Evitiamo ai lettori come si arrivò ad incontrare colui che era stato riconosciuto come ‘mente’, il ‘cervello’ della banda. Con quali diffidenza e difficoltà si ottenne l’intervista e un ‘patto’ non rispettato. Voleva leggere il testo prima della pubblicazione. Era molto dubbioso e seguirono altri incontri, spesso casuali, per le strade di Savona dove ai più era uno ‘sconosciuto’. Lunghe chiacchierate. Un caffè al bar, un aperitivo.
Vandelli detto anche lo ‘svizzero’ che nell’intervista rivelava: “Non ero il più bel prete di Roma, ma senz’altro il più armato. Un mitra Skorpion, il primo sequestrato in italia, sette pistole, 1500 pallottole.” E’ stato candidato alle ‘comunali’ del 1970 nella città della Torretta. Ha fatto parte della banda che rapì Sergio Gadolla liberato dopo 5 giorni dietro pagamento di un riscatto ingente, 200 milioni di lire.
Vandelli tornato nella sua Savona dove aveva abitato fino ai giorni del sequestro Gadolla. L’intervista quando aveva festeggiato i 50′ anni ed era diventato nonno. Alle spalle 8 anni di carcere speciale (21 la condanna in primo grado, ridotti a 15 in appello ed in Cassazione), quindi la libertà vigilata. Come si arrivò a costituire una banda armata e alla criminalità comune ?
Vandelli: “Fu Rinaldi, ex partigiano, a contattarmi…il nostro obiettivo era colpire le istituzioni, però occorreva denaro. Anch’io avevo le mie rivalse socio-politiche: lavoravo da 20 anni senza riuscire a realizzarmi. Ero direttore commerciale di una casa editrice a Genova e dovevo aprire un ufficio. Mi chiesero delle garanzie. Alla banca chiesi un prestito di 400 mila lire, ma fecero mille difficoltà. …Il sequestro Gadolla fu un ripiego, per evitare rapine e spargimento di sangue mi appariva la strada più umana.”
Quante volte ha temuto di essere scoperto e arrestato ? Vandelli: “Almeno tre volte. Una quando sono andato a ritirare i soldi del riscatto. Sapevo di essere pedinato, invece con l’ostaggio ancora nelle nostre mani la polizia ha preferito attendere. Il denaro era in banconote da 10 mila.” Parla di due auto civetta che lo tallonavano. La fuga fu attraverso una stradina laterale per seminare gli ‘inseguitori’, quasi da non credere al racconto-testimonianza. Poi si diresse a Roma.
Come furono suddivisi i 200 milioni ? Vandelli: “I patti erano anche a me toccava 50 milioni, il restante ai complici. 95 milioni, temendo di essere arrestato col malloppo, li ho subito ‘imboscati’ ma non sono più riuscito a trovarli, anche se nessuno ci ha creduto. Con il denaro ho raggiunto anche Milano dove ho fatto la provvista delle armi che avevamo bisogno. Lo Skorpion lo pagai 350 mila lire. Quelle armi dovevano servire per la guerriglia urbana. Ebbene il nome ’22 ottobre’ non è la data della fondazione del gruppo, come finora si è letto e creduto, ma il giorno della consegna, da parte mia a Rinaldi e C. di 75 milioni. Loro non l’hanno mai ammesso perchè si vergognavano.”.
Il primo a ‘tradire’ Vandelli, come rivela l’intervista, fu Rinaldi con la promessa della libertà provvisoria. “Io vivevo a Roma dove trascorrevo una latitanza dorata, vestito da prete ed armato fino ai denti, ma tradito da un amico che si è venduto alla polizia per pochi milioni. Credo tre. Il carcere è stata un’esperienza traumatica e questo malgrado mi fossi già dissociato dai componenti della banda perchè non potevo condividere azioni sanguinarie. Soprattutto dopo la tragica rapina in cui morì Alessandro Floris, il fattorino dell’istituto Autonomo Case Popolari. Il periodo più brutto, vorrei dire infame, l’ho trascorso a Novara, nel primo supercarcere.”
Ha dormito tre mesi in celle di isolamento con un faro del muro di cinta puntato sul letto. “Ho assistito ad atrocità nei confronti di alcuni detenuti, cose che non si vedevano neppure al cinema. Feci anche un esposto alla magistratura. Gli agenti di custodia pestavano senza nessuna ragione.” Diverso il periodo trascorso a Pianosa. “Qui avevo dato vita ad una squadra di calcio; metà composta da agenti e metà da rapinatori.”
Qual era il suo giudizio sulle carceri speciali ? “Il supercarcere rendeva irriconoscibili anche quei ventenni rinchiusi anche senza accuse gravi. Ho conosciuto periodi in cui si respirava un’atmosfera più distesa. Anche i rapporti tra detenuti e guardie erano più umani. Ora vivere in carcere è come essere in una polveriera.”.
Un apprezzamento per il generale Alberto Dalla Chiesa. “Uno dei pochi che in Italia sa fare il suo mestiere e che io, in un primo tempo, volevo morto a tutti i costi. Il supercarcere è positivo perchè ha migliorato l’aspetto igienico e da la possibilità al detenuto più debole di sottrarsi a certe angherie, al potere delle cosche mafiose che dominano in molti istituti di pena.
Il sequestro D’Urso e la chiusura della sezione di massima sicurezza dell’Asinara. Domandiamo a Vandelli se lo stato ha fatto bene a trattare. “Uno Stato forte tratta, è inutile fare gli isterici, Lo Stato forte può sempre prendersi la rivincita, senza arrivare a sistemi latino – americani. Per colpire in modo profondo sono però indispensabili maggiore organizzazione delle forze di polizia e mezzi adeguati. Non bisogna sopravvalutare il terrorismo almeno sotto alcuni aspetti. Non non ha uno sbocco politico, perché i terroristi italiani non riescono a parlare con gli operai, non hanno nulla di popolare.”
La centrale del terrorismo è all’estero ? Vandelli: “Le BR,prima linea e le altre formazioni armate sono un fenomeno solo italiano. …Quella delle armi è una favola; se ne trovano in Italia e in Svizzera a volontà, basta pagare. …Bisogna ammettere che finora piuttosto si è fatto poco o nulla per eliminare le cause sociali che generano il terrorismo. …E le università vere e proprie fabbriche di disoccupazione ? Non scomodiamo i servizi segreti stranieri che da che mondo è mondo hanno sempre svolto in ogni Paese una certa opera di destabilizzazione”.
Perchè, a suo avviso, D’Urso è stato liberato? “Posso affermare per esperienza acquisita che il lavoro ai fianchi, in chiave psicologica e tattica, portata avanti dai socialisti e dai radicali ha inchiodato gli uomini delle BR. Non poteva ucciderlo. La tomba di D’Urso sarebbe diventata la tomba politica degli stessi terroristi. Trattare non solo è stato saggio, ma ha inferto un duro colpo agli stessi strateghi dell’eversione. Il tempo, sono sicuro, mi darà ragione”.
L. Cor.
L’UNITÀ DEL 22 NOVEMBRE 1972