Pornassio e l’alta Valle Arroscia colpiti da nuove chiusure. Ha chiuso il ristorante Franco aperto dagli anni ’60 e trasformato in ‘Casa Vacanza’. A fine anno cessa l’attività il ‘piccolo market alimentari- drogheria-macelleria’ di Gabriella Gastaldi.
Se è verissimo che non si vince ‘seminando paura’, è altrettanto pacifico che dai campanelli d’allarme si sta scivolando verso l’abisso. Le colpe? Se c’è chi continua a stendere tappeti rossi o verdi alla politica ed ai politicanti di turno, trucioli.it si batte da anni (e purtroppo con qualche amico in meno) affinchè la montagna diventi una priorità assoluta, rispetto alla Riviera, alle città, nella programmazione e strategie socio economiche della Regione Liguria e meglio se scende in campo anche il governo con una ‘zona depressa’, un Piano Marshall per la ripresa. Invece si procede a ‘pillole’, aspirine. Un colpo al cerchio (alla Riviera opulenta) un colpo alla botte (la montagna che spopola).
Se Mendatica e Triora potevano esibire le locomotive delle due Monesi, ma anche lo sviluppo turistico delle frazioni San Bernardo, Valcona e Le Salse, con l’enclave cuneese di Piaggia, capoluogo di Briga Alta con Upega e Carnino; Pornassio poteva esibire la sua Nava turistica e di villeggiatura prediletta. Nava che oltre ai forti abbandonati da decenni, poteva esibire il ‘simbolo’ della Lavanda Col di Nava. E che ha finito per seguire la sorte dell’abbandono, spopolamento, chiusura di attività, bar, negozi, tabaccheria, alberghi. Restano i resilienti che hanno nelle famiglie Porro, Lorenzina-Pasquinelli, Contestabile un punto di riferimento turistico e commerciale, una speranza ultima a morire, ma anche la constatazione che si sia raggiunta l’ultima frontiera.
Pornassio con le gloriose e leggendarie origini storiche che si collocano intorno all’XI° secolo e le sue vicende si fondono con quelle della valle Arroscia. Narrano il XII° secolo di Anselmo capostipite dei Clavesana. Nel 1207 dal territorio di Pornassio si distaccarono i comuni di Cosio, Mendatica e Montegrosso. La valle Arroscia comprendeva la Castellania di Pornassio di proprietà dei marchesi di Clavesana sino al 1385, data in cui venne ceduta alla Repubblica di Genova che rinfeudò nuovamente i Clavesana. Signori di Pornassio, vassalli dei Clavesana, erano gli Scarella di Garessio che giurarono fedeltà alla Repubblica sin dal 1274. Nel XVI° secolo Pornassio diventa il punto nevralgico di una contesa territoriale tra la Repubblica di Genova ed il Duca di Savoia Emanuele Filiberto che nel 1575 aveva acquistato da Renata d’Orfes la sesta parte di Pornassio, con lo scopo di aprirsi una via di collegamento al mare ( nel 1576 Emanuele Filiberto aveva acquistato da Gian Gerolamo Doria la signoria di Oneglia e della sua valle), più comoda di quella che già aveva a Nizza, le cui vie risultavano assai impervie per condurre in Piemonte senza passare in territorio genovese con le merci, tra le quali la più importante era il sale.
Pornassio con le sue sei borgate e in quella principale si trova il santuario di Nostra Signora del Santissimo Nome. La tradizione racconta di un bambino, Carlo de Carolis, che rimase chiuso nella chiesa dopo la messa di Natale. Il suo pianto dirotto attirò l’attenzione del sacrestano che venne ad aprirgli la porta. Sulla strada di casa il piccino si imbatté in un lupo che voleva sbranarlo, ma la Vergine lo salvò. Per ricordare il miracolo nel 1775 venne edificato il santuario.
La storia di ieri. Pornassio negli ultimi decenni, ovvero un inesorabile declino che pare non lasci scampo. “Non dovete diffondere paura ma ottimismo – leggiamo tra i rimproveri ed i consigli dei lettori di questo umile blog -“; se dipendesse solo dalle nostre povere e semplici opinioni va da se che ci sarebbe da restare allegri e spensierati.
Nessuno pensa che la colpa sia solo di un sindaco o di un assessore regionale, di chi, come spesso leggiamo ed ascoltiamo in Tv, si trova a reggere le sorti del Comune o della Regione. Il nodo sta nel non vedere che andando avanti di questo passo, ovvero senza interventi radicali mirati e proiettati nel futuro immediato, si finirà nel baratro: “un paese da lupi” direbbero i nostri avi montanari.
Chi resiste, chi ha attività agricole, commerciali ed artigianali, proprietà immobiliari, non ha bisogno solo di aspirine, ma di basi solidi affinché si generi investimenti, lavoro, posti di lavoro, valore aggiunto; si spingano i giovani (basterebbe frequentare e copiare dalle zone montane dell’Alto Adige, oppure dei Pirenei, delle stesse Alpi della Costa Azzurra, nostre confinanti) a non fuggire in città, emigrare. Abbandonare la terra natale e degli avi che tanto hanno sudato. Un esempio virtuoso.
O forse vede lontano l’imperiese benimaino della Valle Arroscia Marco Scajola che nel solo 2021 ha inviato ai media liguri 36 comunicati stampa a sostegno dei ‘Balneari’ sul tipo: “ Per fornire ogni utile contributo per superare una situazione di grave difficoltà per un settore che dà lavoro a decine di migliaia di persone e rappresenta uno dei pilastri del comparto turistico italiano.” In soccorso dei ‘poverelli’ ? Suvvia !
“Ho chiuso perchè ho raccolto l’opportunità di andare in pensione – testimonia Sandro Ramò che aveva preso il testimone dai suoceri, i coniugi Franco Rosso -, altrimenti la prossima finestra sarebbe stata nel 2027. Si aggiunga che mia moglie fa l’insegnante e mio figlio è ricercatore di Fisica all’Università di Genova. Ora speriamo, con la nuova attività di Casa Vacanza, di dare il nostro piccolo contributo alla sopravvivenza di Pornassio, purtroppo anche la mitica Nava sta sempre più desertificandosi; in questo periodo solo un paio di attività sono aperte e chi resiste merita un medagliere; con questo non voglio accusare nessuno, purtroppo bastano le constatazioni di dove siamo arrivati”.
Da Franco aveva mantenuto la tradizione della trattoria (tra gli habitué l’on. imperiese buongustaio Vittorio Adolfo): cucina semplice e tradizionale, con tanti giudizi positivi che si possono leggere sul popolare TripAdvisor. Eccone alcuni. “Locale semplice, ma molto accogliente. Pulito e conforme alle norme anti COVID. Mangiare genuino, prezzo modico, personale affabile. Da ritornarci sicuramente”.
Un secondo: “Eccellente, ottimo rapporto qualità/prezzo, pulizia esemplare,anche in rapporto all’attuale situazione pandemica Consigliabile a tutti.” Un terzo: “Durante un tour in moto per le terre liguri ci siamo imbattuti in questo ristorante. Il posto è accogliente, il menù è prettamente casalingo, mi ha ricordato i pranzi dalla nonna. Consigliato!”. E infine: “Ottima accoglienza, ottimo cibo genuino e nostrano. Ambiente molto accogliente e soprattutto adeguatamente riscaldato con stufa a legna….!! Posizione comoda al parcheggio e panoramica. Da consigliare vivamente. Il Sig.Franco e Signora persone gentilissime.” Va da se non si possa accontentare tutti e che qualche lagnanza si legge, ma adi là dei giudizi singoli, resta la perdita di un punto di ritrovo.
E che dire di un paese che aveva ancora la sua macelleria (e alimentari), quella appunto gestita fino a fine anno da Gabriella Gastaldi di Cosio d’Arroscia. A San Luigi resta la bandiera degli alimentari (con edicola) Bertora di Ronco Alessia che resiste dal lontano 1957; mamma e figlia con tanta buona volontà e papa Ginetto meccanico, autentico e unico personaggio per la sua filosofia lavorativa. “Dopo tanti anni, tanti rimproveri – dice la figlia – siamo finalmente riusciti a convincerlo a tenere chiuso la domenica e nei giorni festivi, ma fosse per noi poteva benissimo chiudere i battenti e godersi l’ultimo tragitto di vita. Invece sporcarsi le mani con i motori è la sua indelebile passione e non dire mai di no a amici e clienti”. Il lavoro come ragion di vita che molti di noi hanno imparato dagli avi e difficile da dimenticare, purtroppo non da tramandare. (L.Cor.)