L’ Ormea: chi era costui? Ebbe nelle sue mani il Regno di Sardegna come “onnipotente Ministro” di due Re ma, ancora oggi, è noto solo a pochi studiosi.
di Gianfranco Benzo
Nell’ ‘800, lo statista Camillo Benso era, ed è ancora normalmente chiamato Cavour (o il Cavour), in quanto Conte di quel Paese del Pinerolese.
Già nel secolo precedente, il ‘700, Carlo Vincenzo Ferrero era comunemente nominato Ormea (o l’Ormea), nominato nel 1722 Marchese della cittadina dell’Alta Valle Tanaro.
Carlo Vincenzo Ferrero, marchese di Ormea e Vassallo (conte) del comune vercellese Roasio, uomo di stato piemontese si dimostrò un accorto diplomatico. Nacque a Mondovì nel 1680 da una famiglia fra le più antiche (ma non ricca) del patriziato monregalese, proprio all’epoca della ribellione monregalese originata dal rifiuto di pagare la tassa sul sale, poi cresciuta con l’appoggio della Francia fino ad originare la cosiddetta ‘guerra del sale’.
La guerra del sale fu una serie di insurrezioni popolari che ebbero luogo nei territori delle valli Monregalesi tra il 1680 e il 1699 contro il Ducato di Savoia.
Nel 1396 il comune di Mondovì, che comprendeva tutti territori delle valli Monregalesi, venne unito al dominio dei Duchi di Savoia. Nei patti di questa annessione era previsto il mantenimento dell’autonomia locale del territorio includente anche l’esenzione della tassa sul sale.
Verso la fine del XVII secolo il duca Vittorio Amedeo II, con l’obiettivo di creare uno stato più centralizzato ed integrare maggiormente le varie comunità su cui governava, venne meno ai patti e cancellò i privilegi di cui avevano goduto le valli Monregalesi fino a quel momento; estese dunque anche al territorio Monregalese la tassa sul sale. Ciò provocò un’immediata sollevazione popolare nel momento in cui la riscossione della tassa venne messa in atto.
Nel 1680 gli stessi nobili Ferrero si misero a capo delle insurrezioni, che rapidamente raggiunsero una dimensione tale da costringere il duca a stipulare un trattato di rappacificazione. Si trattò però solo di una tregua: l’esercito sabaudo tornò e impose l’assolutismo sabaudo.
La rivolta venne sedata a Mondovì nel 1682, ma rinacque nei villaggi e nelle città vicine; la repressione dell’esercito e la resistenza dei valligiani furono entrambe molto forti e causarono numerose vittime nei due schieramenti. Gli stessi Gerolamo Marcello e Alessandro Marcello Ferrero, nonno e padre dell’Ormea, vennero condannati a morte e si misero fortunosamente in salvo in Francia. Nel 1699, al termine dei combattimenti alcuni paesi, (Roburent, Monastero Vasco, Montaldo di Mondovì, in particolare) vennero praticamente distrutti dalle truppe sabaude, guidate dal generale Des Hayes. In seguito, molte famiglie di questi luoghi – ben 450 dalla sola Roburent – vennero deportate nella baraggia vercellese.
Perdurante da decenni la guerra franco savoiarda, i Ferrero congiurarono con il saviglianese Gian Domenico Trucchi per consegnare Mondovì ai Francesi. Scoperto, Carlo Marcello zio di Ormea, fu arrestato e confinato nel vercellese. La famiglia venne sorvegliata a vista dalle autorità sabaude.
Con una giovinezza profondamente segnata dagli eventi politici, l’Ormea studiò probabilmente nel collegio gesuitico di Mondovì e si laureò nella locale Università nel 1697. Venne in seguito nominato giudice di Carmagnola.
Con la riforma dello Stato sabaudo del 1698, l’autonomia della zona monregalese venne definitivamente distrutta: al posto dell’unico comune storico di Mondovì, poi istituito anche a provincia del ducato, vennero create diverse comunità corrispondenti grosso modo agli attuali comuni e le nuove comunità divennero parte integrante dello stato centralizzato sabaudo. Questa decisione provocò violente rivolte, che terminarono nel 1699 con altri spargimenti di sangue. A Prà di Roburent esiste tuttora il toponimo “Rocca dei morti“, a ricordo dei fatti.
Il giorno successivo all’inizio dell’assedio di Torino (16 giugno 1706) il Duca di Torino Vittorio Amedeo II, nell’intento di raggiungere la moglie e i due figli che si erano trasferiti a Cherasco appena prima che le bombe francesi colpissero il palazzo reale, si fermò a Carmagnola. Secondo la tradizione, in quella circostanza il Duca sarebbe restato colpito dalla vivacità dell’Ormea e da allora avrebbe iniziato ad affidargli incarichi via via più importanti. Venne prima nominato referendario ed intendente della provincia di Susa poi, nel 1717, eletto alla carica di consigliere ed intendente generale delle regie finanze.
Nel 1722 volendolo inviare a Roma a trattare col Papa in qualità di Ministro plenipotenziario, il Re gli cambiò il titolo, da vassallo di Roasio a quello di Marchese d’ Ormea, sotto il qual nome è stato poi sempre da tutti conosciuto e riverito. Fu nominato Ministro delle Finanze e dell’Interno, dove introdusse riforme importanti.
Impostò la politica sabauda del periodo “sardo” ponendo le basi della tradizione diplomatica che attraverso il Cavour e l’unità nazionale è giunta fino a noi. Ottenne il riconoscimento del Papa, ottenendo la nomina a Re di Sardegna di Vittorio Amedeo II (dicembre 1726) e concluse col papato un concordato favorevole allo stesso Re (maggio 1727). Dopo l’abdicazione di Vittorio Amedeo a favore del figlio Carlo Emmanuele (1730) aiutò quest’ultimo, facendo arrestare il vecchio Re quando tentò di revocare l’abdicazione (1731). Aggiunse anche la carica di Ministro degli Esteri (1732). Durante la guerra di successione polacca (1733-38) Ormea stabilì un’alleanza con la Francia, mentre nella guerra di successione austriaca (1740-48) concluse l’alleanza con l’Austria. Quando il nuovo Papa Clemente XII annullò il concordato del 1727, Ormea fu determinante per ottenere un nuovo concordato, nel 1741. Col trattato di Worms (1743) ottenne dalla imperatrice Maria Teresa i territori di Piacenza e del Cantone Ticino. Infine, nel 1744 riuscì a far sgombrare l’assedio di Cuneo ad opera dei francesi. Morì il 29 maggio 1745 all’età di 65 anni.
Ben dentro le cose dello Stato sabaudo, con ingenti risorse economiche a sua disposizione, nel 1722 appena divenuto Marchese, l’Ormea vi impiantò il vasto “lanifizio” che, affidato alla direzione dell’inglese Coward, divenne in breve una delle fabbriche più fiorenti del Piemonte.
A Beinette, altro suo feudo acquistato nel 1740, impiantò una importante cartiera affidata a operai genovesi. Nello stesso feudo, sfruttandone il lago, l’Ormea creò un sistema di canali che diede un notevole impulso ai mulini e all’agricoltura di quel territorio. Il lanificio di Ormea venne distrutto dagli austriaci in ritirata verso la Liguria, il 3 dicembre 1799.
I biellesi ebbero così la via aperta alla successiva potenza e ricchezza. A Torino, il Palazzo dell’Ormea (anche noto come Palazzo Roero di Guarene) si trova nella caratteristica Piazza Carlo Emanuele II (piazza Carlina). L’edificio è stato disegnato da Amedeo di Castellamonte e ristrutturato successivamente da Giacinto Roero di Guarene. Danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale, è stato lasciato per molti anni in parziale abbandono; attualmente è sede prestigiosa di una Banca.
In città, oltre alla “Via Ormea”, nel quartiere San Salvario situato nel sud-est del centro storico, si trova anche la “Strada alla Villa d’Ormea”, già vigna Berardt, edificio di valore storico-artistico, inserito nella sequenza delle ville e vigne dei poggi dominanti il Po e Corso Moncalieri.
Dal 1706, per molti anni è stata indicata come la “Quint vigna con casino assai bello” di proprietà dei conti Torrazza. Nel 1769 il conte Girolamo Casimiro Avogadro di Quinto acquisì vigna e villa per matrimonio.
Nel primo Ottocento la vigna passò a Teresa Ponte di Scarnafigi, e alla metà del secolo, ai Ferrero d’Ormea.
Gianfranco Benzo