Ci sono ancora dei depositari che sanno e possono sapere molte verità nel puzzle ‘Bombe di Savona’ quasi sempre dimenticate dalla cronistoria nazionale del terrorismo e degli anni bui della Repubblica. Nelle 290 pagine del libro (il secondo di Massimo Macciò, savonese, docente e studioso) l’ultimo capitolo contiene un’inedita cronologia 1972 – ’75 scritta dal ‘soldato politico’. detenuto nel carcere di Opera, Vincenzo Vinciguerra, che l’autore ringrazia per il prezioso contributo alla conoscenza di quella lunga stagione di attentati, di sangue e paura, stragi. Anche Savona ne fu teatro tra il 1974-’75. E’ il 7 febbraio ’74 (la prima delle 12 bombe a Savona è del 30 aprile) quando il ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani riceve, nel suo ufficio, a Roma, il giornalista Piero Buscaroli al quale richiede di favorire il sostegno del MSI- DN al governo. Buscaroli testimonierà che Taviani gli disse che molti attentati erano il frutto di operazioni condotte dai servizi segreti del ministero degli Interni. Accadde anche nella città medaglia d’oro della Resistenza e del presidente Pertini ?
Un altro passo indietro di pochi mesi prima, il 23 novembre ’73, Taviani nelle sue memorie annota: “Il tribunale di Roma…ha emesso la sentenza che riconosce in Ordine Nuovo la riorganizzazione del disciolto partito fascista…Ho fatto preparare il decreto di scioglimento. Mi sono recato a Palazzo Chigi….Rumor è perplesso. Piga, capo di Gabinetto, è nettamente contrario, ritiene incostituzionale il mio decreto. Effettivamente la legge rimanda lo scioglimento del costituendo Partito fascista all’ultima decisione della Cassazione. Arriva Moro…Inopinatamente Moro si dimostra contrario alla mia proposta. Io spiego che senza un segno preciso del governo, i servizi segreti e gli organi periferici continuerebbero a vedere i pericoli solo a sinistra, senza prendere sul serio il pericolo montante dell’estrema destra. Porto il decreto al Consiglio dei ministri…Propongo al consiglio di autorizzarmi a porre fuorilegge il movimento Ordine Nuovo…Il Consiglio approva all’unanimità….(Malfatti)… mi chiede: Ma Taviani non si trattava di un atto dovuto? No gli ho risposto ‘la legge Scelba fu emendata e l’atto sarebbe ‘dovuto’ soltanto dopo l’ultimo passaggio alla Cassazione. E’ stato un atto politico”.
E il 23 novembre, nelle vicinanze di Porto Marghera, precipita, a causa di un attentato l’aereo Argo 16, usato da Gladio ( alcuni savonesi risulteranno poi nelle liste, ma si faceva il nome pure dello stesso Taviani per conto della Cia) per i trasferimenti a Capo Marrargiu, dove i gladiatori ricevevamo addestramento militare. Si aggiunga che anni dopo la pubblicazione delle liste dei gladiatori, la fuga di notizie scatenò uno scontro politico ai massimi livelli della Dc, vedi Cossiga e Andreotti).
Per la tragedia di Porto Marghera le ipotesi formulate dal giudice Mastelloni cui è stata affidata l’inchiesta- scrive Vincinguerra nel libro- sono due: 1) una vendetta del Mossad (servizio segreto israeliano, perchè l’aereo aveva trasportato dei palestinesi liberati dalla magistratura italiana. 2) un avvertimento ai membri di Gladio nel momento in cui il generale Serravalle stava tentando di disarmare l’organizzazione.
23 gennaio ’74. A Santa Margherita Ligure è sancita la ricostituzione della loggia massonica Camea (di cui si parlerà anche nell’istruttoria per lo scandalo Teardo e logge massoniche ndr).
24 gennaio 1974. A Roma si svolge una riunione fra il ministro della Difesa Mario Tanassi, il direttore del Sid, generale Vito Miceli, il capo della Polizia Efisio Zanda Loy (era stato prefetto di Savona, persona riservata e stimata nella comunità savonese, il figlio è senatore del Pd ndr), il comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Enrico Mino e il questore di Roma.
Aggiungiamo farina del nostro sacco. Mino aveva frequentazioni a Savona, in particolare si ricordano le visite all’amico Leo Capello, albergatore di Spotorno, poi arrestato nell’inchiesta Teardo come ‘cassiere’ dell’associazione a delinquere di pubblici ufficiali. Capello che era considerato il figlioccio del presidente Pertini il quale non esitò a mettere alla porta i compagni savonesi coinvolti quando esplose lo scandalo. Mino morì, il 31 ottobre 1977, per un incidente mentre era a bordo di un elicottero dell’Arma.
27 gennaio 1974. A Moena Paolo Emilio Taviani, che si trova nella scuola di pubblica sicurezza, registra l’allarme lanciato nella notte di un imminente colpo di Stato, poi smentito. Scriverà nel suo Diario: “Certo il clima è pesante. Assomiglia a quello del Cile prima dell’avvento di Pinocet”. Taviani, ricordiamo, che aveva come capo ufficio stampa il giornalista prof. Secondo Olimpio che era sindaco di Bardineto, esponente Dc dei pontieri (per un breve periodo segretario provinciale. Segretario particolare era invece il dr. Paccagnini romano e che nel savonese contava parecchie conoscenze.
14 marzo 1974. A Roma si compone il nuovo governo presieduto da Mariano Rumor, con Taviani riconfermato alla guida degli Interni, Giulio Andreotti alla Difesa e MarioTanassi alle Finanze.
30 aprile primo attentato. Inizia la lunga stagione savonese delle bombe. Preso di mira il portone dello stabile di via Paleocapa dove abita il galantuomo senatore Dc Franco Varaldo.
Scrive Massimo Macciò: Si parla da tempo della strategia dell’attenzione, ma il Pci è ancora fuori da ogni maggioranza. Segretario del partito è, da due anni, Enrico Berlinguer, nella Dc è di nuovo il turno di Amintore Fanfani. ….In Italia si sente da un po’ di tempo il rumore delle bombe, a Milano in Piazza Fontana, a Gioia Tauro sulla ferrovia, a Peteano…., e tanti altri luoghi dove le esplosioni fanno meno rumore…A gennaio viene arrestato il colonnello veronese Amos Spiazzi, accusato di far parte di un’organizzazione segreta chiamata “Rosa dei Venti”. ….A Savona si raggiunge il massimo storico degli abitanti di 80.326….Savona è uno dei piedi su cui poggia il triangolo industriale italiano, con una classe operaia antica e forte, al porto, all’Italsider e nelle tante fabbriche dentro e fuori la città. E con il Pci che in città ha un consenso quasi plebiscitario e controlla saldamente la situazione. Eppure la bomba scoppia proprio a Savona. E’ la sera qualsiasi di un giorno qualunque. E piove. Ma siamo in via Paleocapa, nel salotto buono della città, e ci sono i portici. Al cinema Astor danno ‘Mussolini ultimo atto’.…Prima visione, c’è gente. Qualche bar è ancora aperto. Qualcuno passeggia. Guido Malandra è uno di questi: sta passando proprio da quelle parti quando alle 20,48 vede il portone del civico 11, quello accanto all’Astor, che, letteralmente, si stacca e vola da un lato all’altro del porticato prima di sfasciarsi su un’auto in sosta.
La bomba la sentono tutti. La sente il dottor Danesi, che sta bevendo un caffé al Barolo Chinato, con la titolare del bar e si ritrova stordito in mezzo a vetrine che cadono e cocci di bottiglia che volano dappertutto. Lo sentono soprattutto gli abitanti dello stabile dove abita Franco Varaldo, un democristiano tutto di un pezzo, da sempre senatore della Repubblica. “Si è sentita una serie di colpi progressivi, quasi come fosse una sequenza di colpi di cannone, ricorda il figlio Emanuele…..” Anche Pietro Coden, mentre con la famiglia sta guardando la TV un dibattito sull’imminente referendum, d’improvviso vede tutti i vetri andare in frantumi e la porta d’ingresso finire davanti alla cucina. Coden si precipita sulle scale ed incontra il senatore, che senza dire una parola rientra in casa. La bomba l’ha sentita anche Alberto Borgio ed ha avuto il tempo di trovarsi paura. Perchè di mestiere fa il fattorino delle poste, qualche minuto prima è salito a piedi lungo le scale del palazzo di Varaldo per consegnare una raccomandata al senatore. Poi Borgio si è diretto al carcere del Monticello, a 100 metri di stanza, ed è li che ha avvertito il boato. Una bomba probabilmente composta da balestite, collocata in un piccolo vano a fianco del ballatoio del primo piano.
Una bomba a Savona : non capitava dalla seconda guerra mondiale.
Nonostante l’ora piuttosto tardi per i tempi di un giornale, la notizie riesce ugualmente ad arrivare sulle pagine dei quotidiani locali e Il Lavoro, il giorno dopo, parla già di un ‘gesto di chiara marca fascista’ per coinvolgere le sinistre ‘ in un disegno di eversione a loro estraneo’. La Stampa mette in gioco anche le sedicenti Brigate Rosse che due giorni prima a Varazze avevano incendiato una vettura lasciando un volantino: “Dopo questo atto dimostrativo passeremo ad un’azione più esplicita”, ma La Stampa è anche il primo quotidiano a fare il nome di Ordine Nero collegandolo alle proiezioni del film all’Astor. L’ipotesi traballa fin da subito, il film è in programmazione in mezza Italia e non si vede per quale ragioni i neofascisti avrebbero dovuto concentrarsi proprio su Savona. Dove di Ordine nero ha mai sentito parlare……Si pensa persino ad altre cause: il racket dei negozi o qualche delinquente a contratto pagato per seminare danni a Savona, ma qui si torna daccapo: pagato da chi ? E perché?
Non bisogna trascurare – riporta Macciò – un episodio accaduto martedì sera, poco prima dell’esplosione, in un bar di Via Mistrangelo, a una cinquantina di metri dal portone preso di mira dagli attentatori: quattro giovani, causa la rottura di un bicchiere, hanno litigato con Nino Freccero il titolare del locale. La discussione stava prendendo una brutta piega quando è intervenuto il fratello del proprietario…Per tutta risposta uno dei giovani avrebbe replicato: State attenti, siamo fascisti e vi spacchiamo tutto’.
Le manifestazioni del primo maggio si svolgono senza incidenti. La pista politica dell’attentato sembra passare in secondo piano. Quando due giorni dopo arriva il messaggio. E’ un foglietto scritto a pennarello che viene recapitato alla redazione di Genova del Secolo XIX. Ad assumersi la paternità dell’attentato è Ordine nero, il bersaglio sarebbe stato proprio il senatore Varaldo.…Il foglietto, comunque, qualche messaggio l’ha lasciato: ad esempio quello della miccia lasciata nel portone del palazzo di fronte a quello dell’attentato. Ma secondo Luigi Lanza, il capo dell’ufficio politico della Questura, “evidentemente vi è stata posta questa notte per avallare quanto scritto. Subito dopo l’esplosione del 30 aprile, infatti, avevamo perquisito tutti i portoni delle adiacenze, compreso quello indicato dal presunto Ordine nero, senza trovare nulla. Chiaro che quella di stanotte è una prova artificiosa”.
In realtà – scrive Macciò – la miccia è stata trovata da Luciano Angelini, il caporedattore de Il Secolo XIX (opportunamente avvertito, a scanso di dimenticanze, da una telefonata anonima nella sua abitazione di via Montenotte), ma nella sostanza la versione di Lanza è confermata.
Lanza che, del resto, aggiungiamo, non ha mai fatto cenno e tenuta riservata la circostanza della telefonata anonima ad Angelini.
Le indagini non seguono piste precise, le perquisizioni a destra e a sinistra delle forse di polizia si fanno senza molta convinzione. L’attenzione dei giornali ricade quasi immediatamente sui fatti all’ordine del giorno: il rapimento del giudice Mario Sossi da parte delle Brigate Rosse, il referendum sul divorzio del 12 maggio. Ben presto dell’attentato a casa Varaldo non si ricorda quasi più nessuno.
27 maggio ’74. A Roma il ministro degli Interni Taviani scioglie la divisione Affari riservati e trasferisce il suo direttore Umberto Federico D’Amato, al comando della polizia di frontiera.
1° settembre ’74. L’Espresso pubblica un’intervista al ministro Taviani che dichiara tra l’altro: “...Gli indizi e le informazioni, le prove raccolte dalle questure e da tutta la rete informativa della pubblica sicurezza mi hanno dato la certezza che non solo la matrice ideologica, ma l’organizzazione sovversiva va cercata a destra”.
17 ottobre ’74. A Roma il presidente della Federazione Italia Volontari della Libertà, Paolo Emilio Taviani, attacca duramente il vice presidente Edgardo Sogno.
Sogno, rammentiamo, è stato latitante a Savona nel periodo in cui il giudice istruttore Luciano Violante, a Torino, emise un ordine di cattura. Le amicizie e le frequentazioni savonesi di Sogno (le foto di una cena in un ristorante di Varazze) sono state al centro di congetture, illazioni, polemiche anche nell’ambito degli attentati a Savona nei quali l’esponente partigiano non fu mai coinvolto.
23 novembre 1974. Si è costituito il nuovo governo presieduto da Aldo Moro, con Luigi Gui agli Interni, Arnaldo Forlani alla Difesa. Sono esclusi Paolo Emilio Taviani e Mario Tanassi che non faranno più parte dei governi della Repubblica.
7 dicembre 1974. A Roma alla Camera dei deputati, nel corso del suo intervento il presidente del consiglio Moro afferma che “in Italia la destra è più forte e pericolosa che non dicano le sue espressioni parlamentari”.
10 febbraio 1975. A Roma intervenendo nella polemica relativi agli ‘opposti estremismi’, Paolo Emilio Taviani dichiara: Se per opposti estremismi si intende cge da una parte ci sono disegni eversivi di chiara matrice fascista e dall’altra equivalenti disegni eversivi di matrice di sinistra, si intende una cosa non vera almeno fino a questo momento”.
Ci sono tante altre date e riferimenti nella pagine e nella cronistoria di Vinciguerra. Ma c’è anche l’esauriente ricostruzione di quella lunghissima stagione dove più volte anche a Savona e dintorni la strage fu evitata solo per caso. Macciò ripercorre con meticolosa rilettura di documenti e testimonianze il ‘mistero Savona’ dove nessuno è stato rinviato a giudizio e condannate. E gli indagati, figure marginali parrebbe, prosciolti, scagionati. Lo racconteremo a puntate nei prossimi numeri del blog. Anche se la scelta del silenzio, della pietra tombale, proprio a Savona pare abbia preso il sopravvento. Giova a qualcuno ? Ormai possibili burattinai, se ancora in vita, possono stare tranquilli. E i giorni della memoria non interessano più di tanto.