Savona, “spietata e perfida noverca”. Col 31 dicembre 2021 si sono conclusi eventi e manifestazioni per il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri (maggio 1265- settembre 1321).
di Benito Poggio
E proprio a Savona, per i tipi dell’Editrice In Sedicesimo, ha visto la luce, è stato pubblicato ed è disponibile l’opuscolo in “terzine dantesche” dal titolo “COVID 19 DANTE 700 GRAY 270 …E ALTRE RIME”, a firma Pseudo-Dante. Per l’anno nuovo, 2022, sulle tracce e sulle rime del notissimo terzo canto dell’Inferno, Pseudo-Dante fa omaggio ai numerosi e attenti lettori di Trucioli.it di un viaggio terzinato addentro la “Sanità”.
Da ex-insegnante e scrittore genovese, l’autore si propone di dedicarlo con “simpatìa” (syn+pàthos) all’ex-insegnante e scrittore savonese prof. Gian Franco Barcella, dopo aver letto – con commossa partecipazione – “il drammatico racconto” che lo ha visto, vittima innocente e in completa solitudine, tormentato per giunta dal covid e senza il tanto proclamato aiuto delle Istituzioni a ciò preposte, proprio nel periodo natalizio.
L’ex-insegnante savonese, abbandonato e relegato nella solitudine della sua casa, per giunta angosciato dalla lontananza della moglie malata, senz’alcun conforto e senza aiuto nella sua città, da lui definita matrigna. E lo stesso Dante Alighieri l’avrebbe marchiata come “spietata e perfida noverca” (Par., XVII, v. 47)
SANITÀ-TOUR A GENOVA
(ma può valere anche per altre città)
CANTO III/Inferno CANTO III/Inferno-bis
– Per me si va nella città dolente, – Lettore mio, d’un povero paziente
Per me si nell’etterno dolore, Ti narro le avventure con tremore:
Per me si va nella perduta gente. 3 Sta’ calmo, io ti prego, non furente!
Giustizia mosse il mio alto fattore: Con giustizia vogl’io esser cantore
Fecemi la divina potestate, Del malato che affronta le spietate
La somma sapïenza, e ’l primo amore. 6 Pratiche da sbrigar con gran rigore.
Dinanzi a me non fuor cose create Niuno per lui palesa la pietate
Se non etterne, e io etterna duro Cui diritto averebbe di sicuro
Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate. 9 Ché forme di rispetto son negate.
Queste parole di colore oscuro Tra ’l «Pubblico» e ’l «Privato» m’avventuro,
Vid’io scritte al sommo d’una porta; Ma ’l dire che dirò pur non conforta,
Per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro.» 12 Ché d’ambo i lati sbatti contro un muro.
Ed elli a me, come persona accorta: La prassi da seguire è assai contorta
«Qui si convien lasciare ogni sospetto; E ciò ch’ognuno dice è contraddetto:
Ogni viltà convien che qui sia morta. 15 Ch’abbia ragione o meno, poco importa.
Noi siam venuti al loco,ov’io t’ho detto Di là tu trovi un bel cervello gretto
Che tu vedrai le genti dolorose Che mira a complicar tutte le cose
C’hanno perduto il ben dello intelletto.» 18 E ti tratta da… scemo oppur da inetto.
E poi che la sua mano alla mia pose Non tutte le persone son rabbiose
Con lieto volto, ond’io mi confortai, O cercano di metterti ne’ guai,
Mi mise dentro alle segrete cose. 21 Ve n’è che son gentili e rispettose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai Ma tu, ricorda, non stancarti mai
Risonavan per l’aere sanza stelle, E non mostrarti, ’l dico a te, ribelle,
Per ch’io al cominciar ne lacrimai. 24 Ché l’aìta che cerchi troverai.
Diverse lingue, orribili favelle, Per curarti devi recarti nelle
Parole di dolore, accenti d’ira. «Case della Salute», ove tira
Voci alte e fioche, e suon di man con elle, 27 Un’aria mala ed assai spesso eccelle
Facevano un tumulto, il qual s’aggira Quell’agire altezzoso che t’ispira
Sempre in quell’aura senza tempo tinta, Tale una repellenza tutta intinta
Come la rena quando turbo spira. 30 Nel delirio special ch’ivi delira.
Ed io, ch’avea d’error la testa cinta, Se devi andar per cura fuor di cinta,
Dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? A Quarto, intendo, il migliore approdo
E che gent’è che par nel duol sì vinta?» 33 Presso il «Gaslini», non ancora estinta,
Ed elli a me: «Questo misero modo È la corsa gratuita che modo
Tengon l’anime triste di coloro Da un biennio ti dà, vero tesoro,
Che visser sanza infamia e sanza lodo. 36 Con garbo conseguir la meta ammodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro Non t’informar, lo accenno con disdoro,
Delli angeli che non furono ribelli, Dagli autisti di linea: sono quelli
Né fur fedeli a Dio, ma per sé foro 39 Che ignorano il pullmìn ch’è dietro a loro.
Caccianli i ciel per non esser men belli, Pochi minuti e tu ti trovi nelli
Né lo profondo inferno li riceve, Cortili, dopo un viaggio molto breve,
Ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». 42 Ove osservar tu devi dei cartelli
Ed io: «Maestro, che è tanto greve Per escir da’ tranelli in guisa lieve
A lor, che lamentar li fa sì forte?» E sceglier quella, tra le tante porte,
Rispose: «Dicerolti molto breve. 45 Che indichi la via diritta e breve.
Questi non hanno speranza di morte, È un laberinto e tu, per malasorte,
E la lor cieca vita è tanto bassa, Dipanar non saprai mai la matassa,
Che ’nvidïosi son d’ogni altra sorte. 48 S’alcuno qui non c’è che dà manforte.
Fama di loro il mondo esser non lassa, Ma dopo il “Dermatologo”, rilassa!
Misericordia e giustizia li sdegna: Coup de foudre, sei al CUP: la cosa è indegna,
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.» 51 Non c’è mai posto… canta che ti passa!
E io, che riguardai, vidi una insegna Chi fa le bizze e chi poi si rassegna
Che girando correva tanto ratta, E, sborsando soldoni, egli tratta
Che d’ogni posa mi parea indegna; 54 Col «Privato», a cui lui si consegna,
E dietro le venìa sì lunga tratta Che con fare di classe… ben ti tratta
Di gente, ch’io non averei creduto, E ti spreme con mani di velluto
Che morte tanta n’avesse disfatta. 57 Quella cifra ch’a te male s’adatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, Qui sei sempre, comunque, il benvenuto,
Vidi e conobbi l’ombra di colui Se non contesti il prezzo, ché costui
Che fece per viltà il gran rifiuto. 60 Ti fa versare ancor più del dovuto
Incontanente intesi e certo fui, Dei prezzi fissi, la ragion per cui
Che questa era la setta de’ cattivi, Ti lamenti: «Su, siate comprensivi,
A Dio spiacenti ed a’ nemici sui. 63 C’era scritta una cifra e quella nui,
Questi sciaurati, che mai non fur vivi, Eurodari, per più buoni motivi
Erano ignudi, stimolati molto Pensavamo che ’l prezzo fosse assolto
Da mosconi e da vespe ch’eran ivi. 66 Senza costi ulteriori od aggiuntivi!»
Elle rigavan lor di sangue il volto, «Ma cosa dice!» dice a me rivolto
Che, mischiato di lacrime, ai loro piedi «La cifra scritta è giusta!» E allor tu chiedi:
Da fastidiosi vermi era ricolto. 69 «Che la scrivete a far, se poi c’è molto
E poi ch’a riguardare oltre mi diedi, Più da pagare in euri?». Qui tu cedi,
Vidi gente alla riva d’un gran fiume; Perché chi parla sta perdendo il lume
Per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi 72 Per te che la giustizia sol richiedi
Ch’i’ sappia quali sono, e qual costume E aggiungi, al par di poverello implume:
Le fa di trapassar parer sì pronte, «Poss’io sapere con parole pronte,
Com’io discerno per lo fioco lume.» 75 Tal ch’io possa capire col mio acume,
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte, Se la cifra indicata è vera fonte
Quando noi fermerem li nostri passi Oppure ignoro qual è quella prassi
Su la trista riviera d’Acheronte.» 78 Per cui la cifra ha un valor bifronte?»
Allor con li occhi vergognosi e bassi, E mentre sono pronto agli incassi:
Temendo no ’l mio dir li fosse grave, «Cheratósi credea fusse la chiave…
Infino al fiume del parlar mi trassi. 81 Creatósi? Di quanto io pensassi
Ed ecco verso noi venir per nave Forse è una forma, dico, ancor più grave?»
Un vecchio bianco per antico pelo, Questo d’acchito chieggo a bruciapelo,
Gridando: «Guai a voi, anime prave! 84 Con tono arguto, sapido e soave.
Non isperate mai veder lo cielo: Non ho avuto risposta e qui lo svelo:
I’ vegno per menarvi all’altra riva Lasciai l’addetta ch’era combattiva
Nelle tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 87 Cessando in una il mio proprio zelo.
E tu che se’ costì, anima viva, La final del Manzoni è ancora viva
Pàrtiti da cotesti che son morti». Che della «Sanità» dicea quei torti
Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 90 Per cui la gente, allor, se ne moriva…
Disse: «Per altra via, per altri porti Oggi non è così: riguardo ai morti
Verrai a piaggia, non qui, per passare: Abbiamo migliorato; da sanare
Più lieve legno convien che ti porti.» 93 Ci sono i tempi troppo ancor distorti.
E ’l duca lui: «Caro, non ti crucciare: Se guardi al CUP, puoi tu solo pensare
Vuolsi così colà dove si puote Che molto si vuol far, ma non si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare.» 96 E dal «Pubblico» alfin si dee squagliare:
Quinci fuor quete le lanose gote Il CUP mai può sanar tutte le quote
Al nocchier della livida palude, Ché troppo alte sono nude e crude
Che ’ntorno alli occhi avea di fiamme rote. 99 Per cui le accettazioni son remote,
Ma quell’anime, ch’eran lasse nude, Mentre il «Privato» ogni paziente include
angàr colore e diabattieno i denti, Con tempi nelle attese meno lenti
Ratto che ’nteser le parole crude: 102 E niuno lascia indietro oppure esclude:
Bestemmiavano Dio e i lor parenti, Qui, invero, non esistono gli esenti,
L’umana spezie, e ’l luogo, ’l tempo e ’l seme Da ognuno un po’ di più qualcosa spreme
Di loro semenza e di lor nascimenti 105 E accontentare può tutti gli utenti.
Poi si raccolser tutte quante inseme, Per la Regione qual è mai la speme:
Forte piangendo, alla riva malvagia, Favorire il «Privato» è la malvagia
Ch’attende ciascun uom che Dio non teme. 108 Ipotesi del far ch’alcuno teme?
Caron dimonio, con occhi di bragia Chi lo ipotizza, lo fa sanza ragia,
Loro accennando, tutti li raccoglie; Poiché ragiona e dice sanza doglie
Batte col remo qualunque s’adagia. 111 Che la spesa total così s’sadagia.
Come d’autunno si levan le foglie Tra «Pubblico» e «Privato» mai si scioglie
L’una appresso dell’altra, fin che ’l ramo Il dilemma di cui noi discettiamo
Vede alla terra tutte le sue spoglie, 114 E dal qual mai la mente si distoglie;
Similemente il mal seme d’Adamo Ma grazie al cielo noi contar possiamo
Gittansi di quel lito ad una ad una, Su cure e medicine, per fortuna,
Per cenni come augel per suo richiamo. 117 Che nelle «Farmacie» sempre troviamo,
Così sen vanno su per l’onda bruna, A men che non ci colga la sfortuna
E avanti che sian di là discese, D’un farmaco special di cui le spese
Anche di qua nuova schiera s’auna. 120 Risultin d’una cifra inopportuna!
«Figliuol mio,» disse ’l maestro cortese, Dal «Covid» provvediamo alle difese
«Quelli che muoion nell’ira di Dio, Grazie al «Vaccino» pronto, vivaddio,
Tutti convegnon qui d’ogni paese, 123 Iniettato con mossa assai cortese…
E pronti sono a trapassar lo rio, Ma qui il discorso mio si fa stantìo
Ché la divina giustizia li sprona, Per che la mente mia più non ragiona
Sì, che la tema si volve in disio. 126 Ed io ad altra fiata lo rinvìo.
Quinci non passa mai anima bona; Già stizza e disappunto m’imprigiona
E però, se Caron di te si lagna, E ’l contrasto abbozzato mio si stagna…
Ben puoi saper omai che ’l suo dir sona.» 129 Pur si lamenta, là, altra persona?
Finito questo, la buia campagna Deh, non son solo io che qui si lagna
Tremò sì forte, che dello spavento Di qualche negativo accadimento:
La mente di sudore ancor mi bagna. 132 Mende, pecche ed in più qualche magagna
La terra lacrimosa diede vento, Di cui potrei narrarne a cento a cento.
Che balenò una luce vermiglia Ma poscia quest’inutile guerriglia
La qual mi vinse ciascun sentimento; 135 Io preso fui da addormentamento
E caddi come l’uom che sonno piglia. E caddi come l’uomo che sbadiglia.
D.A. Pseudo-Dante (B.P.)