Il 12 ottobre 2021 moriva all’Ospedale di S. Corona in Pietra Ligure, colpito da emorragia cerebrale, Gianni Romolotti, persona fuori dal comune, la cui figura è rimasta indelebile nella memoria e nel cuore di chi abbia avuto l’onore di conoscerlo. Per questo ci è parso doveroso ricordalo anche per chi non rientra in tale novero. Gianni e la moglie Marina hanno vissuto in un rustico con terreno acquistati nel 1990 a Celle Ligure.
di Gian Luigi Bruzzone
Descrive Romolotti: “Il I maggio 1987, verso le 18.40, ora dell’apparizione, mi trovavo con mia moglie in prossimità della canonica di Medjugorje. Con centinaia di altre persone ho potuto osservare, a occhio nudo, lo straordinario fenomeno del sole che pulsa, precipita, rotea e danza. Il giorno dopo decisi di fotografare il fenomeno, sempre alle 18.40. una specie di tentativo infantile di bloccare il fatto. Sviluppando la foto mi accorsi che oltre alla inquadratura inconsueta – né orizzontale, né verticale – appariva sulla destra la sagoma della Vergine Maria».
«Nell’immagine – confiderà all’amico giornalista Stefano Lorenzetto – una nube che in cielo non c’era: una silhouette di donna col manto zittisce i passeri, fa danzare il sole e converte gli scettici. Mi ha guarito dal cancro».
NATO IN PROVINCIA DI LATINA E ORIGINI A REGGIO EMILIA – Gianni nasceva a Pontinia in provincia di Littoria (oggi Latina) il 10 agosto 1936, primogenito di Giuseppe e di Assuntina. Non resterà figlio unico: lo seguirono infatti un fratello e quattro sorelle. Il padre Giuseppe, avvocato, era incaricato a seguire i dipendenti impegnati nell’opera di bonifica delle Paludi pontine, dalle quali sorgevano Sabaudia, Littoria e la stessa Pontinia.
Scoppiata la guerra, i bombardamenti americani dal mare costrinsero la famiglia a rifugiarsi a Reggio Emilia, terra originaria dei Romolotti, dove abitarono negli anni 1944-49 in una villetta alla periferia della città. Bimbo fu spaventato dai bombardamenti, fanciullo assisté ai tragici frangenti del dopo-guerra, così violenti nel triangolo rosso dell’Emilia Romagna, insanguinato da massacri di sacerdoti e da cupe vendette, alle elezioni del 1948.
Nella memoria di Gianni rimasero indelebili alcune gesta dei compagni. «Avevo nove anni, quando una mattina, andando a servire messa da Don Iori, vidi un uomo con le braccia spalancate appiccicato al muro: l’avevano inchiodato a mitragliate, come su una croce, un’altra mattina, al numero 28 di Via Emila Santo Stefano, c’era un morto per terra con un pezzo di cervello che pendeva dal pomolo dorato del portone: gli avevano spaccato il cranio in quel modo». Così ricorderà a distanza di mezzo secolo in una suggestiva intervista propostagli da Stefano Lorenzetto ed apparsa su “Il Giornale” il 27 settembre 2009.
IL PAPÁ DIRESSE ‘IL GIORNALE DEL POPOLO’– Cessato il tragico conflitto mondiale, l’avv. Giuseppe negli anni 1947-52 fu chiamato dall’industriale del cemento Carlo Pesenti a dirigere “Il Giornale del popolo” quotidiano di Bergamo vissuto negli anni 1945-62 (nel 1963 la testata divenne “Giornale di Bergamo”), evidente ‘contraltare’ de “L’Eco di Bergamo”, ed intervenne nell’ambiente della stampa, partecipando – ad esempio – all’atto costituivo del Fondo nazionale di previdenza per i lavoratori dei giornali quotidiani (Roma, 3 aprile 1958). Divenne poi direttore della Same in Milano, società che stampava vari giornali, fra cui “Il Giorno”, allora fondato. Giuseppe aveva uno spiccato senso storico, dimostrato dalle ottime monografie: 1914: suicidio d’Europa, Milano, Mursia, 1964 e 1919: la pace sbagliata, Milano, Mursia, 1969.
LAUREATO ALLA BOCCONI E IMPIEGO AL ‘BANCO DI ROMA’ E POI PUBBLICITARIO- Nel frattempo Gianni, espletato il corso elementare e medio a Bergamo, approdava alle scuole superiori a Pavia diplomandosi in ragioneria, cui seguì l’università Bocconi in Milano. Per due anni lavorò al Banco di Roma, ma una volta tornato dal servizio militare – correvano gli anni 1958-59 – non volle più tornare in banca. Quel posto stava stretto alla sua fantasia, alla sua curiosità intellettuale, all’indole estrosa e particolarmente comunicativa. E così, da vero creativo, divenne pubblicitario: scelta degna di nota, sia per la consapevolezza sottesa alla scelta, sia per essere una professione se non nuova in assoluto, di sicuro non molto diffusa e non priva di rischi.
I CLIENTI DI PRESTIGIO – Ma Milano sotto codesto aspetto era all’avanguardia e Gianni lavorò nelle agenzie Sigla, Ted Bates, ODG, Publinter ed altre, sempre imparando e progredendo. La bravura fu premiata (una volta tanto) e da subito ebbe clienti di prestigio a livello quanto meno nazionale, quali – citando alla rinfusa, senza ordine alcuno, né d’importanza, né di tempo – la ditta Perugina (quella dei baci), l’Agip, la Filotecnica-Salmoiraghi (poi Salmoiraghi–Viganò), Polenghi Lombardo, Scagli, “Il Giornale”, TMR Cederna, Niccolai, Lancia, HIPE, Bonaldo, Ross, Casamania, Danesi, Marconi, Later com, Bellotti, Nuovo Fopan, PHF, Cattaneo press, Schidel, Betonrossi. Giovani & impresa, Cazzaniga, Gear Soft e via snocciolando. Nel 1978, formatosi un’idea circostanziata grazie ad anni di esperienza e di conoscenza della realtà economica, sociale e del mercato, decise di varare una propria agenzia: «Realtà, pubblicità & marketing», tutt’ora in essere.
Rievocherà l’interessato stesso, sia nella bella intervista propostagli dall’amico Stefano Lorenzetto apparsa su “il Giornale”, 27 settembre 2009, sia in modo più stringato nel solito libro: “Quante situazioni e personaggi conosci nel mondo lavorativo, specie nella giungla della pubblicità”.
PERSONAGGI FAMOSI – In altra sede ho riportato la serie di personaggi famosi da me frequentati e con i quali ho lavorato. Tra gli altri la grande Mina, i fratelli Taviani, il Citto Maselli, collezionista di vetture d’epoca, il timido Fogar, Nastase il tennista matto, Savignac poeta della grafica, Cefis, il lunghissimo Montanelli, l’Aga Khan col quale feci una pessima figura, Sinatra. E poi la Carrà con Buoncompagni, Villaggio, Silvye Vartan, perfino Monsignor Colombo, il cardinale di Milano, che Dio lo abbia in gloria. E ancora, Fausto Gardini, Aurelio Fierro, il triste Valpreda» (G. Romolotti, Medjugorje e dopo?, Milano, Sugarco, 2012, p. 26).
INCONTRO CON MARINA E NOZZE A VARAZZE CELEBRATE DAL FRATE CUGINO DELLA SPOSA –Anche a livello personale la vita di Gianni conosceva una svolta: durante le feste natalizie del 1963-64 in Ortisei conosceva per caso Marina. Fu il proverbiale colpo di fulmine per l’avvenente fanciulla diciottenne da parte di un ventottenne, sposata nel giugno 1964 a S. Nazaro in Varazze, nozze officiate da un frate cugino della sposa varazzina. Così revoca l’incontro l’interessato, camuffando l’emozione, con una venatura ironica: «Nel Natale del ’63 mi ritrovai col mio maggiolino nuovo di trinca sulla strada che porta alle magiche Dolomiti. La macchina nuova, gli sci nuovissimi e ancora da pagare col sistema Compass di allora e tanta voglia di vita. Lei, mai conosciuta, mi stava aspettando. Ad Ortisei mi imbattei nella bella ragazza: se ne stava uscendo arrabbiata e sbuffante dall’ingresso dello stesso albergo dove alloggiavo io. Anche lei lì, con due amiche e la mamma di una di queste a godersi la neve di Siusi e dintorni. Il suo broncio, la sua pelliccetta – quella della mamma – ed un certo maglioncino nero, con certi cuori rossi ricamati, mi fecero perdere la testa e il 31 dello stesso mese di dicembre mi sembrò giusto chiedere alla ragazzaccia se volesse sposarmi. Lo voleva». (G. Romolotti, Medjugorje , cit. p. 25).
La nuova famiglia abitava nel capoluogo ambrosiano, sede lavorativa del marito e dal 1978 della propria società.
Ottimo andamento grazie alla competenza e all’oculatezza del Romolotti. Di fatto, anche in codesto settore, ossia nella strategia della comunicazione, occorre avvertire le tendenze del mercato, prevenire le richieste ancorché implicite dei clienti, affrontare mutamenti di rotta repentini, subodorare nuovi gusti, superare ostacoli imprevisti o meno, gestire mutevolezze di richieste e di persone.
LA PROPOSTA ALLETTANTE DI BERLUSCONI, IL RIFIUTO: ‘PANE E CIPOLLE A CASA MIA’ – Rammento un episodio soltanto. Attorno al 1980 Silvio Berlusconi con un procedere desueto, se non disinvolto, contattava ditte e società travalicando le agenzie pubblicitarie e proponendo contratti appetibili e convenienti, almeno in apparenza. Il Romolotti ne fu danneggiato, ma non restò inerme, e la sua competenza fu riconosciuta, anzi ambita dal Berlusconi, che gli propose di passare con lui, offrendogli di colpo il doppio del fatturato allora prodotto dall’agenzia romolottiana! L’interessato rispose «Pane e cipolle a casa mia!» Chissà, forse aveva letto e non era immemore della curiosa espressione del filosofo stoico Attalo: «Abbiamo acqua e polenta, possiamo gareggiare in felicità con Giove stesso»! (Seneca, Epistulae morales, CX). Anche l’Aga Khan avrebbe scelto Gianni (su oltre trecento candidati) quale coordinatore per la nascente Costa Smeralda e lo ricevette nella sfarzosa villa a Porto Cervo.
I coniugi lavorarono fino al 2001: in tale anno vollero ritirarsi, passando le quote all’unica figlia Giovannella e a suo marito. Matrimonio sereno quello di Gianni e di Marina, per quanto umanamente possibile, durato cinquantasette anni. Senza peccare d’indiscrezione, viene da immaginare la saggezza dei coniugi, capaci di comprendersi e di scusarsi negli inevitabili problemi e screzi della vita quotidiana e della diuturna convivenza a fianco a fianco, mossi sempre da vicendevole rispetto. Così, ad esempio, Gianni continuò a praticare il tennis, sport detestato dalla consorte, fino al brusco abbandono, imputabile ad un’operazione al ginocchio destro. Marina invece – nomen omen ed appartenente a non oscura famiglia varazzina – era amatissima della vela e mai vi rinunciò, portando sulla propria bella e grande barca «Gio-Pi2» (così battezzata in memoria di Giovanna e di Giuseppe, genitori di Marina e di Gianni), modello Pretorien, costruita da Wauquiez, Gianni e la figlia, obbedienti alla sua provetta regia nautica!
Ritiratisi dall’agenzia, come detto, i nostri coniugi dall’anno 2002 fissarono la loro dimora a Celle Ligure, un rustico con terreno acquistati nel 1990.
IL SECONDO COLPO DI FULMINE – Ma veniamo ad un secondo colpo di fulmine, questa volta metafisico, da cui Gianni fu illuminato. Il I maggio 1987, Gianni, Marina e gli amici Viola, volarono a Medjugorje, mossi da mera curiosità e con spirito vacanziero. Fino allora il Nostro era stato un poco scettico (non ateo, tuttavia, ed anzi ogni tanto praticante, sia pure senza troppa consapevolezza e convinzione), insomma «agnostico e vigliaccone» per servirci delle sue colorite espressioni.
Fu per Gianni una sveglia, una sberla al suo quieto vivere anodino; divenne un’altra persona, entrò in una «metanoia», in una ri-conversione, vide «il mondo e la propria vita sotto una angolatura diversa, quella di Dio, l’unica, non ci sono alternative», sub specie aeternitatis, si sarebbe detto un tempo. In ottobre si recava di nuovo in quel paese sperduto: sentiva nostalgia per quelle giornate intessute di orazioni continue, per la chiesa di S. Giacomo, per il monte benedetto. Non senza sorpresa aveva visto «il popolo di Dio in tutta la sua colorita varietà, ma tutti a pregare, pregare e pregare. È questo il miracolo di Medjugorje, vedere sgranare tanti rosari quasi a diventare benefica ossessione. Rispondere alle litanie in continuazione. Andare alle messe celebrate in croato, inglese, tedesco, italiano, francese, russo, spagnolo». (G. Romolotti, Medjugorje, cit., p. 58) E perché non celebrarle nella lingua universale del latino?
I PELLEGRINAGGI – Seguirono altri cinque pellegrinaggi, sempre accompagnato dalla consorte, e da subito divenne amico di P. Slavko Barbaric (1946-2000) e di P. Jose Zovko (1941-…) e si trovò in relazione con uno stuolo di fedeli compagni del miracoloso evento. Promosse gruppi di preghiera, organizzò al Palatrussardi in Milano, preso in affitto, insieme con Cabrini, Zaccone, Rosio e Graziana Viola, incontri coi veggenti negli anni 1988-89-90, con la partecipazione di circa diecimila persone, oranti per l’intera giornata! Tacendo la collaborazione ad iniziative di vario genere, rammento i religiosi e le religiose coinvolti da Gianni-Ave Maria «nelle meraviglie di Medjugorje: padre Italo, padre Emanuele, don Giusto, don Cini, don Guido, don Nino, don Marco, don Dante, don Militello, don Massimo, don Angelo, suor Teresilla, suor Marianna, suor Piera, padre Gianmarco e tanti altri che hanno fatto del bene ai Gruppi di preghiera». G. Romolotti, Medjugorje, cit., pp. 79-80).
Né poteva essere diversamente. È da sprovveduti infatti aderire acriticamente alle sempre provvisorie persuasioni della propria epoca. La coerenza acquisita non poteva limitarsi ad un vago desiderio, ma divenne operativo – come s’è accennato – ed in molteplici direzioni. Ora rammento l’opera divulgativa tramite la stampa. Reduce dalla ‘sberla’ del maggio 1987, stampò a migliaia di copie la fotografia da lui scattata con il profilo della Vergine, poi compose e pubblicò l’opuscolo: Da Medjugorje si torna diversi. In meglio, [Milano, 1987] impresso ad alta tiratura e distribuito gratuitamente: composto ad un mese dal primo pellegrinaggio esso narra il proprio ritorno ad una fede convinta e coerente. Seguì un libretto sul Rosario (recensito da “Il Timone”), la video-cassetta Sette anni dopo, nonché il volumetto: Se ti facessero queste domande, sapresti rispondere? Una guida ragionata per dare le risposte, Milano, Milano, Mimep-Docete, [2007] ed il volume autobiografico e quasi consuntivo: Medjugorje. E dopo?, Milano, Sugarco, 2012.
COADIUVAVA IL PARROCO E PIANI DI CELLE – Dictis facta respondent! Si possono attribuire a Gianni le parole spese dall’amico Vittorio Messori per Francesco Faà di Bruno: Mostrò «quali fossero gli effetti positivi della fede sulla vita di coloro che ne accettano tutte le conseguenze». Di fatto, fu fedele alla S. Messa quotidiana, lettore durante il santo sacrificio eucaristico, da ultimo – per risiedere in Celle Ligure– coadiuvava il Parroco dei Piani di Celle D. Antonio Giusto (1923-2017), dove l’8 dicembre 2013 fondava un gruppo di preghiera tutt’ora in essere; fedelissimo alla preghiera (quando fu ricoverato all’ospedale, donde non uscì più vivo, gli trovarono avvolta al polso la coroncina del Rosario), all’apostolato nei caffè, per istrada, con sconosciuti, senza scoraggiarsi mai dell’insuccesso.
SCRIVEVA A VESCOVI E PARROCI – «Pregare e non parlare, è una cosa da imparare» era solito ripetere. E con
analogo coraggio, libero dal rispetto umano, non si peritava di stigmatizzare molte vergogne del nostro tempo, quale il secolarismo, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e non pochi tradimenti dottrinali, ancorché provenienti dall’alto: piscis e capite putet, sentenziavano con acume i romani. Non senza ragione scriveva a vescovi e a periodici di mezza Italia per metterli in guardia – con spirito di servizio – circa affermazioni e scelte quanto meno opinabili, se non autolesioniste e perfino sospette per l’ortodossia. Anche un Cardinal Carlo Maria Martini ebbe una bacchettata per il suo professato (altri direbbe ostentato) ecumenismo, lesivo della verità e della religione cattolica; ovvero un Cardinal Dionigi Tettamanzi più sindacalista che pastore al tempo del famigerato G8; ovvero un D. Antonio Sciortino direttore di “Sfamiglia cristiana”, per adoperare la feroce revisione della testata di Gianni. D’altra parte i fatti ne hanno dimostrato la veridicità, se si considera il tonfo di questo settimanale un tempo serio ed il più diffuso nella Penisola.
Del resto, Gianni fu sempre riflessivo e consapevole del momento storico nel quale si vive. Lo dimostra quanto scrive circa la pellicola La dolce vita di Federico Fellini, vista in anteprima su invito di un ‘pezzo grosso’ della Perugina. «Più che le scene audaci e trasgressive – come si dice oggi – meravigliava la concitazione dei vecchi, diciamo di quelli dai cinquant’anni in su. Come se quel film fosse loro creatura, la rivendicazione di anni di bigottismo, clericalismo ecc. Allora l’adulterio era un peccato e così la manifestata omosessualità, i partouze, la droga, gli spogliarelli privé. […] Intuivo che qualcosa di nuovo stava succedendo nella nostra Italia ancora sana, e piano piano, col succedersi degli anni e dei vistosi cambiamenti, me lo confermai. La Dolce vita era uno dei segnali da tener presente, ma era in buona compagnia assieme a Pasolini osannato, la stampa pornografica con Men, Playmen. ABC, Emmanuelle. Poi Tango a Parigi, la minigonna, i capelloni, i Beatles, le prime avvisaglie della droga, i rerefenda sul divorzio ed aborto dietro l’angolo. Il turpiloquio, la maleducazione, il vestirsi sciatto, si irrideva la fedeltà, si indulgeva alle reciproche corna, si facevano film scosciati sul nulla. Poi le inchieste dei rotocalchi femminili circa l’inizio dell’attività sessuale delle minorenni, l’elencazione delle varie pratiche sessuali e il parlare nei salotti con disinvoltura…» (G. Romolotti, Medjugorje, cit., pp. 24-25).
Tanto impegno non poteva non sfociare in una severa – meglio, corretta e calzante – disamina dell’attuale pseudo-cultura e la messa in guardia per i cattolici. Attorno al 1990 intendeva pubblicare sul “Corriere della Sera” un breve testo di codesto tenore, così da suscitare un benefico scandalo, un risveglio delle coscienze addormentate. «Siamo in letargo da troppo tempo. Ingessati e rattrappiti, abbiamo frainteso, per pigrizia, la parola di Gesù. Quel Cristo che ha detto di pregare per i propri nemici. Ma non di seguirne i consigli. E così ci troviamo, giovani o vecchi che siamo, laici o religiosi, in grande confusione e spesso non sappiamo darci le risposte: né a noi, né a chi ce lo chiede. Con questa pagina un gruppo di amici cattolici e praticanti e peccatori desidera buttare il sasso nello stagno della pigrizia, per offrire qualche segnale a qualcuno. Diamo per scontato che saremo presi per velleitari, se non folli; dolce complimento che ci confermerà di essere scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani. Ci abbiamo provato, ora sta a voi raccogliere l’invito…». E perché lo svegliarino fosse più perspicuo focalizzava i tradimenti da parte dei vecchi, della famiglia, della scuola, dai mezzi di comunicazione sociale, dalla politica e perfino da certi uomini di Chiesa.
Opportuno ed avveduto il rivolgersi ad uomini pensanti, poiché «I buoni possono rendersi utili vicendevolmente. La loro funzione è la pratica della virtù e di mantenersi nello stato di saggezza, perciò ognuno di essi ha bisogno di avere un altro con cui conferire, con cui discutere […]. Il saggio gioverà al saggio dandogli slancio, indicandogli le occasioni per fare il bene; gli esporrà qualche sua riflessione, gli svelerà le sue scoperte…» (Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, CIX)
LO STUOLO DI ESTIMATORI – L’indole estroversa e comunicativa del Romolotti si conquistò uno stuolo di estimatori, sovente trascesi in amici. «Le somiglianze piacciono, del resto, specialmente fra anime oneste e che sanno egualmente apprezzare e farsi apprezzare», come sentenzia Seneca (Epistulae morales, CIX). Limitandomi a menzionare quelli svolgenti una professione comunicativa, e però con particolare comunanza con la professione del Nostro, rammento alcuni giornalisti, in ordine alfabetico: Magdi Cristiano Alam (1952-…), Rino Camilleri (1950-…), Renato Farina (1954-…), Vittorio Feltri (1943-…), Mario Giordano (1966- …), Stefano Lorenzetto (1956-…), Vincenzo (Enzo) Palmisano (1940 – …), Pietro Senaldi (1969-…), Andrea Tornielli (1964-…). Il Palmisano, coraggioso per le sue inchieste sulla criminalità organizzata e non a caso minacciato di morte, è fratello gemello di Marcello Palmisano (1940-95) massacrato a Mogadiscio il 9 febbraio 1995.
Amici appartenenti ad altre categorie appartengono Mgr Luigi Negri (arcivescovo di Ferrara-Comacchio. 1941-2021) fra i più stretti collaboratori di D. Luigi Giussani, docente, teologo, arcivescovo di Ferrara, il quale da ultimo metteva in guardia che la pandemia del CV non diventasse pretesto per ledere diritti inalienabili, fra cui la libertà di culto, di espressione, di movimento. Pericoli non ipotetici, dal momento che li abbiamo constatati, per chi ovviamente non porta i paraocchi asinini.
ARCIVESCOVO NELLA CASA DELLA FAMIGLIA – Mgr Negri veniva sovente a Celle Ligure, poiché la famiglia vi possiede un appartamento. Anche Don Giussani era ben conosciuto da Gianni: un brutto giorno degli anni Settanta nella abitazione di lui in Via Ripamonti vi aveva trovato rifugio, inseguito da extra-parlamentari sinistri che bramavano farlo fuori; dovette togliersi la veste talare e Gianni gli imprestò la propria automobile Simca. E poi D. Giuseppe Militello, teologo, scrittore; Vittorio Messori (1941-…) giornalista, scrittore di amplissima fama, dal quale Gianni fu reso più consapevole della Fede professata; Vittorio Meschini operante nel campo pubblicitario e così via.
Medjugorje ha folgorato un esercito di uomini e di donne, religiosi e laici, mutandone la vita e facendoli banditori instancabili del messaggio mariano. Non essendo possibile esemplificare, rammento a caso – per alcune analogie col Romolotti – Wayne Weible, editore e giornalista, il quale nel 1985 si recava in Bosnia per stilare un articolo sull’evento. La sua esistenza cambiò in modo radicale: si convertì divenendo messaggero indefesso della «Kraljca mira», della Regina della pace, quantunque protestante luterano (W. Weible, Medjugorje. Il messaggio, Milano, Rusconi, 1992).
Gian Luigi Bruzzone