Il recupero delle ex-cave in Liguria rientra in una politica per l’energia che salvi l’agricoltura. Un segnale da Finale dopo il fallimento della Società “Cave Arene Candide”.
di Gabriello Castellazzi*
Il Comune di Finale Ligure ha reso noto che il 15 giugno scorso è stato dichiarato il fallimento della Società “Cave Arene Candide”, proprietaria di una vasta superfice affacciata sul mare: 60.000 mq al confine con Borgio Verezzi.
La procedura fallimentare inizierà il prossimo 23 novembre e vedrà il coinvolgimento del Comune in quanto creditore per alcuni milioni di euro. Si apre quindi una fase importante che potrebbe essere di esempio per molte aree della Liguria dove è stata abbandonata l’attività estrattiva.
Secondo un rapporto di Legambiente in Italia ci sono circa 1680 cave abbandonate e tra queste ben 380 si trovano proprio nella nostra Regione. Quale ruolo avranno in futuro queste aree degradate, da decenni in attesa di bonifica?
Il loro destino può essere associato a quello dei tanti siti ex-industriali, oggi abbandonati, che possono invece diventare utili per una politica dell’energia rispettosa degli “Accordi di Parigi”, salvando nel contempo preziose superfici attualmente impiegate in agricoltura.
E’ necessario fare una premessa: l’Italia è la terra del sole e nella pianificazione energetica europea dovrà contribuire ad aumentare in modo significativo la produzione di energia elettrica.
Oggi, grazie al solare, sul territorio italiano si producono 21 gigawatt di energia elettrica ma, se vogliamo entrare nei programmi europei di riduzione della CO2 prodotta dai combustibili fossili (responsabili dei disastrosi cambiamenti climatici), dovremo raggiungere i 50 gigawatt entro il 2033. Una “transizione ecologica” che può finalmente contare sui 4 miliardi di euro messi a disposizione dal “Piano nazionale di ripresa e resilienza”: per far questo bisognerà coprire di pannelli fotovoltaici una superficie di circa 80.000 ettari.
Il Governo Draghi ha indicato le procedure per le autorizzazioni di impianti “solari”in tutte le Regioni, prevedendo poteri sostitutivi in capo al Ministro Cingolani in caso di loro inerzia. Ma qui sorge il problema. E’ corretto sacrificare prezioso terreno agricolo per realizzare questi impianti? Non sarebbe molto più utile intervenire su territori ex industriali già compromessi come le cave che hanno esaurito la loro funzione?
La Coldiretti è già intervenuta duramente: “Non accettiamo che si tolga un solo ettaro di terreno destinato alla produzione di cibo”. “Italia Nostra”si dichiara contro il “pannello selvaggio”: “Siamo convinti che se tutte le Regioni fossero dotate di Piani Paesistici operativi, la pianificazione in campo energetico avrebbe strumenti di reale controllo sulla trasformazione del paesaggio che rischia di condannare all’oblio zone di straordinaria bellezza”.
Purtroppo, oggi, una norma consente “deroghe al divieto di fruizione degli incentivi statali per gli impianti solari fotovoltaici con moduli a terra in aree agricole”. Una “scappatoia burocratica” estremamente pericolosa. In gioco ci sono i grandi incentivi economici messi a disposizione dall’Europa, ma per recuperare energia pulita non si possono accettare speculazioni su aree agricole.
Secondo dati ISTAT, registriamo in Italia 9000 kmq di siti industriali abbandonati, eppure nella sola Sicilia si stanno realizzando mega impianti fotovoltaici e programmi operativi per occupare 1000 ettari di terreni agricoli.
Il “Piano Energetico” dell’isola consente l’utilizzo di aree industriali dismesse (capannoni, ex discariche, cave, ecc.): siti che potrebbero ospitare complessivamente 4600 ettari di pannelli solari. Nonostante queste possibilità vengono invece sacrificati preziosi terreni agricoli per evitare i costi di messa in sicurezza necessari a ottenere le licenze.
In Veneto, nel ricco nord-est, si è concesso il “via libera” ad un parco fotovoltaico di 50 ettari, nelle campagne di Rovigo, su terreni agricoli con produzioni di eccellenza. In molte altre Regioni, tra queste la Liguria, si ripetono le stesse procedure dannose per l’ambiente perchè non vengono approvati, in accordo con le Amministrazioni locali, i necessari “Piani di localizzazione delle aree idonee”.
Il Ministro Cingolani ha dichiarato nei giorni scorsi: “Accerteremo con le Regioni lo stato dell’arte, sapendo bene che occorrerà molta attenzione, io sono per realizzare questi impianti nelle aree industriali dismesse e per sostenere l’agri-fotovoltaico, cioè per far diventare le aziende agricole autosufficienti sul consumo energetico attraverso pannelli su stalle e capannoni”.
Vedremo quali saranno le sue azioni concrete nei prossimi mesi. Purtroppo in questi giorni lo sentiamo argomentare di tecnologie nucleari che vedranno la luce, forse, tra alcune decine di anni (e ci riferiamo ovviamente al “nucleare pulito a fusione” senza scorie radioattive, perchè le centrali esistenti che utilizzano uranio non sono più proponibili in nessuna parte del mondo).
Intanto nella nostra Liguria cosa faremo nelle 380 cave abbandonate? Si sta lavorando per “ Piani di localizzazione” capaci di avviare nella giusta direzione il recupero delle superfici ormai compromesse?
E’ auspicabile che il Comune di Finale Ligure si attivi nei confronti della Regione per veder finalmente realizzato sul proprio territorio un progetto che trasformi l’area degradata della Caprazoppa in un sito ecologicamente sostenibile: centrale solare di 12.000 mq. sui gradoni della parte alta, un giardino botanico mediterraneo vicino al mare e un “Parco Archelogico” che valorizzi la “Caverna delle Arene Candide” (sito archeologico di importanza europea dove visse 25.000 anni fa il “Giovane Principe”).
Gabriello Castellazzi- Europa Verde- Verdi savonesi