Sono scese in campo in questi ultimi mesi le squadre della Rivoluzione Democratica e quella della Restaurazione Democratica. Entrambe avevano motivo di tentare di vincere la tenzone, in quanto il vuoto lasciato del vecchio corpo partitocratico, giustiziato da Mani pulite, aveva privato lo Stato di una guida, dunque lo aveva democraticamente sguarnito di indirizzo e, pericolosamente, di controllo.
di Sergio Bevilacqua
Mentre le squadre si riscaldavano e la partita per il suo vero governo democratico non era ancora iniziata, lo Stato si auto governava, con presenze dubbie ed arbitrio, generando a sua volta una squadra di fantasmi, pronta a scendere in campo per ostacolare o facilitare, con l’intenzione di nuocere alla vittoria di ognuna delle due squadre e mantenere subdolamente il potere, con l’appoggio complice del PD, in buona parte manovrato da tecnocrati antidemocratici: uno strano deep-State, non in civile formato americano, ma decisamente barbarico.
La squadra della Rivoluzione era guidata da Beppe Grillo e i suoi, e portava sulle bandiere il volto del primo sognatore, defunto, Gianroberto Casaleggio, un informatico dall’aria intellettuale, di poche parole per fortuna, con tanta pace all’anima sua; tante parole aveva invece il Robespierre di turno, Beppe Grillo, gonfio di astio contro il PD dal quale era stato rifiutato, e al quale aveva dichiarato guerra all’ultimo sangue.
Improvvisandosi dai suoi palcoscenici Statista e Istutuzionalista, l’istrionico artista e intrattenitore comico-tragico riusciva a convincere con espedienti retorici molti insoddisfatti di destra e di sinistra (“Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra…” , Giorgio Gaber) usando soprattutto odio e invidia, tra i vizi capitali, tipica scelta rivoluzionaria.
L’idea cardine era la finale distruzione della residua carcassa dei partiti, per una democrazia non più rappresentativa ma diretta e garantita da una specie di Grande Fratello Buono, il supersistemone Rousseau, nome non a caso ben scelto tra quelli dei teorici rivoluzionari bipartisan.
Rousseau avrebbe gestito informazione e formazione, portando ogni persona a poter decidere, abracadabra, in luogo di specialisti su qualunque materia di governo.
Una favola che, nel quadro della regressione civile dovuta al massacro dei Partiti, aveva attecchito bene e folle di persone qualunque si erano, con arroganza, presunzione e deliri tipici delle favole dei Fratelli Grimm, affacciati all’agone politico applicando i più primitivi meccanismi di appropriazione di vantaggio: quelli dei branchi, delle orde e delle bande.
I principi unificanti erano quelli di Dulcamara, celebre turlupinatore dell’opera col suo Elisir d’amore: “uno vale uno”, locuzione diabolica che, a-la-fois, azzera competenza e qualità oppure fa salire chi sotterraneamente è più bravo a organizzarsi, contro il merito e la trasparenza e centralità della sana democrazia. Ma i grillini non vivevano la realtà: sull’onda delle concioni urlate del falso profeta, erano come ipnotizzati e calati in un film fantasy, ove però non vincono i buoni ma i furbastri.
La squadra della Restaurazione nasce fisicamente meno forte, e prima della partita, subisce la grancassa dell’orda barbarica scatenata.
Il reclutamento dei barbari si avvale dei meccanismi di bande che, in tutto il territorio nazionale, promuovono persone di-fatto senza senso morale, preparazione istituzionale e visione civile, avendo dovuto combattere questi valori per affermarsi, d’accordo con complici.
La qualità istituzionale ne è travolta: ministri incompetenti, un presidente del consiglio “fumetto” tra i fumetti, una specie di Paperoga, contro cui le vuote folate di leaderismo e carismatismo degli altri però poco poterono.
L’Europa guardava preoccupata. Le tentazioni verso l’obbrobrio italiano andavano:
A. dal tentativo di togliere la sovranità magari con l’arma del debito, contro cui in modo ruvido si opponeva una buona parte dei politicanti eletti di qua e di là,
B. al tentativo di fare cambiare l’Italia politica dall’interno. Ma con chi?
L’Europa cerca una via, e, dopo il visionario karakiri salviniano, che con un “muoia Sansone con tutti i grillistei”, apre le astute porte del baratro al marciume puro del giallorosso.
Ed ecco la nemesi: il regno di Satana viene scalzato con determinazione da Lancillotto-Renzi che, con l’aiuto di Artù-Mattarella e, sempre, della Dea Europa, apre al ritorno, dalle Crociate europee in BCE et ceteris, di Riccardo Cuor di Leone o meglio di Drago: Mario Draghi.
Così finisce il pre-partita, ancora coi barbari in prevalenza mediatica. A SuperMario costruire la vera squadra di campioni della Restaurazione democratica. Ma non è così facile, anche se le brigate rivoluzionarie grilloidi, avendo toccato con mano la realtà del delirio istituzionale vissuto, prodotto di quel mezzo matto di Grillo e dal suo compagno di canne Casaleggio, sono allo sbando.
E così scendono in campo. La partita si apre con evidente difficoltà della squadra grilloide.
E sono goal dopo goal per Restaurazione Democratica: con l’espulsione del suo predecessore Arcuri, Figliuolo (d’Italia, possiamo dirlo, onorevolmente) prende in mano la pandemia e ridicolizza il giallorosso contiano. 1 a 0.
Mario Draghi prende in mano personalmente, con la consulenza politically correct di McKinsey, il Recovery Plan e l’Europa lo abbraccia e bacia: 2-0.
Sempre lui, Supermario, promuove la linea espansiva del Partito Popolare Europeo e della Merkel, e rassicura il popolo italiano sul debito pubblico e conseguenti tasse e prelievi da tasche: 3-0. Con un colpo di vento, il PIL nazionale vola dal 3% previsto a forse 5% (e perché no di più?) e il pallone va imprendibile all’incrocio dei pali: 4-0.
Intanto i Rivoluzionari (ormai riconosciuti come ebeti) litigano tra loro con la Contessa che attacca il Mezzo-matto: Autogol, 4-0. Le truppe dei banditi-pirati grilloidi, approdati in Parlamento con subdoli giochetti meet-up per meet-up, vista la fine del rhum, vagano orbi su scialuppe cercando ospitalità qua e là, con risultati alterni, dato il fetore: altro autogol, 5-0.
Quei pochi che hanno potuto attraccare alla portaerei Draghi tremano. Di Maio si traveste da odalisca e, per non tornare a vendere bibite allo stadio di Napoli Diego Armando Maradona (che è morto pure lui), fa la danza del ventre per Draghi, ottenendo applausi convinti e una promessa di pensione anticipatissima al più presto. 6-0.
L’arbitro Mattarella, preoccupato dallo squilibrio delle forze in campo, a causa di uno starnuto del leghista Giorgetti senza mascherina su un amico di Conte tatuato (si dice direttamente da Casalino in luogo indicibile) col viso del vate(r) Casaleggio, decreta un calcio di rigore per i Rivoluzionari ormai allo stremo. Incaricato il superministro del Verde (ops, Transizione Ecologica) Cingolani, il quale, responsabilmente, lo spara nella propria porta: 7-0 (anzichè 6-1), anche se il portiere Speranza dormiva.
Mattarella fischia la fine dell’incontro. E speriamo che i perdenti riposino in pace, amen. Così la smettono di disturbare e Draghi continua meglio la sua marcia per la civiltà politica italiana. Anche Giuseppe Verdi e la sua vera moglie Margherita Barezzi applaudono dall’aldilà celeste.
Sergio Bevilacqua