Sono passati 23 anni da quando l’amianto è stato messo al bando in Italia e, dopo averlo estratto, prodotto, lavorato e commercializzato, ancora oggi si trova in buona parte diffuso, sotto varie forme, su tutto il territorio nazionale. Le stime fornite dagli studi del CNR-Inail, anche se destinate purtroppo ad aumentare, parlano di ben 32 milioni di tonnellate presenti in Italia. Solo nei siti da bonificare che rientrano nel Programma nazionale di bonifica del Ministero dell’Ambiente si contano 75mila ettari di territorio in cui è accertata la presenza di materiale in cemento amianto.
Tra questi Balangero (To), Casale Monferrato (Al), Broni (Pv), Bari-Fibronit e Biancavilla (Ct), con il suo problema specifico di fibre asbestiformi). Molti dei quali, a partire dal sito di Broni in provincia di Pavia dove sorgevano i vecchi stabilimenti della Fibronit, nonostante la dichiarata urgenza del ambientale e sanitaria, ancora attendono la bonifica.
La mappatura dell’amianto presente sul territorio nazionale è stata completata da dieci Regioni (Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta mentre è in fase di ultimazione nelle province autonome di Bolzano e Trento).
Gli interventi di bonifica, avvenuta o in corso, però sono ancora molto indietro su gran parte del territorio e si stima che ai tassi attuali ci vorranno almeno 85 anni prima di arrivare ad un’azione di risanamento dalla pericolosa fibra.
Da il Secolo XIX- “Ci sono tracce di amianto anche nelle pile strallate del moncone Est del Ponte Morandi e questo concretizza le importanti complicazioni per la demolizione delle due torri – la 10 e la 11 – gemelle di quella crollata il 14 agosto. Perché la presenza di fibre all’interno del calcestruzzo è un ostacolo per la demolizione con esplosivi e perché comunque rende più laborioso anche intervenire meccanicamente, come sta avvenendo sul versante ovest proprio in queste ore. La notizia è finita sul tavolo del commissario in questi giorni ed era in qualche modo attesa dopo il ritrovamento di tracce di crisotilo nelle pile della struttura a Ovest del Polcevera. I quantitativi sono peraltro paragonabili: le fibre sono presenti in poco più del 20% dei campioni prelevati e in concentrazioni molto ridotte”.
L’amianto l’hanno voluto cercare semplicemente perché tutti sanno che nelle ghiaie con cui hanno realizzato i cementi c’è una presenza di rocce serpentinitiche che potrebbero contenere silicati delle famiglie amiantifere (nella famiglia c’è anche il talco) da lì a dire che ci sono fibre c’è ne passa. La roccia di serpentino è una delle più dure in assoluto ( Los Angeles 16). Qualcuno dovrebbe spiegare che differenza ci sarebbe tra l’azione delle pinze degli escavatori (che comunque dovrebbero lavorare per frantumare il cemento del ponte) e l’azione di un collasso con gli esplosivi. Se dicessero la verità non ci sarebbe differenza; forse questo distinguo è stato creato apposta per dire che gli serviva un anno in più per realizzare il ponte.
Oggi giorno in edilizia, la ghiaietta che si utilizza è data dalla frantumazione di rocce monomineraliche dette impropriamente “serpentiniti”. Esse derivano da peridotiti ultrabasiche modificate per effetto di un metamorfismo di bassa temperatura e pressione variabile (da bassa a molto alta). La trasformazione non è solo mineralogica, ma anche chimica. L’amianto (o asbesto) non è un minerale ma un nome commerciale riferito ad un gruppo di minerali costituito da silicati fibrosi. La definizione di amianto deriva dall’Igiene Industriale. Sono noti numerosi minerali con morfologia fibrosa, molti dei quali possono essere presenti in associazione con l’amianto. Le principali rocce che costituiscono i massiccio del Beigua sono le “serpentiniti”, rocce che affiorano abbondantemente sulle sommità dei rilievi attorno a Pratorotondo.
Sono rocce principalmente monomineraliche, costituite da crisotilo (serpentino fascicolare) o antigorite (serpentino fogliare). Il crisotilo è un silicato scistoso che cristallizza in forma aghiforme (visibile ad occhio nudo come fibrosità) ed è più noto sotto il nome di amianto o asbesto. L’antigorite mostra un habitus più follare e compare se la trasformazione è avvenuta alle basse pressioni. La prevalenza dell’uno o dell’altro differenzia le caratteristiche, il colore e la struttura della serpentinite, che da luogo a luogo può apparire anche molto differente. La struttura infatti può essere massiva o intensamente scistosa e, se c’è stata una deformazione intensa, possono comparire piani di scorrimenti di colore verde chiaro e di aspetto brillante. Il minerale di colore nero è magnetite concentrata in aggregati o diffusa in microcristalli, conferisce alla roccia colore verde molto scuro. A volte possono essere presenti relitti degli originari minerali, quali olivina, pirosseno e – raramente – granato ricco in piropo. Talora compare anche la magnetite e l’ilmenite, a volte in cristalli regolari, a volte in masse diffuse. Il D.Lgs. n°81/2008 (“Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”), all’art. 247 (Definizioni) designa col termine amianto i seguenti silicati fibrosi:
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l’actinolite d’amianto;
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la grunerite d’amianto (amosite);
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l’antofillite d’amianto;
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il crisotilo;
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la crocidolite;
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la tremolite d’amianto.
Il silicio è il secondo elemento della crosta terrestre in ordine di abbondanza (26.3 %) dopo l’ossigeno. I silicati costituiscono oltre il 90 % della crosta terrestre e sono costituiti dalla combinazione dell’unità base tetraedrica [SiO4 ]4-. L’amianto di serpentino, o crisotilo, si trova nelle serpentine o serpentiniti, prodotti di trasformazione di rocce ultrafemiche come le peridotiti. Queste rocce rappresentano lembi di crosta oceanica e prendono comunemente il nome di ofioliti o pietre verdi. Il termine deriva dal greco ophis (serpente) e lithos (roccia) in riferimento ai componenti serpentinosi delle serie ofiolitiche che presentano, lungo alcune superfici di frattura, un colore verde perlaceo e una struttura superficiale simile a quella della pelle di alcuni rettili.
Si tratta di una roccia dalla grana estremamente fine costituita dall’intima associazione tra serpentino (di colore verde mela) e magnetite (nera) disposti su livelli (piani di scistosità) molto vicini ed intensamente piegati tra loro. Al tatto si presenta tipicamente liscia ed untuosa. Queste rocce sono spesso utilizzate come materiali inerti e dall’industria dei lapidei agglomerati. Il 90% di questi pietrischetti sono anche utilizzati nei vialetti dei cimiteri o per ricoprire i tumuli terrosi. Le elevate caratteristiche meccaniche delle serpentiniti le rendono inoltre particolarmente idonee alla produzione di granulati per massicciate stradali e ferroviarie (ballast). Le serpentiniti brecciate e ricementate da carbonato (oficalciti), se dotate di compattezza (assenza di fratture e microfratture) e di lucidabilità sono utilizzate come pietre ornamentali (“marmi verdi”).
I minerali primari di queste rocce, costituite essenzialmente da olivina (un nesosilicato) e pirosseno (un inosilicato), si sono successivamente trasformati in minerali secondari appartenenti al gruppo del serpentino (fillosilicati o silicati a foglia) a seguito di un tipico processo metamorfico detto processo di serpentinizzazione. Le peridotiti così trasformate prendono il nome di serpentine se tali trasformazioni hanno interessato tutta o gran parte della roccia. L’olivina (Mg,Fe2+)2SiO4, detta anche peridoto, è costituita da soluzioni solide tra Mg2[SiO4] (forsterite) e Fe2[SiO4] (fayalite). Il processo di serpentinizzazione, che produce lizardite, antigorite o crisotilo dall’olivina d’origine, è rappresentato schematicamente dalle reazioni seguenti: Il crisotilo veniva estratto dai giacimenti piemontesi nella miniera a cielo aperto di Balangero (all’imbocco delle Valli di Lanzo, a Nord-Ovest di Torino).
Nell’arco alpino occidentale le mineralizzazioni ad amianto in serpentiniti sono particolarmente diffuse però solo in alcuni casi esse sono presenti in quantità e tenori tali da avere importanza economica. La maggior parte dei minerali fibrosi presenti nel territorio valdostano è legata alle serpentiniti ofiolitiche della Zona Piemontese che si estende dall’Ossola alla Liguria Occidentale. Le serpentiniti sono concentrate in tre aree principali corrispondenti alla media Valle d’Aosta (massiccio del Monte Avic), alle Valli di Lanzo, alla Val di Susa e al Gruppo di Voltri (tra Genova e Savona), anche se esistono altri massicci ofiolitici. Le pietre verdi presenti nelle catene montuose sono presenti anche nelle pianure alluvionali originatesi per disgregazione delle montagne stesse nel corso delle ere geologiche. Nelle serpentiniti è generalizzata la presenza di amianto crisotilo e tremolite, anche se il tenore in fibre può essere molto variabile, dal 100 % in corrispondenza della vena di amianto pura, allo 0% della roccia incassante che sta a fianco. In funzione dell’orientazione delle fibre di crisotilo rispetto alla vena se ne possono distinguere due tipi :
● crisotilo tipo “cross”: le fibre di crisotilo sono perpendicolari alle pareti della vena, si hanno in genere fibre corte;
● crisotilo tipo “slip”: le fibre di crisotilo sono parallele alle pareti della vena, si possono avere fibre anche molto lunghe (alcuni decimetri).
La Zona Piemontese con calcescisti e pietre verdi, rappresentata in verde e nero, affiora nella parte centrale della Valle d’Aosta. Le litologie presenti sono i calcescisti, rocce derivanti dal metamorfismo dei sedimenti di composizione terrigena-carbonatica dell’antico oceano Ligure-Piemontese, e da “pietre verdi” costituite in particolare da serpentiniti, prasiniti, metagabbri ed anfiboliti (rocce ultrabasiche e basiche). Dalla carta geologica si può notare che la distribuzione degli affioramenti di rocce serpentinitiche, rappresentati con il colore nero, non è omogenea. Esse sono maggiormente concentrate in corrispondenza del Mont Avic, della Valtournenche, della Val d’Ayas, della Valle di Champorcher e dell’alta Valle di Gressoney. Sono presenti anche altri affioramenti limitati nell’alta Valle di Cogne e nel Vallone di Ollomont. Anche nell’alta Val di La Thuile affiorano lembi di ofioliti.
Minerali e Rocce: benché si conoscano alcune migliaia di minerali diversi, i minerali essenziali delle rocce sono appena alcune decine. Le diverse classificazioni proposte seguono il criterio chimico, fisico, genetico, strutturale, cristallochimico. Si esamina ora il criterio cristallochimico (l’elenco comprende solo i minerali che più frequentemente sono presenti nelle rocce):
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ELEMENTI: rame (Cu), argento (Ag), oro (Au)
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SOLFURI: pirite (FeS2)
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ALOIDI: salgemma (NaCl)
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OSSIDI: quarzo (SiO2), ematite (Fe2O3)
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CARBONATI: calcite (CaCO3), dolomite (CaMg(CO3)2)
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SOLFATI: gesso (CaSO4 2 H2O)
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FOSFATI, ARSENIATI, VANADIATI: apatite
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SILICATI: sono costituiti da silicio, ossigeno e metalli e sono caratterizzati dalla presenza di tetraedri (“piramidi” a base triangolare con quattro facce eguali tra loro) corrispondenti al gruppo (SiO4)4 – . La classificazione si effettua su base strutturale in funzione del numero e della disposizione dei tetraedri (Tab. appresso).
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SOSTANZE ORGANICHE: ambra
Tabella – Minerali silicatici suddivisi su base dei “collegamenti” tetraedrici
08.01.00
Nesosilicati: tetraedri isolati uniti solo da cationi: olivina , granati, zircone, topazio
08.02.00
Sorosilicati: due tetraedri accoppiati: epidoti, vesuvianite
08.03.00
Ciclosilicati: anelli costituiti da 3, 4, 6 tetraedri: Tormalina, berillo (smeraldo, acquamarina)
08.04.00
Inosilicati: tetraedri disposti a catena: anfiboli (silicati calcio-ferro-magnesiaci a catena doppia) e pirosseni (silicati ferro-magnesiaci a catena semplice)
08.05.00
Fillosilicati: anelli di tetraedri in strati ripetuti: mica muscovite (silicato di alluminio e potassio) e biotite (silicato di ferro e magnesio); serpentino (silicato di magnesio); minerali argillosi (silicoalluminati)
08.06.00
Tectosilicati: tetraedri disposti in reticolo tridimensionale: feldspatoidi (allumosilicati di metalli alcalini); leucite, nefelina; feldspati (allumosilicati di potassio, sodio e calcio): ortose e plagioclasio (albite, oligoclasio, andesina, labradorite, bytownite, anortite)
09,00,00
Sostanze organiche: ambra Le rocce magmatiche sono costituite essenzialmente da silicati tra cui i più comuni sono i seguenti
Le rocce magmatiche sono costituite essenzialmente da silicati tra cui i più comuni sono i seguenti:
1 – la silice (SiO2), prevalentemente nella modificazione cristallina chiamata quarzo, è il minerale più diffuso sulla crosta terrestre ed è presente, in quantità molto variabili, in quasi tutte le rocce;
2 – i feldspati (tectosilicati), dopo la silice, sono i minerali più diffusi sulla crosta terrestre; tra questi i tre più comuni sono: ortoclasio (KAlSi3O8), albite (NaAlSi3O8) e anortite (CaAl2Si2O8). Sono presenti in un gran numero di rocce, puri o in soluzione solida tra loro, dando la serie dei feldspati alcalini (ortoclasio + albite) e quella dei plagioclasi (albite + anortite);
3 – i feldspatoidi costituiscono un gruppo di allumo-silicati di sodio e potassio, con composizione chimica simile a quella dei feldspati ma, a differenza di questi, si trovano in rocce eruttive prive di quarzo e quindi fortemente basiche I termini puri più comuni sono la sodalite (Na8Al6Si6O24Cl2), la nefelina (NaAlSiO4) leucite (KAlSi2O6);
4 – gli anfiboli costituiscono un gruppo di silicati idrati (inosilicati a catena doppia) con composizione chimica molto complessa. Sono presenti in molte rocce e tra i più comuni ricordiamo la tremolite (Ca2Mg5Si8O22(OH)2), l’actinolite (Ca2(Mg,Fe)5Si8O22(OH)2) e l’orneblenda (Ca,Na,K)2(Mg,Fe,Al)5(Si,Al) 8O22(OH)2;
5 – i pirosseni, comuni in molte rocce, hanno formula generale XYZ2O6 dove: X rappresenta Na+ , Ca2+, Mn2+, Fe2+, Mg2+ e Li+ ; Y rappresenta Mn2+, Fe2+, Mg2+, Fe3+, Al3+, Cr3+ e Ti4+; Z rappresenta Si4+ e Al3+ nei siti tetraedrici delle catene. I pirosseni più comuni possono essere rappresentati dal sistema ternario enstatite (MgSiO3), ferrosilite (FeSiO3) e wollastonite (CaSiO3). Enstatite e ferrosilite costituiscono gli ortopirosseni (Ca < 10) mentre diopside, hedenbergite e augite i clinopirosseni. Si possono riunire in un gruppo a parte i pirosseni sodici (egirina e giadeite) e i pirosseni litici (spodumene). Sia gli elementi della serie enstatite-ferrosilite che quelli della serie diopside-hedenbergite possono essere rappresentati secondo le percentuali in moli dei termini puri;
6 – le miche sono fillosilicati caratterizzati da una struttura cristallina lamellare. Tra le più comuni ricordiamo la muscovite (KAl3Si3O10(OH)2; in cristalli lamellari di colore argenteo), la biotite (K(Mg,Fe)3(Al,Fe)Si3O10(OH,F)2 comune nei graniti e nei porfidi in cristalli neri che possono alterarsi formando lamelle di colore bruno-oro comunissime nelle sabbie) e la flogopite KMg3(Si3Al)O10(F,OH)2;
7 – i minerali del gruppo dell’olivina (nesosilicati con formula generale (Mg,Fe)2SiO4), costituiti essenzialmente da soluzioni solide di Fe2SiO4 (fayalite) e di Mg2SiO4 (forsterite). Da questi minerali derivano, attraverso processi metamorfici, i minerali del gruppo del serpentino.
Le rocce sedimentarie possono contenere quasi tutti i minerali precedenti, derivati da semplice alterazione fisica (sabbie, ghiaie, etc.) oltre a quelli derivati da alterazione chimica come la calcite (CaCO3), la dolomite [(Ca,Mg)CO3], il gesso (CaSO4·2H2O) o le argille (fillosilicati microcristallini poco coerenti).
Le rocce metamorfiche sono costituite da tutti i minerali precedenti con l’aggiunta di altri minerali caratteristici come granati e serpentini. I granati costituiscono un gruppo di soluzioni solide di silicati (nesosilicati) i cui componenti puri possono essere rappresentati dalla formula X3Y2Si3O12, dove X può essere Ca, Mg, Mn o Fe2+, mentre Y può essere Al, Fe3+ o Cr: Oltre che dalla caratteristica struttura granulare, sono caratterizzati da una notevole durezza, leggermente superiore a quella del quarzo. I minerali del gruppo del serpentino, estremamente comuni nelle sequenze ofiolitiche delle Alpi e dell’Appennino Settentrionale, comprendono essenzialmente tre silicati idrati di magnesio: il crisotilo (fibroso), la lizardite e l’antigorite (lamellari), tutti con la stessa composizione chimica Mg6(OH)8Si4O10. Dall’Associazione Familiari Vittime Amianto, Piazza Castello 31 – Casale Monferrato, leggiamo la “STORIA DELL’AMIANTO E NASCITA DELL’ETERNIT ” ed ne apprendiamo gli effetti devastanti, in vite umane, che ne sono derivati.
Una svolta decisiva per le fortune dell’amianto si realizzò negli ultimi decenni del ‘800 e nei primi decenni del ‘900. Un primato alla diffusione dell’amianto spetta anche all’Italia quando nella seconda metà del ‘800, una gentildonna lombarda, tale Candida Medina Coeli Ferganzi di Gordona Val Chiavenna, si adoperò per valorizzare le cave della Val Malenco (So) di sua proprietà. L’Italia presentò alcuni campioni del minerale all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878. Il mercato mondiale per circa dieci anni fu mantenuto dagli Italiani fino a quando, sul finire del secolo, non vennero scoperti giacimenti più ampi di quelli italiani e ricchi di materiale più pregiato in: Canada, Rhodesia (attuali Zambia e Zimbabwe), Australia e Russia. I giacimenti principali in Italia, oltre alla Val Malenco, si trovano associati alle formazioni alpine della Valle d’Aosta e del Piemonte (Valle di Lana, Val di Susa, Val di Lanzo). Un’esigenza che ha portato alla diffusione dell’amianto è stata sicuramente quella di sostituire o ricoprire i materiali infiammabili. L’eccezionale resistenza al calore della fibra ne favorì una massiccia diffusione.
◙ Nel 1901, l’austriaco Ludwig Hatschek ottiene il brevetto per l’uso del composto cemento-carta-amianto e battezza la sua invenzione “ETERNIT” dal latino “aeternitas” (= eternità).
◙ Nel 1902 il commerciante Alois Steinmann acquista la licenza per la produzione e apre nel 1903, a Niederurnen, la SCHWEIZERISCHE ETERNITWERKE AG.
◙ Nel 1907 nasce lo stabilimento ETERNIT di Casale Monferrato (Al, Piemonte, Italy): 94000 metri quadrati di estensione, di cui 50000 coperti, fondato dall’ingegnere italiano Adolfo Mazza (tra l’altro fu proprio l’ingegnere italiano a costruire nel 1912, la prima macchina per la produzione di tubi a pressione in cemento-amianto).
L’ETERNIT di Casale M.to rappresentò il più grande stabilimento di manufatti in cemento-amianto d’Europa. Dal 1907 al 1986 le persone circa 5000; negli anni ’50 occupava circa 1000 persone, salite a circa 2000 nel ’65 e stabilizzate intorno a 1000 sino agli anni ’80; negli anni successivi il numero di addetti diminuì progressivamente fino alla chiusura dello stabilimento di Casale M.to avvenuta nel giugno 1986.
In questi ottant’anni, l’ETERNIT divenne popolarissima, nel 1915 vengono messe in commercio le famose fioriere, nel 1933 fanno la loro comparsa le lastre ondulate, in seguito usate spesso per tetti e capannoni; sino alla fine degli anni ’70 i tubi in fibrocemento rappresenteranno lo standard nella costruzione di acquedotti. Venne impiegato in scuole, ospedali, palestre, cinema oltre che in tutti i settori industriali. Nella seconda metà degli anni ’50 proprio in seguito ad un incendio di carrozze ferroviarie, allora isolate con sughero, anche in Italia si impose l’esigenza di coibentare tutte le carrozze ferroviarie con amianto, l’uso si diffuse quasi contemporaneamente anche nella coibentazione delle navi.
◙ È emblematico quanto si è sviluppato a Casale M.to.
◙ Indagini epidemiologiche e studi di coorte sia sui lavoratori che sui cittadini.
◙ Contenzioso medico-legale portato avanti dall’INCA-CGIL di Casale M.to, d’avanguardia nella quantità, nella qualità e nei risultati (circa 2000 malattie professionali riconosciute negli ultimi trent’anni).
◙ 1981, ebbe inizio un’importante causa civile contro l’ETERNIT e l’INAIL; si accertò, nei tre gradi di giudizio, che sussisteva la morbigeneita ambientale e pertanto sussistevano ancora condizioni di rischio d’interno di tutto lo stabilimento.
◙ 1987, il sindaco di Casale M.to ha emanato un’ordinanza di divieto di utilizzo dell’amianto nel proprio territorio (prima ordinanza in Italia), unendosi al nostro NO alla riapertura dello stabilimento ETERNIT appena fallito.
◙ Dal 1984 al 1992, sono state prodotte numerose iniziative:
◙ dal convegno del 1984 promosso dall’INCA su “Polveri e broncoirritanti a Casale ed in Piemonte” a quello, imponente per adesioni ed importanza, “NO Amianto” del 1989 concluso da Fausto Vigevani, che fecero da preludio ad una stagione di iniziative e manifestazioni pubbliche locali e nazionali al fine di avere una legge di messa al bando dell’amianto, con relativa copertura previdenziale per i lavoratori delle aziende dismesse; Luciano Lama, allora vice Presidente del Senato, venne a Casale e appoggiò la battaglia parlamentare. Nacque nel Marzo del 1992 la legge 257 (Messa al bando dell’amianto).
◙ 1993, processo penale ai dirigenti ETERNIT.
◙ 1996, piano di bonifica territoriale in atto e primo in Italia e non solo, per la deamiantizzazione, anche dei siti privati.
◙ 2005, abbattimento e sarcofagazione dello stabilimento ETERNIT di Casale M.to (il più grande d’Europa).
Nonostante l’amianto sia stato bandito in Italia da oltre venti anni le vittime sono destinate a crescere in quanto le malattie legate alla fibra killer possono insorgere anche dopo un periodo di latenza che dura dai 20 ai 30 anni circa, ma anche oltre. L’OMS stima che il picco dei decessi sarà tra il 2015 ed il 2020 in tutto il mondo: 7 decessi ogni 1000 abitanti, una tragedia che potrebbe interessare 10 milioni di persone nei prossimi 20 anni. In Italia la fibra killer uccide circa quattromila persone ogni anno, 1.200 per mesotelioma. I dati relativi ai casi di mesotelioma maligno vengono raccolti dall’Inail e diffusi attraverso il Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNaM).
Alesben B.
Bibliografia
Legambiente – “Liberi dall’Amianto” I Piani regionali, le bonifiche e l’impatto sulla salute
L’Amiantifera di Balangero
Elementi Di Petrografia Applicata Di Piero Comin-Chiaramonti & Maurizio Mazzucchelli
Storia dell’amianto e Nascita Dell’eternit. Associazione Familiari Vittime Amianto, Piazza Castello 31 – Casale Monferrato
MINERALI E ROCCE corsi di Mineralogia e Petrografia (Artini, 1963, 1964; Pieri, 1966; Mottana et al., 1997; Bugini & Folli, 2008)