Stefano Verdino, docente di Letteratura Italiana all’Università di Genova, promotore di iniziative e di eventi culturali, è fra i più solerti ed attivi italianisti e non soltanto della Liguria. Ha curato le edizioni delle poesie di Mario Luzi da Mondadori (1998) e da Garzanti (2003, 2009, 2014), edizioni di scritti e inediti di Giorgio Caproni, Eugenio Montale e Camillo Sbarbaro. Si è occupato dell’opera del Tasso e della cultura di primo Ottocento.
di Gian Luigi Bruzzone
I suoi libri sono, fra gli altri: La poesia in Liguria (1986); Luciano Anceschi (1987); Storia delle riviste genovesi (1992); Racconto della poesia del 900 (2003); La poesia di Luzi (2006); Il re Torrismondo (2007); Genova reazionaria (2012); Tragedia (2012); La buona causa. Storia e voci della reazione in Italia (2017).
Egregio Professore, se non Le dispiace, ci parli un poco della sua famiglia.
Della mia famiglia non saprei che dire sul versante culturale. Devo a mio padre la mia prima passione per l’opera, ma non le stesse predilezioni (per lui c’era soprattutto La Boheme). Tra i primi libri in famiglia mi regalarono il Cuore, che non lessi, diversamente da Pinocchio. Da un nonno non genetico (toscano, nato nel 1894) trovai le poesie del Carducci, lette con passione nella sua edizione del 1909 (Marradi e Stecchetti erano gli altri suoi poeti, che non ereditai).
Nel corso dei suoi studî, quali insegnanti le hanno lasciato un influsso ed una lezione di vita?
Il mio maestro delle elementari, Andrea Merani (Bonassola 1897 – Genova 1977), maestro antico e severo, fondamentale per l’ordine e la chiarezza. La mia prof. ginnasiale Margherita Raggi Bartarelli (Genova 1922 – Bagnoregio 2008) che mi ha insegnato a leggere i Promessi sposi; il mio primo mentore per la critica, Angelo Marchese (Genova 1937 – Firenze 2000), mio insegnante di Italiano al Liceo Colombo (1970-72), fondamentale per l’analisi del testo e del contesto. All’università Franco Croce (Genova 1927 – Santhia 2004), grande interprete della poesia manieristico-barocca e del Novecento. Illuminanti i suoi corsi su Tasso, Ungaretti, Alfieri e Montale, negli anni 1972-76. E Franco Contorbia (Novi ligure, 1946), per gli aspetti filologici e lo scavo bio-bibliografico.
Lei è innamorato della cultura letteraria, dei nostri autori, dei nostri movimenti: com’è sbocciata tale passione?
La mia prima passione, dalle elementari, è stata la geografia, poi la storia. La passione letteraria è nata in ginnasio tra Manzoni e lo Shakespeare della Bur (ho letto gran parte del suo teatro allora). Per la poesia c’era sempre ancora dominante Carducci e quanto sapevo antologicamente del canone dai libri di scuola.
Il mio amico…Torquato Tasso…
Sì, la mia passione per Tasso è della seconda Liceo; mi intrigava il poeta non libero ed i suoi contorcimenti tra arte e obblighi, il suo essere, come dire, sghembo, dissonante ma senza rottura. Mi ha sempre attratto quella crepa tra obbedienza ed insofferenza e quanto di non detto ci faccia genialmente percepire con i suoi “non so che”.
Il poeta Mario Luzi.
L’iniziazione al 900 avvenne nelle vacanze di Natale del 1969 a Genova in casa della professoressa Domenica Bifoli Dezzuti (canavesana, nata nel 1923) amica di famiglia di un mio compagno di liceo, che teneva incontri con letture di poeti contemporanei. Quel mio amico mi invitò ad accompagnarlo: si commentava Montale, e lì lessi con attenzione per la prima volta la poesia contemporanea. Poco dopo nella primavera del ’70 in quegli incontri si lessero poesie di Luzi, che mi piacquero molto. Lo approfondii come autore a scelta al primo esame con Croce del giugno ’73, poi mi capitò di conoscerlo personalmente a Genova ad un convegno di poesia Genova – New York nella primavera del 1980. Io, nello stesso periodo, organizzavo con amici una serie di incontri di poesia giovane per conto dell’Assessore alla cultura del Comune di Genova, Attilio Sartori (1922 – 2013) una bella figura di politico e uomo di cultura.
Nei giorni in cui Luzi era a Genova vi era l’incontro con Milo De Angelis e il gruppo di ‘niebo’. Invitai Luzi all’incontro e lui in effetti apparve, con cortese attenzione. Nacque poi una mia consuetudine con lui che durò fino alla sua morte, per 25 anni. Al di là della sua poesia, era un uomo squisito, lo scrittore meno narcisista che abbia frequentato; non possedeva neppure le copie dei suoi libri, viveva in modo umile, non si curava del suo passato, ma sempre del presente ed era uomo capace di ascolto, oltrechè dotato di brillante ironia. Sia chiaro, aveva contezza di sé in quanto poeta, custode della lingua in sommo grado, ma il suo interesse per questo riguardava proprio il poien in senso etimologico, la poesia che si stava facendo, quanto dall’ascolto del mondo (della natura e dell’anima) si poteva captare in un giro di versi.
Eugenio Montale però…
Montale resta il poeta insuperabile di tutto il secolo scorso: Della generazione successiva oggi sembra sopravanzare Caproni, su Luzi e Sereni, ad esempio. Certo Caproni ha un timbro così originale nel verso, poco tributario di predecessori, ma in ogni caso Montale per me resta inespungibile. Montale non solo come poeta; il prosatore e critico ha sempre un passo fulminante tra esattezza ed ironia. Basti pensare alle sue note musicali, molte ancora sepolte nel “Corriere”, in particolare quelle concertistiche. Meraviglioso che nel giro di poche frasi, in spazi costretti, potesse fare icastici ritratti, come quello di un dimenantesi Celibidache mentre dirige l’orchestra scaligera.
Soddisfazioni ed incontri nella docenza universitaria…
L’ambiente veronese, innanzitutto. Arrivai da usurpatore nel 1998, ma Gilberto Lonardi, Giampaolo Marchi, Erasmo Leso mi ebbero subito tra i loro: un ambiente davvero amicale e rispettoso; Lonardi è anche un grande maestro di annodi intertestuali per Leopardi e Montale; appassionato di melodramma e di teatro in versi, un interlocutore indispensabile.
A Genova devo molta amicizia e gratitudine alla memoria di Edoardo Villa, impareggiabile bibliofilo dell’800 e a Luigi Surdich, acutissimo lettore di poesia del 900 (oltre che boccaccista), che fecero molto proprio per il mio accesso ai ranghi accademici, così come Guido Baldassarri, insigne studioso del Tasso nell’Ateneo di Padova. Devo poi subito ricordare Giuseppe Sertoli, anglista sovrano del Settecento, ma anche sempre attratto dalla teoria della letteratura. Fu lui ad impegnarsi per farmi ritornare a Genova nel 2005, dove ho ritrovato antichi compagni come Ida Merello, francesista, Massimo Bacigalupo, americanista e strenuo lettore di poesia contemporanea, Luisa Villa, anglista, con cui collaboro da trent’anni per la rivista “Nuova corrente”, e Quinto Marini, mio primo mentore nel ’79 per l’accesso come docente all’Istituto Arecco dei gesuiti. Rapporti di collaborazione recenti sono a Genova con i più giovani italianisti come Andrea Aveto e Matteo Navone, in Italia con il gruppo di ricerca RRR (Rivoluzione Restaurazione Risorgimento), che si è avviato con Silvia Tatti, della Sapienza, in seno all’ADI (Associazione degli italianisti).
Gli studenti di ieri e quelli di oggi.
Ho insegnato per 22 anni nella scuola e per 23 all’università. Decisamente tutto era più facile nel secolo scorso, in età pre digitale, quando per minor divario di età c’era anche più sintonia tra docente e allievi. Dei miei alunni del liceo ho un grato e vigile ricordo. Non ho particolari ricordi dei miei allievi all’università, troppo di passaggio. Ho avuto certo la sensazione di un tempo per certi versi scaduto quando non trovavo più immediata intesa con la platea studentesca sul margine di una battuta. Sono sempre stato un cultore dei film di Bunuel e negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso quando affermavo “è una situazione bunueliana” per alludere ad un qualcosa di assurdo e surreale nel quotidiano, tutti gli astanti capivano. Provai la battuta una volta in questo nuovo secolo, creando a mia volta una situazione bunueliana, perché nessuno capiva il riferimento.
Come si dice nel Gianni Schicchi “una cosa si perde e una si trova”; oggi velocemente si può scivolare nell’oblio e non mi pare resistano ‘zoccoli duri’, dati culturali assoluti, così è difficile oggi trovare una sensibilità diffusa alla tradizione letteraria come ancora era possibile nel secolo scorso, d’altra parte si sono potenziati altri campi del sapere, specie d’ambito visivo; e la stessa percezione è mutata così come l’uso del tempo. Il nostro dinamismo percettivo e tattile non si accorda al tempo lento e sedimentato della lettura e dell’analisi. Come fa ad esserci piacere nel leggere A Silvia se non si riesce ad intendere alla prima il senso di “pria che l’erba inaridisse il verno”? “Il verno”, chi era costui? E “pria”, mah! Ha ceduto il lessico della tradizione letteraria; se per leggere i classici italiani si devono tradurre in italiano corrente, la partita è chiusa. Resterà una riserva per addetti ai lavori.
Autori liguri del primo Ottocento.
Come lei sa condivido il suo interesse per le figuri minori quanto vivaci del nostro valico tra Settecento e primo Ottocento, come il suo padre Celestino Massucco. C’erano religiosi variamente portentosi in Liguria come i giansenisti Vincenzo Palmieri ed Eustachio Degola, ma anche i robusti reazionari come Luigi Lambruschini e il padre Spotorno. Mi pare che il periodo tra crepuscolo della Repubblica e l’età mazziniana vada meglio messo a fuoco. Anche le figure femminili come Maria Mazzini, epistolografa di rango, e Bianca Milesi. Per non dire dei genovesi pro tempore come Graberg di Hemso, il barone von Zach, insigne astronomo ungherese, il padre Bresciani. Un posto di rilievo infine va a Felice Romani, principe dei librettisti, giornalista e polemista brillante.
La sua collaborazione alle riviste ha del portentoso.
Mah, non mi pare gran che. In questo ambito devo molto a Mario Boselli (Genova 1912 – Sestri Levante 1999), che nel 1980 mi volle in redazione in “Nuova corrente”, che ora dirigo con una redazione interdisciplinare di italianisti, anglisti e filosofi. Stiamo lavorando ad un numero su “Dante ibrido”, tra presenze e cultura popolare tra 800 e 900. Poi c’è stato “il Verri” di Anceschi, su cui ho curato una rubrica di ‘Archivio del 900’ per un po’ di tempo. Nonché “Resine”, nella sua ultima fase a carattere monografico. Ora appena nata “Quaderni montaliani” da Interlinea con in redazione, tra gli altri, Contorbia, Lavezzi, Aveto, Senna, Castellano.
Quale la sua opinione sulla poesia odierna?
Ho seguito con grande attenzione la poesia in corso dal 1973 fino ai primi di questo secolo. Ora è più di un decennio che non seguo, se non sporadicamente, perché mi pare ci sia troppa confusione. Le due collane nazionali superstiti di poesia, la bianca di Einaudi e lo Specchio di Mondadori, fanno spesso scelte di routine, e a volte dimenticano autori di rilievo. Ad esempio è uno scandalo che da un decennio queste due collane ignorino un poeta per me notevole come il marchigiano Eugenio De Signoribus, autore Garzanti finché ci fu la collana verde di poesia (quella di Luzi e Caproni, per intenderci). Continuo a leggere ed amare i poeti che mi accompagnano da quasi mezzo secolo: De Angelis, Viviani, Conte; e più recentemente Antonella Anedda. Poi ci sono alcuni poeti appartati e di rango, come Adriano Sansa ed Albino Crovetto, per rimanere sul territorio ligure.
Fra storia e Letteratura.
Sono le mie due passioni predominanti; mi piace il loro incrocio e per questo da tempo tanto mi intriga il primo Ottocento, in cui l’intreccio risulta così forte e, come dire, operativo.
Genova e Madrid.
A Madrid da oltre un decennio vive mio figlio con la sua famiglia. Ho sempre avuto attrazione (mentale) per la Spagna ed ora l’ho praticata, ma sempre assai limitatamente, per via di vari impegni e della molestia del viaggiare da Genova, con qualsiasi mezzo.
Un suo progetto a lungo accarezzato.
Non progetti specifici. Avrei voluto studiare meglio l’ultimo Tasso nel confronto tra Liberata e Conquistata; ora ci sono molti studi.
Che cos’è la felicità?
Non ho risposte in merito.
Oggi…
Oggi ho passato una piacevole giornata a studiare la presenza di Napoleone nei versi italiani dopo la sua morte, viaggiando come l’Ariosto, non sull’atlante, ma sulle risorse della rete. Ho scoperto una bella poesia di Paolo Costa del 1830 e mi hanno intrigato i poeti corsi da Viale a Multedo. Ecco, la Corsica letteraria italiana dell’Ottocento mi sembra un tema ancora attivo di ricerca.
Domani…
Potrebbe essere la Corsica, appunto, o un ritorno a Montale critico musicale.
Sul far della sera…
La sera ormai è quella della mia vita; sarebbe da fare forse un bilancio, ma come Luzi, in questo caso, preferisco sempre il momento corrente.
Le sono grato, caro Prof. Verdino, per aver accolto le mie domande. Auguro a Lei ed ai Suoi Cari quanto il loro cuore desidera. Viva noi!
Gian Luigi Bruzzone