Non è novità assoluta. Non solo in quanto apparso da qualche anno assai presente sui mass media il messaggio sul ruolo della donna nella società italiana. Tanto meno pensando a titoli su riviste e quotidiani di fronte a comportamenti assurdi nella vita famigliare da parte della componente maschile.
di Sergio Ravera
Nella struttura produttiva dell’Italia, la donna è ormai presente da tempo ai vari livelli operativi, con crescenti livelli di responsabilità fino a raggiungere sempre più posizioni di assoluta valenza..
Certamente, rileva l’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere-Infocamere, rimane molta strada da percorrere assieme, se ai vertici di ditte e società italiane solo un incarico su 4 è ricoperto da donne.
Ma se è vero che, tutt’oggi, la presenza femminile tende a ridursi al salire del livello di responsabilità, qualche piccolo passo avanti le donne al vertice l’hanno pur fatto, crescendo di 8.602 posizioni (+0,88%). Questo è avvenuto mentre contestualmente il numero delle donne che ricoprono cariche nel mondo imprenditoriale è andato riducendosi dello 0,46%, perdendo quasi 12mila posizioni tra dicembre 2019 e dicembre 2021, in virtù di un calo consistente soprattutto tra le socie (circa 19mila in meno) e le titolari di imprese individuali (-7mila). Segno quest’ultimo delle difficoltà che stanno attraversando soprattutto le imprese minori.
Gli studi di Unioncamere, afferma il Presidente Andrea Prete, mostrano che le donne sono più innovative, più attente ai valori della sostenibilità ambientale, più responsabili nei riguardi dei loro collaboratori. La crisi di questi anni è stata dura anche per questa componente fondamentale della nostra economia che ha rallentato la crescita. Nondimeno, occorre puntare sulle donne gran parte delle quali ha fondato o partecipato alla costituzione delle imprese femminili esistenti in Italia.
Il quadro, poi, che emerge dai dati dell’ultimo biennio (2019-2021) mostra come soprattutto alcuni dei settori a maggior partecipazione femminile abbiano pagato salato il conto della pandemia e delle chiusure forzate succedutesi da marzo 2019. Primo tra tutti il commercio, che conta quasi 6.300 imprese in meno guidate da donne, l’agricoltura (circa 3.500 in meno) e il manifatturiero (circa 1.500 in meno). Più dinamici e proattivi risultano, invece, alcuni comparti a maggior contenuto di conoscenza, secondo una tendenza in atto da tempo, come le attività professionali, scientifiche e tecniche (+3.751 le imprese femminili), i servizi di informazione e comunicazione (+1.014), l’istruzione (+524) e la sanità (+468). Bilancio positivo anche per il settore immobiliare e finanziario (+1.929) e per il noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (+2.195).
A livello territoriale, esaminando il tasso di femminilizzazione al 2021 emerge come il dato nazionale pari a 22,13 per cento, nel contesto dell’Italia Nord-Occidentale venga superato da Valle d’Aosta e Piemonte, contrariamente alla Lombardia soprattutto e alla stessa Liguria con il 22,10% (sono 35.941 le imprese femminili) quest’ultima stante la posizione assunta da Genova che denuncia un 20,03%, superata nell’ordine da La Spezia con il 25,90%, Savona con il 24,5% (7.321 imprese femminili) quindi Imperia con il 22,90%.
Ma tutto ciò non tragga in inganno. Il quadro generale territoriale può aver trovato una sua configurazione condizionato, da un lato, dal preponderante numero di piccole-piccolissime imprese; dall’altro, da una situazione congiunturale determinatasi nel tempo.
Sergio Ravera