Alla riscoperta del buon pane, tradizione della famiglia Ferrari. Con William, 21 anni, nel paesino medievale di Pieve di Teco, siamo alla quinta generazione di fornai e panettieri. C’era il forno a legna, poi vietato da una legge regionale. Non si ammaina la bandiera del vecchio mestiere messo in pratica con sapienza, amore, meticolosità, serietà. E tante ore di lavoro, tra la preparazione dell’impasto, ingredienti di prima scelta, esperienza tramandata da padre in figlio. Il banco di vendita affollato, la clientela che apprezza, torna, arriva dalla città, si mette in coda. E , a Pieve di Teco, risparmia sul ‘caro pane’, soprattutto in tempo di crisi.
Alla ricerca dell’inseparabile alimento, da secoli simbolo di un prodotto senza distinzione di casta. Tornato in auge per i buongustai e al centro di continua evoluzione commerciale. 123 anni di storia dei Ferrari nel paese rimasto ‘capitale’ dell’Alta Valle Arroscia. Pieve di Teco ricordato negli annali delle biblioteche perché il 20 gennaio, in occasione di San Sebastiano, le bambine avevano l’onore di sfilare in processione con le loro bambole lungo le vie del paese. Fino a raggiungere il parroco (in chiesa) che benediva con una particolare cerimonia dedicata a loro. O ancora, un tempo sulla collina sorgeva il castello di un marchese. Edificio abbattuto agli inizi del ‘700 dai sudditi, esasperati dai pesanti balzelli che imponeva. La leggenda narra che il castellano presagendo la rivolta nascose il tesoro in un bosco vicino al maniero. Alla fine dell’800 una parte delle sue ricchezze fu ritrovata in questi luoghi, ma non venne rinvenuto il pezzo più pregiato. Una chioccia d’oro zecchino con i suoi 9 pulcini che il nobile aveva avuto in eredita dagli avi che avevano preso parte al bottino del tesoro dei Montezuma del Messico.
La dinastia dei Ferrari panettieri non ha tanto alone di ricchezza. E non sono i soli, se ascoltiamo i racconti di altri cognomi illustri della secolare Pieve di Teco. Occorre tornare al 1890 per fissare la data dell’esordio, del pioniere Agostino Ferrari. Poi fu la volta del mitico Giuanin, quindi del figlio Agostino (stesso nome del nonno) che ebbe un’esperienza di emigrato in Francia. A Lavandou sposò una cittadina francese, nacquero due figli, Michel e Bernard.
Agli inizi degli anni ’60 Agostino torna a Pieve, riprende il timone del ‘forno’ con la morte di Giuanin. Resisterà fino alla chiamata per l’aldilà, l’ultima ‘cartolina della vita terrena arrivata nel 1972. Tocca a Michel e Bernard, quarta generazione, onorare gli avi panettieri alle prese con il novecento, il secolo più difficile della recente storia italiana: due guerre, la dittatura fascista, la Liberazione, la ricostruzione del Bel Paese. Con un entroterra ‘povero’, ma vivo e vivace, popolato da pastori e lavoratori dei campi, tutti coltivati per bisogno e sfamarsi.
I due fratelli panettieri conoscono la lunga stagione del boom economico italiano e ligure, l’esplosione del turismo e della cementificazione-gruviera della Riviera. La lenta riscoperta ed attrazione dell’entroterra in buona parte emarginato e via via abbandonato alla ricerca di una vita migliore, di un posto di lavoro sicuro. Loro restano, resistono e raccolgono i frutti del rispetto della tradizione artigiana. Un lavoro apparentemente semplice che però finisce per essere assorbito ed in parte sconvolto dall’avvento della tecnologia. L’automatismo delle macchine prende il posto della manualità. Nascono i primi forni industriali, inizia il declino delle specialità paesane, montanare. La moda del tutti in città, del consumismo sfrenato. Il passaggio da un mondo all’altro sempre più repentino.
Anche a Pieve di Teco non si vedeva più in giro tanta gente. Bisognava aspettare la domenica, le fiere o le partite di pallapugno nello sferisterio. Turisti e stranieri sono arrivati sempre più numerosi sul finire del secolo scorso. Ma non c’era più quella campagna piena di vita, di rumori, di animazioni popolari. La sera all’imbrunire si vedevano le rondini e le libellule. Oggi non ci sono più. Le libellule mangiavano gli insetti e le rondini mangiavano le libellule. Gli insetticidi hanno interrotto la catena alimentare.
La ‘tradizione Ferrari’ cerca di restare fedele, controc0rrente. Il sudore della fronte e l’arte nelle mani, il rispetto certosino della scelta degli ingredienti e della qualità. E’ rimasto al timone solo Michel, con una nuova gestione. Lui a 65 anni ed una malcelata soddisfazione umana. Il figlio William ha scelto lo stesso mestiere, con la fortuna di imparare da un papà ‘maestro artigiano’.
Oggi la lotta è non soccombere alla concorrenza (a Pieve di Teco operano altri due ottimi panifici) e di soddisfare i pendolari del fine settimana. La panetteria diventata punto di riferimento. C’è l’evoluzione generazionale. Il tradizionalissimo binomio pane e focaccia si è arricchito. Le pagnotte sono quelle di una volta. Si sono aggiunte le ‘ francesine’, bananine, la segale.
“I tempi sono cambiati anche per noi – spiega Michel Ferrari -, ho potuto lavorare la farina forte e buona, ho conosciuto i mulini a pietra quando compravamo la materia prima a Ceva. Ricordo Sattanino, ora chiuso. Il mulino di Bastia di Mondovì. Taricco. Attività cessata. Il grano era più naturale ed i terreni meno sfruttati”.
Chi sono i fornitori che hanno resistito alla soglia del nuovo secolo? Ancora Ferrari: ” Il grano arriva ormai da tutto il pianeta, ci sono molte più miscele. In Piemonte è rimasta la produzione di granoturco”.
E’ vero che pochi praticano il ‘segreto’ del ‘buon pane’? Risposta: “Posso svelare il mio metodo, sapendo che non sono certo l’unico. Ci metto tanta passione, pazienza, ore di lavoro. Serve un mix e nessuna economia sulla qualità. Non uso, ad esempio, strutto; solo olio d’oliva. Si adopera la margarina vegetale, niente additivi, quali i ‘ miglioratori’. Molto dipende dalla farina che si lavora. Ed attenzione ai tempi di lievitazione. Il pane, per sapere se è buono o meno, va degustato, sbaglia chi si limita a giudicarlo dalla vista esterna. Certo, qualche volta può succedere l’imprevedibile”.
Il lavoro da panettiere è duro. Michel accumula 12-13 ore nel laboratorio-forno, dorme 7 ore, ammette che è difficile coltivare amicizie, relazioni sociali perché sistematicamente si vive alla ‘rovescia’ rispetto ai comuni mortali. E un’ammissione: “Se ci fosse una seconda esistenza terrena non farei lo stesso lavoro. E’ troppo sacrificato. Non a caso i giovani fuggono, è difficile trovare personale. Sono inoltre finiti gli anni d’oro, del 1970. Il settore panificazione non sfugge alla recessione globale. A Pieve eravamo 4 forni, ora tre”.
In Liguria chiusi i forni a legna, mentre nelle vicine valli cuneese se ne contano 3- 4? ” Ho imparato quando esisteva solo il forno a legna, ho continuato per un decennio. Sicuramente il pane è più gustoso, ma più faticoso produrlo. Le massaie-contadine del forno a legna in casa, sfornato una volta in settimana, possono testimoniare. Bei ricordi! La mia soddisfazione è quando i clienti tornano e fanno i complimenti. Si cerca di mantenere un corretto rapporto qualità-prezzo. Da tre euro, a 3,50 al chilo. Penso quando vendevamo a 280 lire ed c’è chi faceva la spesa con il libretto dove si segnava. E si pagava a fine mese.”.
In molte panetterie, come da Ferrari (2 negozi ), si vende la ‘tradizionale’ farinata ligure. Una specialità sono i grissini, fatti a mano, uno per uno; in casa si conservano intatti, gustosi per giorni. Il pane di Ferrari ha un altro pregio: si conserva a lungo, non fa la muffa e non perde il caratteristico sapore, il profumo.
Sarà vero, non va più molto di moda, tra le nuove generazioni, la cultura del pane di una volta. Quasi nessuno conosce del resto l’arte e le virtù del bravo panettiere: lievitazione scrupolosa, tempo di riposo della pasta, tempi di cottura, utilizzo del lievito di birra. L’uso della ‘pasta vecchia’ da un giorno all’altro e quella che in gergo definiscono ‘pasta acida’. Ci sono le classiche 12 ore di preparazione.
Ci sarà qualcosa, nel lavoro del panettiere con i cappelli bianchi, in grado di attirare l’interesse dei giovani, escludendo le popolari focaccia e pizza? Pare di si. Nel panificio Ferrari vanno a ruba i biscotti (cialda) rotondi di orzo puro. Pane che si sfalda a contatto con i liquidi, nonostante sia apparentemente raffermo. Conclude il buon Michel: ” Ottimo nel latte, nella minestra, con l’olio extravergine, eccezionale con l’acciuga ed il pomodoro”.
Grazie, signor Michel, per averci fatto il cicerone, in una mattina feriale di maggio, uggiosa e freddina, con uno degli eredi (William). Dietro il banco la professionale Stefania Minichelli, commessa modello che ogni giorno fa la spola tra Ormea e Pieve di Teco. Dalla Val Tanaro all’acqua dell’Arroscia che disseta l’imperiese, rende fertili le aree dell’entroterra ingauno, alimenta il bacino del Centa. Benvenuti a tutti, tra i sapori e profumi del forno della longeva panetteria imperiese.
Luciano Corrado