 novembre del 1923, decise di inaugurare una loggia a Parma, alla presenza di fratelli stranieri e di trenta ufficiali dell’esercito e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale che sfilarono in divisa.
Benito Mussolini era comunque intenzionato a ridimensionare il potere delle logge, ritenendo che molti dei suoi gerarchi non avesse tagliato quel cordone ombelicale che li legava alla massoneria e ai suoi complotti. Li fece spiare dal capo della polizia e da quello dell’O.V.R.A. (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione Antifascista), la polizia politica del regime. Molti furono i rapporti confidenziali consegnati al capo del Governo Mussolini, uno dei quali riguardava il ras di Cremona, Roberto Farinacci che, in un appunto del capo della polizia del 11 settembre 1925, era definito “massone del Supremo Consiglio del Rito scozzese del Grande Oriente d’Italia, espulso per indegnità, per aver richiesto nel 1916 esonero dal servizio militare” e passato poi all’Obbedienza di Piazza del Gesù: una vera onta per chi proclamava il suo acceso militarismo!
Nel carteggio su Italo Balbo, ras fascista di Ferrara e Ravenna, c’era un verbale massonico che lo includeva tra i partecipanti alla fondazione della loggia Savonarola di Ferrara all’Obbedienza di Piazza del Gesù, come maestro del terzo grado, dopo essere stato individuato dalla polizia come già appartenente alla loggia Fratelli d’Italia del Grande Oriente d’Italia. Un altro esponente del fascismo, onorevole Bernardo Barbiellini, ras di Piacenza, fu indicato dall’O.V.R.A. come affiliato al nono grado del Rito Scozzese di Piazza del Gesù. Interrogato, dichiarò di essere diventato massone con la complicità di Farinacci e del questore Morelli. Tra le carte raccolte dalla direzione generale di Pubblica Sicurezza, c’era un fascicolo di 50 fogli che conteneva l’elenco degli affiliati della Massoneria, provincia per provincia, completo di “una rubrica di 916 indirizzi di cui un alto dignitario di Piazza del Gesù si serviva per i propri spostamenti e viaggi”. Tra di loro, senatori, federali, magistrati, generali, prefetti e persino un console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Mentre Palermi si recava a New York per conto di Mussolini col fine di favorire la stipula di un contratto americano vantaggioso per lo stato italiano, gli squadristi assaltarono le sedi della Comunione di Piazza del Gesù (e anche quelle del Grande Oriente), distruggendole e saccheggiando gli archivi. Si arrivò poco tempo dopo alla nota legge del 26 novembre del 1926 che mise definitivamente fuori legge la massoneria su tutto il territorio nazionale. Le logge furono chiuse così come le sedi principali delle due obbedienze, molti massoni fuggirono all’estero per sfuggire alle persecuzioni.
Intanto Vittorio Raoul Palermi venne accusato dai giustinianei di essere al soldo del regime fascista e i Supremi Consigli del rito scozzese mondiali, per opera dell’americano John H. Cowles, tolsero il riconoscimento sia al Rito che all’Ordine di Piazza del Gesù. Il Palermi fu radiato dalla lista dei membri onorari del Supremo Consiglio del Rito scozzese di Washington (Giurisdizione Sud). Su questa decisione pesò anche una celebre missiva del 1929 Francesco Nitti, già capo della Pubblica Sicurezza e Ministro degli Affari Interni il quale dipinse il Palermi come spia del regime che inviava informative a Mussolini sulle attività massoniche interne e come collaboratore di un giornale condannato per truffa e frode nei confronti dello Stato. La lettera si chiudeva con “Palermi, dopo aver tradito la Patria, ha tradito la Massoneria, mettendola al servizio di Mussolini e facendo credere in America il contrario della Verità”.
Finita la parentesi di Palermi, Ettore Brusan prese le redini di ciò che rimaneva della Comunione di Piazza del Gesù ma un rapporto di polizia del 7 agosto del 1933 lo indicava come promotore di incontri massonici clandestini. Poi venne la volta di Carlo De’ Cantellis il quale, fin dal 1943, denunciò la complicità di Palermi con il fascismo mentre si dichiarava apertamente antifascista nel momento in cui il 4 dicembre divenne Sovrano Gran Commendatore del Rito della ricostituita massoneria di Piazza del Gesù, riattivando quei canali internazionali che si erano interrotti a causa della complicità del Palermi con il regime fascista e a causa della seconda guerra mondiale. Suo braccio destro fu Mario Badoglio, figlio di Pietro, Maresciallo d’Italia e già capo del Governo del Regno, dopo l’arresto di Mussolini effettuato dai carabinieri per ordine del re.
Intanto, mentre la massoneria italiana si stava ricostituendo per opera di emissari prestigiosi della massoneria inglese ma soprattutto statunitense, in collegamento con i rispettivi governi, un rapporto riservatissimo del commissario capo di Pubblica Sicurezza, Giuseppe Dosi, datato 9 febbraio del 1946, veniva inviato presso il comando generale del Counter Intelligence Corps (il servizio di controspionaggio americano) a Roma. In esso il re Vittorio Emanuele III veniva definito come il primo iscritto nel libro d’oro dei fratelli all’Obbedienza di Piazza del Gesù.
-Fine della prima parte-
MICHELE ALLEGRI