È finita nel peggiore dei modi, con un articolo pubblicato sulla Repubblica di Genova a fine 2021 che da solo vale più di mille trattati, l’esperienza del primo centro per minori non accompagnati, che la Superba ha ospitato dal 2014 al 2018. Un esperimento innovativo e coraggioso, nato e cresciuto all’ombra dell’ormai defunta Fondazione “Collegio S. Giovanni Battista” e che, nel bene e nel male, vale la pena di ripercorrere.
di Massimo Macciò e Luciano Corrado
La storia nasce ad agosto del 2014, quando l’allora assessore regionale ai Servizi Sociali Lorena Rambaudi incarica Francesco De Simone, presidente del cda della Fondazione, di dar vita ad un hub per la prima accoglienza dei minori non accompagnati (extracomunitari nella quasi totalità dei casi) che già da allora popolavano nottetempo le strade di Genova e che dovevano trovare un rifugio da intemperie e pericoli in attesa di un ricongiungimento o dell’immissione nel circuito dei richiedenti asilo.
Le cooperative che dovevano fornire i tutors e l’accompagnamento ai minori, infatti, non riuscivano ad accordarsi sui rimborsi richiesti per la loro attività. Rambaudi e De Simone impongono allora che le cinque coop (in ordine alfabetico: Agorà, il Biscione, CEIS, La Comunità e SABA) si riuniscano in un consorzio temporaneo d’impresa, sotto il coordinamento della Fondazione, che stipulava i contratti con le associazioni cooperative su mandato della Regione. Il raggruppamento ha successo, vince l’appalto con il Ministero degli Interni e i lavori possono cominciare.
“I ragazzi – racconta De Simone – arrivavano senza genitori alla Fiera del Mare provenienti da Lampedusa o da Mazara del Vallo, dopo aver attraversato il Mediterraneo sui barconi. Qui, grazie ad una convenzione non onerosa con l’ospedale “Gaslini” erano sottoposti a una visita medica e poi presi in carico dalla Fondazione, che li ospitava nei locali della Residenza e affidati alle cooperative. In questo modo i minori – dai dodici ai diciotto anni d’età – trovavano un rifugio e, contemporaneamente potevano essere controllati. I giovani non potevano uscire dal peraltro ampio perimetro della struttura senza l’accompagnamento di un tutor e dovevano accettare un protocollo piuttosto rigoroso in merito ai comportamenti da seguire. Il tutto mentre la Prefettura svolgeva le necessarie indagini per il ricongiungimento con eventuali parenti; dopo i diciotto anni, i giovani rimasti venivano inseriti nel canale degli “adulti richiedenti asilo” e uscivano dalla struttura”.
Il compito è piuttosto impegnativo: nessuno dei nuovi ospiti – ognuno dei quali ha un vissuto assai tempestoso alle spalle – parla la lingua italiana e bisogna arrangiarsi col francese e l’inglese; molto spesso, però, i giovani parlano solo arabo o idiomi dell’Africa sub-sahariana, e allora gli esperti delle coop s’inventano anche dei cartelli indicanti gli organi del corpo umano, così che i ragazzi possano indicare a gesti le proprie necessità.
Ancora: molti minori sono musulmani, e De Simone deve servirsi dell’imam Salan Hussein di Genova (che svolgerà egregiamente il suo compito) per il conforto spirituale; altri sono cattolici ma, come detto, non parlano l’italiano, ed ecco padre Alexis, un religioso maliano poliglotta che risolverà più di un problema.
C’è il problema dell’alimentazione perché le combinadas (piatti unici della cultura africana) sono sconosciuti in Occidente. C’è la tentazione di rubare forchette e coltelli, per rivenderli al mercato nero o per farne un “uso improprio“, e allora De Simone adotta le posate di plastica, e così via. E c’è il problema dei soldi: nessun ente locale contribuisce a coprire le molte spese che gravano, quindi, sul bilancio della Fondazione: la lettera con la quale nel 2016 De Simone chiede un contributo volontario al sindaco del Comune di Genova Marco Doria è ancora in attesa di risposta. I contributi continueranno, quindi, ad arrivare alle cooperative esclusivamente dal Ministero degli Interni, e la Fondazione si accontenterà di sei euro/giorno per ogni ospite come rimborso per tutti i servizi alberghieri (il costo vivo è stimato in 9,80 Euro/giorno).
Ma, contro ogni previsione, l’esperimento funziona, e funziona talmente bene che nel 2015 e nel 2016 i locali della Residenza arriveranno a ospitare oltre ottanta minori non accompagnati, talvolta per due anni o più.
Qualcuno, sempre sotto il controllo di psicologi, pedagogisti e tutor, riesce ad iscriversi alle scuole professionali, grazie anche ad un accordo con l’AMT per il trasporto degli stessi. Il tutto senza l’ombra di un furto o di un reato all’interno della Residenza, i cui locali rimangono in perfetta efficienza. Di più: per quattro anni hanno convissuto fianco a fianco nello stesso spazio fisico e usufruito delle stesse strutture seicento studenti liceali della succursale del “Cassini”, gli operatori e gli utenti della IsforCoop e un centinaio di “minorenni non accompagnati” (leggi: di extracomunitari senza guida parentale) con i loro accompagnatori, senza che vi sia stato un solo reclamo o lamentela da parte di chicchessia. È un esempio lampante di convivenza e d’integrazione, di cui vanno ringraziati (ed è bene ricordarlo) non solo i tutor e gli esperti della Fondazione e delle associazioni ma anche la dirigente scolastica, i docenti e il personale della scuola genovese.
Il tutto, però, finisce bruscamente a settembre del 2018 quando, dopo un mese di prorogatio, termina il mandato di De Simone come presidente della Fondazione, che viene commissariata e da lì a poco sparirà (vedi Trucioli n. 84). La Regione Liguria e i commissari, molto semplicemente, non rinnovano i contratti biennali (in scadenza a fine anno) alle cooperative, licenziano i due dipendenti e chiudono baracca e burattini. Pochi mesi dopo De Simone, invitato dal curatore fallimentare Giovanni Battista Poggi a visionare i locali in vista della vendita, trova le stanze sventrate e ridotte a un dormitorio per i senzatetto, i sanitari divelti, alcuni muri apparsi dall’oggi al domani per impedire l’accesso ai malaugurati ospiti, reti metalliche e quant’altro. Di minori, e di controllo sugli stessi, nemmeno l’ombra.
Poi, a dicembre del 2021, ecco l’articolo di la Repubblica e le accuse del combattivo consigliere comunaleStefano Giordano (M5S) a porre in luce le attuali condizioni di ragazzi arrivati a Genova con mille speranze e crudelmente disillusi. Ed ecco la lunga ed affannata sequenza di dichiarazioni – per carità: tutte legittime – dei tanti politici nostrani di prima, seconda e terza fila. La vicenda dell’hub genovese sta sicuramente per risolversi: resta un’esperienza di successo formativo e d’inclusione sociale gettata alle ortiche senza un perché.
Massimo Macciò e Luciano Corrado