Carolina Pilotti, ha potuto – bambina – intuire dai genitori la tragedia della guerra, la caduta del Regno d’Italia e l’avvento del nuovo regime repubblicano. Piemontese ma solo di nascita, rivierasca d’adozione, è stata impegnata in un istituto bancario, contesa dai clienti per la sua umanità.
di Gian Luigi Bruzzone
Vive al culto della famiglia e dei ricordi, «capelli bianchi del cuore», secondo l’espressione del poeta Vincenzo Cardarelli. Del resto, chi non ricorda, non vive.
Gentilissima Signora, ci parli un poco della sua famiglia.
Mio padre Andrea Pilotti (1911-49) era di Felizzano, mentre la famiglia di mia madre Elsa Puel (1915-91) era oriunda dell’Alto Adige, ossia del Sud Tirolo. I miei genitori si conobbero a Felizzano, dove Cesare – padre di Elsa, ossia mio nonno materno – era capo-stazione ferroviario. Egli era stato capo-stazione di Dego, di Savona (se ben ricordo) e da ultimo di Fossano, importante snodo delle strade ferrate, allorché poté andare in pensione. Il cognome Puel è rarissimo in Italia, mentre il cognome Pilotti, se frequente a Felizzano, nella Penisola italiana è raro: in Liguria vivono alcuni cugini, e in Lombardia (dove più abbondano) oltre un centinaio di famiglie. Mio padre, persona squisita ed attiva, era esattore privato e co-fondatore del Banco di Imperia.
E della sua formazione scolastica. Qualche insegnante ha lasciato una traccia od una lezione di vita?
Della scuola non ho molti ricordi anche perché ho frequentato la scuola in varie località, a motivo della situazione familiare e del lavoro paterno, e quindi non ho avuto frequentazioni durature. Poi, per la verità (e qui nonno Cesare insegna), non ho mai nutrito una particolare passione per la scuola: tutto si è sempre limitato al puro dovere. E tuttavia non ho mai dimenticato la maestra Neva Pattini Armando a Fossano: forse sapendo che ero orfana di padre e vivevo coi nonni, lungi dalla mamma e dal fratellino, mi trattava con affettuosa benevolenza. Cara Maestra!
Ella – mi permetta dirlo – è attorniata da parenti illustri e benemeriti. L’Ing. Vigilio Puel, ad esempio.
Sì, mio zio materno Vigilio, funzionario nella prefettura (mi pare vice prefetto, non posso ricordarmelo, per evidenti motivi anagrafici) e federale di Torino e poi di Bolzano (dove comunque rivestì mansioni delicate, come si può intuire dalla città mezza tedesca), contribuì con efficacia al progetto dell’ultima sezione della prestigiosa Via Roma in Torino, quella con gli architravi e le doppie colonne, ristrutturazione avvenuta nel biennio 1937-38. Era un professionista di grande valore e brevettò – fra l’altro – alcuni pezzi per la STIPEL, società telefonica concessionaria per il Piemonte, la Val d’Aosta e la Lombardia, fondata nel 1924 e confluita nella SIP con l’anno 1964. Possedevo alcuni quotidiani contenenti diffusi necrologi dello zio Vigilio, quando morì nel 1942, ma non li reperisco.
E Giovanni Puel, docente di matematica…
Giovanni Puel era docente di matematica a Torino ed era il mio bisnonno da parte materna. Morì, credo, negli anni ’20. Lo conobbe appena la mia mamma nata nel 1915. Giovanni ebbe quattro figli maschi tra cui il mio adorato nonno Cesare: tre erano ingegneri con posizioni invidiabili; nonno Cesare fu maestro elementare.
Suo nonno Cesare invece…
Dice bene, mentre i fratelli erano tutti laureati, ingegneri e pezzi grossi, come ho appena precisato, lui era appena maestro elementare diplomato, ma nella vita non insegnò mai perché divenne capo-stazione nelle ferrovie italiane.
E Adelaide Ametis [1877-1949], pittrice e sposa del senatore Alfredo Frassati, il più giovane del Regno?
Della famiglia del senatore Frassati e consorte non conosco molto se non qualche notizia appresa dai libri e qualche cosa raccontata da mia nonna in quanto non c’era grande frequentazione tra le nostre famiglie (la famiglia della nonna rappresentava la parentela povera). So però che la mamma della nonna mia era Ametis di cognome e proveniva da Pollone, appunto come il ramo più autorevole della famiglia Ametis.
Sicché il Beato Pier Giorgio Frassati era suo cugino…
La nonna mi raccontava di questo cugino che così giovane e così buono e caritatevole morì prematuramente ed in modo a stento credibile, come testimonia la struggente narrazione della sorella Luciana in una sorta di diario degli ultimi giorni dell’esistenza terrena di Pier Giorgio (che in famiglia chiamavano Dodo). Mi disse anche che avrebbe dovuto essere beatificato molto tempo prima del 1990 ma ci fu un arresto del processo di beatificazione in quanto si riscontrò, esaminando la salma, una possibile morte apparente e quindi pare che il povero Pier Giorgio sia stato seppellito ancora vivo!
Che cosa ha provato il 20 maggio 1990?
Di certo il 20 maggio 1990 ho provato una forte commozione nell’apprendere che finalmente questo lontano cugino era beatificato da papa Giovanni Paolo II. Era terziario domenicano, membro della FUCI e di Azione Cattolica. Un’impressione ancora più viva l’ho provata quando, in visita alla Cattedrale di Torino in occasione dell’ostensione della Sacra Sindone, entrando ho visto l’altare a lui dedicato, ossia le sue spoglie collocate nella cappella di S. Massimo (primo vescovo della città) con un bel ritratto ovale sopra la mensa. Anche visitando il Santuario di Oropa mi ha fatto piacere vedere una sala fregiantesi col suo nome.
Mi ha raccontato di Mario Gambetta…
È vero, Mario Gambetta era cugino di secondo grado di Pier Giorgio Frassati e per qualche estate lo invitò ad Albisola Marina. Sebbene amantissimo della montagna Pier Giorgio si appassionò del mare e divenne un nuotatore provetto. Il soggiorno albisolese rimase indelebile nella memoria di lui e si cementò l’amicizia con Mario. Egli anzi, allorché seppe delle tragiche condizioni della nonna, non però quelle del cugino moribondo, si recava a Torino e lo assisteva – lui solo, forse per essere i genitori e la sorella Luciana impegnati ad assistere la nonna, moribonda anch’essa – vegliandolo per un’intera notte…
Che le ricordano corso Ferrari e Pollone?
Ah, ho inteso, si riferisce alla Villa dei Frassati, consueta loro abitazione, oggi sede della Fideuram e alla Villa Ametis a Pollone, paese caro alla mia famiglia materna. Ma non posso dir nulla, poiché le ho vedute soltanto dall’esterno.
Fossano e Finale nei miei ricordi…
Quando mio padre morì nel 1949, nel fiore degli anni, per aiutare la mamma che si doveva occupare degli uffici dell’esattoria di mio padre ed allevare mio fratello piccolo Cesare e me, mi accolsero i miei nonni (il famoso nonno Cesare) che in quel momento dirigeva la stazione ferroviaria di Fossano; all’epoca frequentavo la terza elementare e fui trasferita dalle scuole di Finale Ligure a quelle di Fossano, dal sole della Liguria cioè, al freddo, alla nebbia ed alla neve (una volta gli inverni erano più freddi), ma anche al penetrante profumo dei tigli, presenti peraltro anche a Savona. In estate scendevo al Finale così da godere della mamma e del fratello Cesare, per poi ritornare a Fossano all’inizio dell’anno scolastico, e così avvenne fino alla terza media.
A Finale, la morte precoce del babbo, aveva costretto la mamma a gestire il negozio della “Provvida”, sorta di cooperativa dei ferrovieri (da anni soppressa) e a adattare il nostro grande appartamento a pensione; per questo se mia madre conduceva la pensione, com’è ovvio, io dovevo recarmi alla Provvida, per contribuire all’andamento familiare.
A sedici anni ho incontrato Raffaele…
Frequentai le scuole superiori a Savona, precisamente l’Istituto tecnico commerciale “Paolo Boselli”, e quando non ero ancora diplomata fui chiamata da un istituto bancario! A Ragioneria conobbi il mio Raffaele, diplomato ragioniere nel 1959, sposato il 7 maggio 1966 al Santuario di N.S. di Misericordia, dopo sette anni di fidanzamento. Sono passati ben sessantadue anni e ancora siamo insieme. È un bel traguardo di cui vado fiera e spero duri ancora per molto tempo. Gli ho donato due figlie: Caterina ed Elsa.
Mio cugino acquisito Raffaelin Arecco…
Nella famiglia di mio marito c’è stato un suo omonimo soprannominato Raffaelin, famoso pittore cellese [1916-98]. Con lui abbiamo effettuato gite meravigliose e visitato musei dell’intera Europa. Un museo visitato con una persona “addetta ai lavori” è tutta un’altra cosa: lui ci indicava certi quadri, certi particolari, certe sfumature di vario genere che diversamente non avremmo saputo cogliere, notare e comprendere. Sono state esperienze davvero importanti, destinate a rimanere indelebili nella memoria, venate di affetto e di simpatia. Anche le numerose tele sulle pareti di casa nostra ce lo ricordano di continuo.
Anni or sono vidi quel suo parente che opera nell’America centrale…
Allude a mio nipote Andrea Pilotti, figlio del mio caro fratello Cesare, mancato precocemente. Ingegnere edile, riveste un’ottima posizione nella Repubblica di Santo Domingo dove costruisce palazzi e edifici di prestigio, per gli europei e gli americani che scelgono di vivere colà. Appena laureato era stato assunto dalla ditta Impregilo che costruisce in tutto il mondo, poi Andrea si mise in proprio.
Le racconto un fatto curioso. Mentre dirigeva la costruzione di una diga quando era ancora dipendente della Impregilo, vigeva l’abuso tollerato dalla ditta per non esacerbare gli animi e per accattivarsi gli indigeni, che i poveri domenicani si allacciassero ai cavi elettrici. Terminata la diga, gli elettrodotti furono ovviamente chiusi: allora un gruppo di indigeni si precipitò nell’albergo dove abitava Andrea e lo sequestrarono mentre dormiva. Così era premiata la generosa tolleranza del furto di elettricità e poi come fosse responsabile mio nipote!
Incontri e conoscenze memorabili…
Nel 1995 un amplissimo bassorilievo di maiolica policroma, splendida effigie della Madonna di Misericordia di Savona, realizzata dall’artista Renata Minuto con la collaborazione del ceramista Mazzotti, fu apposta nei giardini vaticani su interessamento di mio marito e del suo amico monsignor Raffaello Lavagna [1918-2015]. In quell’occasione la monumentale ceramica fu benedetta da Papa Giovanni Paolo II ed io, essendo presente all’evento, ebbi modo di conoscerlo e di ossequiarlo. Fu una magnifica esperienza, nonostante in quegli anni il Santo Padre già fosse sofferente ed assai stanco.
Conosco poche persone esperte come Lei di pietre dure e preziose…
Questa passione è nata durante l’attività bancaria, grazie ad un collega esperto di minerali. Con Raffaele abbiamo raccolto minerali, fossili, ad esempio al Passo del Fajallo dei granati bruciati da un antico vulcano (visibile dall’aereo) di ogni genere affinando sul campo la conoscenza di questa branca scientifica non troppo facile. Per anni abbiamo visitato mostre e musei pertinenti – quale quello, modesto eppure istruttivo – del Finale, quando era allogato nel Palazzo Ghiglieri che Lei ben conosce, allorché ospitava il Liceo Scientifico e nel quale è in parte ambientato il romanzo Mamma ce n’è una sola di Baccio Emanuele Maineri (1831-99), sul quale ha redatto innumerevoli studi. Da questa conoscenza è sbocciata la passione collezionista, e disponendo di qualche spicciolo ho formato una raccolta personale di pietre dure ed anche preziose, sempre interessanti come ogni fenomeno della natura. Si capisce, dobbiamo avere occhi per vedere ed essere capaci di meravigliarci: soltanto allora impariamo.
Ho saputo che Lei ha sbugiardato – chiedo venia per il termine – un orefice, incapace di riconoscere i lapislazzuli, pietra bellissima.
Si, ma lasciamo perdere…
Come definiresti la famiglia?
Per me la famiglia è fondamentale. Credo che nella vita di una persona, ben difficilmente ci possa essere qualcosa di più importante. Purtroppo all’età di sei anni persi mio padre di soli 38 anni (era il 1949) per una grave malattia; come detto in precedenza fui sballottata un po’ dai nonni e un po’ con mamma e fratellino: tutto ciò mi fece ancora più apprezzare e comprendere l’importanza della famiglia. E alla fine fui anche una bambina fortunata: sarei potuta finire in qualche collegio dove all’epoca, per sentito dire, non erano poi tutte rose e fiori e la giornata correva su binari austeri, se non severi.
A 23 anni sposai finalmente il mio Raffaele; con la nascita delle mie due bambine, Caterina prima e Elsa qualche anno dopo, formai così la “mia” famiglia che ho amato e amo con tutto il mio cuore. Per non parlare, anni dopo, dell’arrivo dei quattro nipotini che fanno traboccare il mio cuore di amore. Mi sento una nonna molto fortunata e lo dico con verità.
Che cos’è la felicità?
Lei mi pone domande difficili… Ma quanto penso della felicità si può cogliere dalla risposta pregressa.
Sul far della sera…
Basta, le rispondo con uno sfoggio scritturistico: Halitus tantum omnis homo est!
Cara Signora Carolina, grazie per aver accolto le mie domande, che spero non indiscrete. Auguro a Lei, a Raffaele, alle sue Figlie ed ai suoi Cari ore sempre serene. Viva noi.
Gian Luigi Bruzzone