Giornali radio, telegiornali, reportages, ormai tutti lamentano crisi di acqua sia ad uso alimentare [da bere] che ad uso agricolo. L’acqua, anche se poca, c’è, solo che viene sprecata. Il vicino di casa, pensionato, che ha una pergola di glicine sul lato della casa dove è presente la porta di ingresso, tornando a casa dal mare, non sopportando le foglie cadute, invece di servirsi di una normale scopa che gli permetterebbe di spostarle nell’attiguo prato [distante meno di cinquanta centimetri], si serve della canna dell’acqua per togliere dal suo lastricato solare, ad una ad una le foglie cadute; se poi è una giornata di vento, l’operazione è continua.
C’è anche chi rinnova giornalmente l’acqua della piscina, chi lava l’auto a tutte le ore, chi ha pensato bene di mettere in esercizio un impianto di doccia nella corte o sul lastricato solare pavimentato, chi ect…e data l’ordinanza comunale di non sprecare m3 d’acqua, orti, giardini e piante da frutto rimangono all’asciutto e seccano.
Nei ristoranti, taverne, tavole calde, pizzerie, ogni esercizio dove c’è la possibilità di ristorazione, i clienti oltre al vino, ordinano la bottiglia di minerale che a fine pasto, il più delle volte rimane a metà. Se il posto di ristoro è in un centro abitato, la mezza bottiglia finisce nel lavandino, se è in campagna, invece, serve ai vasi da fiore [almeno non viene sprecata].
Il nostro paese, come tutti i paesi che si affacciano sul mare nostrum è bagnato dal mediterraneo, per di più in abbondanza; pertanto c’è da chiederci come sfruttare tale “manna”.
La ditta spagnola Abengoa ha annunciato di aver firmato un accordo con un’agenzia governativa marocchina per andare avanti con la prima fase di un progetto per costruire il più grande impianto di dissalazione dell’acqua marina a energia rinnovabile a livello mondiale. Abengoa intraprenderà la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la manutenzione dell’impianto per 27 anni.
Il progetto produrrà 275.000 metri cubi di acqua marina desalinizzata ogni giorno, per fornire 150.000 m3 di acqua potabile e 125.000 m3 per l’irrigazione di 13.600 ettari di terreno agricolo vicino a Agadir, una città costiera nel Marocco occidentale. Il contratto prevede una possibile espansione di capacità futura fino a 450.000 metri cubi al giorno. Secondo il governo marocchino, l’elettricità per alimentare l’impianto entrerà dai nuovi fili ad alta tensione progettati dalla centrale di energia solare Noor Ouarzazate, a quasi 400 chilometri a est di Agadir. Al momento, meno dell’1 per cento della popolazione mondiale dipende dall’acqua marina desalinizzata. Ci sono circa 21.000 grandi impianti di dissalazione in esercizio; la maggior parte sono in Medio Oriente.
Mentre l’impianto di Agadir capterà l’acqua di mare dall’oceano e la trasformerà in acqua dolce, “solo la metà degli impianti di dissalazione al mondo lo fa”. Il resto prende l’acqua da altre fonti impure, come l’acqua salmastra o l’acqua di fiume inquinata “. In teoria, il potenziale per aumentare le forniture globali di acqua dolce utilizzando tecnologie di dissalazione è enorme. Circa il 97,5 per cento dei 1.385 milioni di chilometri cubici di acqua su terra è acqua marina salata. Il restante 2,5 per cento è l’acqua dolce, ma circa il 90 per cento di quell’acqua dolce è bloccato nei ghiacciai dell’Antartide, Groenlandia o altri ghiacciai. L’uso totale annuale di acqua dell’umanità è, a sua volta, una piccola frazione del resto.
Tenuto conto di questi numeri, i piani di dissalazione che si progettano basandosi sull’acqua di mare, possono trasformare i deserti del mondo e le secche semiaride in prosperose piantagioni verdi? La risposta corta è: in teoria sì, ma in pratica, non facilmente, perché “ci vuole molta energia e attrezzature per fare dell’acqua dolce dall’acqua di mare”, ha detto Klemens Schwarzer, uno scienziato dell’Istituto Solare Jülich nella Germania occidentale, a 60 chilometri a ovest di Colonia. “Questo significa che è costoso“.
Il costo della desalinizzazione deve essere sempre confrontato con il costo della tubazione o del trasporto dell’acqua dolce da dove si ottiene senza bisogno di desalinizzazione, cioè da laghi, fiumi o acquiferi d’acqua dolce Esista una varietà sconvolgente di apparecchiature di desalinizzazione, ma sono solo due i tipi principali di trasformazione dell’acqua salata in acqua fresca e bevibile: la desalinizzazione termica e la desalinizzazione “osmosi inversa” (RO). Entrambi sono ad alta intensità energetica.
La desalinizzazione termica funziona causando l’evaporazione dell’acqua, lasciando dietro il sale e altre impurità. RO lavora usando un processo di filtrazione a più fasi che culmina nell’uso di pompe ad alta pressione per forzare l’acqua salata attraverso una membrana la cui maglia è così stretta che solo le molecole d’acqua possano passare, ma sale e altre impurità non possono. L’impianto di Abengoa di Agadir utilizzerà RO. In media, ogni essere umano utilizza direttamente o indirettamente 3,8 metri cubi d’acqua ogni giorno, quando viene tenuto conto di tutto, dal lavaggio, dal bere, attraverso l’agricoltura e l’uso dell’acqua industriale. Ciò significa che l’impianto Agnadro di Abengoa, una volta completato, produrrà abbastanza per coprire le esigenze di circa 72.500 cittadini globali. Dal momento che ci sono circa 7,5 miliardi di persone nel mondo, un calcolo dimostra che ci vorrebbero circa 104.000 impianti di dimensione uguali quella costruita ad Agadir, per fornire acqua dolce per tutti sulla Terra.
Nel nostro paese sono presenti impianti di dissalazione nelle isole maggiori e in alcune piccole isole (Giglio, Lampedusa, Eolie) con una produzione di acqua dissalata, secondo i dati ISTAT rielaborati da Watec Italy 2017, pari allo 0,1% del prelievo complessivo di acqua dolce del Paese (13,6 mil. di m3 su un totale annuo stimato di 9.100). Nel dettaglio, la dissalazione per uso potabile avviene solo in due distretti idrografici: quello siciliano, dove viene dissalata acqua per 12,6 mil. di m3 (il 92,5% del totale) e quello dell’Appennino Settentrionale (il restante 7,5%, diviso tra Toscana con 768 milioni di m3 e Liguria con 251 milioni di m3 di acqua dissalata).
La dissalazione riguarda anche l’industria: incrociando i dati della “produzione” di acqua con quelli della domanda, ci si accorge della forte richiesta di “oro blu” da impiegare nel settore industriale. E’ il caso di Veneto, Emilia Romagna e la Campania, territori in cui vi sono tutte le condizioni favorevoli per sviluppare la produzione di acqua dissalata, alleggerendo la pressione sulle fonti tradizionali. (ANSA).
In Italia, benché le ultime realizzazioni facciano riferimento ad impianti basati sull’osmosi inversa, sono storicamente presenti impianti al servizio di grandi poli industriali che usano il processo di distillazione. Fra questi, si ricorda quello di Gela, che – avviato negli anni Sessanta all’interno del polo industriale dell’ENI – ancora oggi fornisce acqua dissalata alla città per uso civile.
La dissalazione attualmente utilizzata sia per il minore consumo di energia sia per la maggiore flessibilità operativa, si basa invece sull’osmosi inversa (Reverse Osmosis) per la quale l’acqua viene fatta filtrare, con pressioni maggiori della pressione osmotica, attraverso delle membrane semipermeabili capaci di far passare solamente l’acqua priva di sali. Malgrado le grandi potenzialità, occorre tener presente come i costi di produzione di acqua dissalata siano, ancora oggi, di gran lunga più elevati di quelli connessi al prelievo da fonte tradizionale, anche se appaiono in leggera diminuzione; tuttavia, benché le tecnologie abbiano prestazioni in continuo miglioramento, la desalinizzazione resta il processo di trattamento delle acque più energivoro, quantificato in un consumo a livello globale di circa 75,2 TWh/anno, lo 0,4% della produzione elettrica mondiale (UN Water Report, 2014).
Oltre agli aspetti energetici, produrre acqua dissalata origina alcune problematiche di carattere ambientale, principalmente connesse allo smaltimento delle salamoie, le soluzione acquose che residuano dal processo di dissalazione, caratterizzate da una salinità superiore a quella dell’acqua marina. Nella maggior parte dei casi, infatti, il modo più semplice per sbarazzarsene è lo scarico a mare, ma a causa dell’elevata concentrazione di sali contenuti (che può variare dai 50 ai 75 g/l), esse tendono a fluire verso il fondo con possibili impatti negativi sulla flora e sulla fauna, effetti che sono tanto più evidenti se si opera in ambienti marini caratterizzati da scarsa circolazione.
Autorità di distretto dell’Appennino Settentrionale – Piano di Gestione delle Acque Relazione PoM 2018 distretto Appennino Settentrionale ed ex distretto fiume Serchio [vedi documento (PDF) Relazione Pom 2018 – autorità di bacino distrettuale dell’appennino
Nel corso del 2018 è stata attivata la fase di reperimento delle informazioni per l’aggiornamento dei dati relativi allo stato di attuazione dei PoM. In accordo con le indicazioni ricevute dagli uffici della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, per il tramite della Direzione Generale per la Salvaguardia del Territorio e delle Acque del MATTM (rif. nota MATTM DGSTA n. 15430 del 26.07.2018, ns. prot.5617 del 26.07.2018), tale attività è stata svolta secondo le delimitazioni territoriali previste al momento dell’approvazione dei PdG, ovvero precedenti alla revisione normativa intervenuta con la riforma distrettuale di cui alla legge n. 221/2015.
Pertanto, l’attività di reporting 2018 relativa al PdG dell’Appennino Settentrionale 2016 (ITC), operativo fino al 2021, riguarda il territorio distrettuale disegnato dall’originario art. 64 del d. lgs. 152/2006 e comprende i bacini idrografici afferenti alle regioni Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Lazio. Si precisa che il territorio distrettuale non è stato suddiviso in sub unit, quindi le informazioni sono riferite alla scala distrettuale. In considerazione che tali informazioni dovranno poi essere trasferite ai distretti come novellati, le modalità di raccolta delle necessarie informazioni sono state concordate anche alla scala interdistrettuale. La compilazione del report sull’attuazione del programma di misure passa quindi attraverso il reperimento delle necessarie informazioni per le seguenti regioni:
Regione |
Superficie che ricade nel Distretto[kmq] |
Percentuale della superficie totale |
Numero di corpi idrici [superficiali e sotterranei] |
Percentuali dei corpi idrici |
Toscana |
20059 |
53.00% |
845 |
51.10% |
Emilia-Romagna |
8490 |
22.00% |
434 |
26.20% |
Marche |
4953 |
13.00% |
140 |
8.50% |
Liguria |
3812 |
10.00% |
222 |
13.40% |
Umbria |
410 |
1.00% |
2 |
1.21% |
Lazio |
402 |
1.00% |
11 |
0.70% |
Tab. 1 – Caratteristiche amministrative del distretto dell’Appennino Settentrionale ex d. lgs. 152/2006
L’attività di ricognizione sullo stato di attuazione delle misure e dei costi sostenuti è tuttora in corso. In particolare le regioni Liguria, Emilia Romagna e Marche hanno provveduto ad inviare le informazioni richieste relative alle misure attuate nei bacini idrografici ad esse afferenti, mentre per la Regione Toscana l’aggiornamento del quadro conoscitivo, ancorchè in corso, non è ancora completato anche se molte informazioni sono già disponibili (ad es. le misure afferenti al servizio idrico integrato, derivanti dai Piani di ambito e quelle dei Consorzi di bonifica, misure win-win..). Si ritiene, comunque, di poter produrre quanto necessario ai fini del reporting in tempi compatibili con i termini previsti dalla direttiva. Si evidenzia inoltre che l’attività svolta ha portato ad effettuare alcune modifiche ai dati delle misure PdG 2016, ritenute non sostanziali (es: nome intervento, accorpamento, suddivisione in più interventi/lotti, integrazione di dati mancanti ma anche migliore definizione dei costi – totali e parziali). Si precisa che analoga attività di aggiornamento è stata prodotta da questa Autorità relativamente al PoM del Piano di Gestione del bacino del fiume Serchio (ITD), inglobato con la riforma distrettuale nel distretto idrografico dell’Appennino Settentrionale. Il bacino del Serchio (compreso quello del lago di Massaciuccoli) ha una superficie di poco inferiore a 1.600 Kmq, totalmente ricompreso all’interno della Regione Toscana. Regione Superficie che ricade nel Distretto [kmq].
L’impianto di desalinazione più grande al mondo (Sorek) si trova a sud di Tel Aviv in Israele, funziona per osmosi inversa essendo in grado di trattare circa 624.000 metri cubi di acqua di mare al giorno, sufficiente per garantire l’approvvigionamento idrico a una popolazione di 1,5 milioni di persone. L’acqua lì prodotta dai processi di dissalazione è la più economica nel mondo: 58 centesimi di dollaro per metro cubo, cioè 50 centesimi di euro al metro cubo, che significano secondo le stime, dai 300 ai 500 dollari all’anno per nucleo familiare. La tecnologia si basa sulla cosiddetta Osmosi Inversa (RO), una tecnica che prevede che l’acqua venga pressata verso una membrana polimerica “cuore dell’impianto” che trattiene l’apporto salino. Purtroppo i microrganismi marini colonizzano rapidamente le membrane e bloccano i pori; per questo motivo l’acqua marina viene sottoposta a numerosi trattamenti, alcuni con particolari sostanze chimiche, difficili, poi, da eliminare. Nell’impianto do Sorek l’uso di sostanze chimiche è stato drasticamente ridotto grazie all’impiego di pietra lavica porosa che cattura i microrganismi prima che questi raggiungano la membrana. A questa innovazione se ne aggiungono molte altre che hanno reso la dissalazione molto più efficiente, con Israele che attualmente ricava il 55 percento della sua acqua domestica da dissalazione.
La dissalazione, che oggi fornisce soltanto lo 0,1% dell’acqua potabile nel nostro Paese; dovrebbe portare a regime 80 euro annui pro capite gli investimenti sulla rete idrica, ora fermi a quota 32 euro.
Diffusione degli impianti di dissalazione La messa in sicurezza dal punto di vista dell’approvvigionamento idropotabile di aree caratterizzate da scarsità idrica cronica può richiedere il ricorso ad altre fonti quali acqua marine o salmastre, previo trattamento di dissalazione. Del resto, mari e oceani rappresentano la riserva principale di acqua presente sul globo (il 97%) aspetto questo ben noto anche a scienziati e tecnici sin dall’antichità soprattutto per quanto attiene le esigenze connesse alla navigazione []. Si può affermare tuttavia che il suo utilizzo diffuso per fornire acqua dolce per i normali acquedotti ha mostrato un’evoluzione significativa solo negli ultimi anni, grazie a nuovi processi tecnologici (soprattutto il ricorso all’osmosi inversa) accompagnati da una significativa riduzione dei costi complessivi di realizzazione e gestione. La dissalazione, attualmente, rappresenta un’importante fonte idrica alternativa per la produzione di acqua potabile; la capacità installata, a livello mondiale, ha già superato i 100 milioni mc/giorno, interessando principalmente i Paesi Arabi, l’Australia, la costa orientale degli Stati Uniti e alcuni Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Tecnologie utilizzate Le tecnologie utilizzate possono riassumersi in tre categorie: MSF (multi-stage flash), MED (multi effectdistillation) e RO (reverse osmosis). Quest’ultima caratterizza la gran parte delle più recenti installazioni, per il minore consumo di energia per unità di acqua dissalata. Va anche sottolineato che gli impianti ad osmosi inversa presentano maggiore flessibilità operativa, consentendo di coprire un’ampia gamma di potenzialità semplicemente con l’aggiunta di moduli base, senza penalizzazioni di rendimento.
La F2 evidenzia anche che sistemi di dissalazione di questo tipo sono presenti nel nostro Paese soprattutto nelle isole maggiori (Sicilia e Sardegna) e in alcune piccole isole (Giglio, Lampedusa, Eolie). Questi impianti rappresentano la fonte principale – se non esclusiva – di approvvigionamento idrico, che ha consentito di sostituire i precedenti sistemi di alimentazione costosi e non sempre affidabili, quali bettoline o navi cisterna. Al momento, vi sono diverse realizzazioni corso e fanno tutte riferimento all’osmosi inversa, a differenza dei precedenti sistemi che facevano per lo più ricorso a processi di distillazione ed erano destinati soprattutto a servire poli industriali. Fra questi, si ricorda l’impianto di Gela abbinato al polo petrolchimico ENI, che – avviato negli anni ’60 – fornisce acqua dissalata anche per uso civile. I consumi energetici sono sensibilmente più alti dei processi convenzionali di produzione di acqua potabile [] ed hanno rappresentato da sempre un fattore limitante nella diffusione della dissalazione, al punto che le installazioni più rilevanti sono spesso affiancate a poli industriali o a centrali termoelettriche. Va tuttavia rilevato che le prospettive offerte dalla ricerca tecnologica nella riduzione dei costi di produzione delle membrane osmotiche e nel miglioramento delle loro performance fanno prevedere una forte crescita in questo campo di queste tecnologie. Relativamente ai consumi energetici va osservato che, oltre al progressivo miglioramento delle membrane per osmosi inversa che consente una sensibile riduzione dell’incidenza di Kwh per metro cubo di acqua prodotta, si nota una crescente tendenza a sostituire/integrare l’energia elettrica di alimentazione degli impianti con quella prodotta in loco da fonti rinnovabili, come il solare e l’eolico.
Pianificazione del servizio idrico e dissalazione Occorre tenere presente, inoltre, che – a fronte dei costi di produzione superiori (al momento) rispetto ad altri sistemi – l’acqua al m3 costa 15 volte l’acqua attinta dai pozzi, anche se è enorme la disponibilità della risorsa (acqua di mare o meglio ancora salmastra) consente di garantire la fornitura di acqua potabile anche in condizioni climatiche sfavorevoli, sia sul breve che sul lungo periodo.
L’esempio di Barcellona – il cui livello di piovosità risulta analogo a quello di alcune aree del nostro Mezzogiorno – va tuttavia considerato nella sua completezza: la dissalazione risulta infatti sostenibile sul piano economico-gestionale solo in presenza di particolari condizioni. Innanzitutto, l’acqua dissalata deve essere veramente integrata con le altre risorse presenti, fare riferimento ad una conduzione tecnica di elevato livello ed impiegare una rete idrica caratterizzata da dispersioni contenute, considerato che i costi variabili di produzione di acqua dissalata sono superiori a quelli di acqua proveniente da fonti convenzionali. Si tratta di condizioni al momento non frequenti in Italia, anche se per la recrudescenza di condizioni siccitose evidenziatasi negli ultimi anni potrebbe rappresentare una soluzione integrativa strutturale per diverse aree del Paese e non solo per quelle piccole isole non altrimenti servibili. Aspetti normativi La messa in opera di un impianto di dissalazione richiede comunque un adeguato studio dal punto di vista ambientale e geomorfologico, anche per il migliore dimensionamento delle opere di prelievo dell’acqua e, soprattutto di quelle destinate alla restituzione delle soluzioni saline concentrate dovute trattamento. In proposito, occorre evitare l’immissione di tale acque in bacini che presentano scarsa comunicazione con il mare aperto. Va infine ricordato che sulla diffusione o meno della dissalazione in Italia possono anche incidere norme specifiche riguardanti quelle realtà che, almeno in teoria, più ne avrebbero necessità, ovvero le isole minori.
Territorio bacini liguri regionali afferenti all’Autorità di Bacino regionale. In relazione al quadro normativo di riferimento, a scala europea e a scala nazionale, nonché ai contenuti del Piano stesso, si richiama innanzitutto l’introduzione generale al PGRA del Distretto, nell’ambito del quale si inserisce l’attività svolta per i i bacini liguri. In effetti, il d. lgs. 49/2010, recepimento italiano della direttiva 2007/60/CE, individua, le Autorità di Bacino distrettuali, come definite dalla parte terza del d. lgs. 152/2006, recante “Norme in materia ambientale”, come Autorità competenti a redigere il piano di gestione del rischio di alluvioni e le Regioni come Autorità competenti per gli aspetti di protezione civile di cui sono già titolari ai sensi della normativa di settore. Va ricordato a questo proposito che il d.lgs. 152/2006 ha previsto la soppressione delle Autorità di Bacino ex lege 183/1989, demandando le loro funzioni ad 8 Autorità di bacino distrettuali, istituite come nuovi enti dallo stesso D. Lgs., previa emanazione di apposito decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei Ministri che disciplinasse il trasferimento di funzioni e regolamentasse il periodo transitorio. Il D.P.C.M. attuativo di cui sopra, peraltro, non risulta a tutt’oggi emanato e pertanto non sono state costituite le Autorità di Bacino distrettuali, mentre le Autorità di Bacino ex l. 183/89 continuano ad essere operanti in una sorta di regime di proroga, ai sensi dell’art. 170, comma 2-bis dello stesso d.lgs. 152/2006. 2 In tale contesto, pertanto, al fine di garantire lo svolgimento degli adempimenti imposti dalla direttiva comunitaria nelle more dell’operatività delle Autorità distrettuali, il D.lgs. 219/2010 ha introdotto un regime transitorio all’art. 4, c. 1, lett. b, stabilendo tra l’altro che ai fini della predisposizione degli strumenti di pianificazione di cui al D.lgs. 49/2010, le autorità di bacino di rilievo nazionale svolgono funzione di coordinamento nell’ambito del distretto idrografico di appartenenza.
Nella nostra zona, l’acqua viene pescata dai pozzi facenti capo al bacino idrografico del T. Quiliano, oltre ad essere circa due volte e mezzo più vasto rispetto a quello del T. Segno, è anche caratterizzato da una tipica forma a ventaglio aperto verso monte e con apice nella zona di foce. Il paesaggio morfologico risulta essere controllato sia dall’assetto litologico estremamente diversificato, sia dall’assetto tettonico-strutturale. In particolare le litologie appartenenti al massiccio cristallino CalizzanoSavona (gneiss, anfiboliti, graniti e migmatiti) risultano poco articolate e generalmente meno elevate, rispetto ai terreni quarzitici, dolomitici e calcarei del Dominio Brianzonese.
Appare evidente, inoltre, il contrasto morfologico che si ha tra formazioni calcaree massicce e formazioni argilloso-marnose, specialmente quando si presentano in contatto litologico-strutturale: generalmente si distingue infatti un salto di pendenza dovuto alla maggiore acclività delle prime, come risposta ai fenomeni morfoselettivi. Inoltre i depositi Pliocenici ed alluvionali posti in prossimità della foce generano quella che attualmente è la piana alluvionale di Vado Ligure, probabilmente formatasi anche grazie al riparo offerto da Capo di Vado nei confronti del moto ondoso e delle forti correnti marine che si originano nei periodi in cui soffia il Libeccio, vento dominante proveniente da SSO, che spesso provoca mareggiate e saltuariamente eventi tempestosi. Al contempo, nei periodi in cui spira lo Scirocco, vento regnante proveniente da SE, tendono normalmente ad instaurarsi correnti marine meno forti e con direzione sottocosta prevalentemente E-O, che facilitano il trasporto e l’accumulo dei sedimenti fluviali nella zona a ridosso dello sperone naturale.
Il bacino idrografico del T. Segno, molto più sviluppato in senso longitudinale piuttosto che in senso trasversale, risulta essere decisamente asimmetrico, con il versante in destra orografica più acclive e i crinali dello spartiacque molto più vicini all’asta fluviale rispetto al versante di sinistra. La struttura tettonica dovuta all’orogenesi alpina ha delineato un reticolo idrografico primitivo che si è evoluto nel tempo in seguito ad eventi post-orogeni quali subsidenze, sollevamenti e distensioni. In generale i basculamenti di intere porzioni del territorio ligure-padano, hanno fatto sì che i corsi d’acqua del versante tirrenico risultassero più attivi di quelli del versante padano, portando ad un generale arretramento per erosione regressiva delle loro testate con conseguente spostamento progressivo dello spartiacque verso Nord. Si rimarca comunque il carattere torrentizio dei due corsi d’acqua principali, caratterizzati da un regime idrologico irregolare, ma in grado comunque di assicurare un buon approvvigionamento d’acqua all’acquifero presente nella piana alluvionale.
Caratteristiche acquifero sotterraneo L’acquifero alluvionale costiero del Quiliano-Segno è composto da depositi alluvionali costituiti da ghiaie, ciottoli e sabbie di deposizione fluviale con intercalati orizzonti argilloso-limosi. Lungo il T. Segno i dati stratigrafici indicano uno spessore dei depositi alluvionali variabile tra 20 e 45 metri, in corrispondenza del T. Quiliano ed in prossimità della costa, i dati disponibili indicano uno spessore dei depositi alluvionali che supera i 40 m. I livelli ghiaioso-ciottoloso-sabbiosi che costituiscono gli acquiferi a cui attingono i punti di presa locali, sono intercalati a livelli argilloso-limosi che possono raggiungere i 10 metri di spessore. Il substrato è rappresentato dalle argille plioceniche impermeabili e in subordine dalle quarziti e filladi permotriassiche a sud.
È caratterizzato da una permeabilità primaria per porosità: da monostrato nelle parti apicali dei corsi d’acqua principali a multistrato nelle porzioni centrali e terminali delle valli. E’ presente una falda superficiale di tipo freatico che ha sede nei depositi alluvionali e marini costieri sabbioso-ciottolosi presenti nei primi 10 m; in profondità sono presenti falde sovrapposte confinate. Le pressioni antropiche presenti nella piana alluvionale indagata, sono rappresentate dai pozzi. Nell’acquifero alluvionale costiero dei torrenti Quiliano-Segno, il prelievo viene effettuato dal subalveo quando i corsi d’acqua hanno un deflusso superficiale permanente, tale condizione in genere si verifica mediamente per circa 8-10 mesi l’anno, pertanto in questo periodo i prelievi da falda emungono a tutti gli effetti l’acqua dei corsi d’acqua drenata attraverso l’acquifero. Ne consegue che nei soli mesi estivi quando i corsi d’acqua sono in secca il prelievo sottrae la risorsa idrica dagli acquiferi. Sulla base dei dati sulla disponibilità naturale della risorsa idrica come riportati nei piani di bacino stralcio sul bilancio idrico vigenti, cui si rimanda per maggior dettaglio), anche a fronte degli utilizzi antropici, si rileva che non sussistono attualmente problemi di deficit idrico nei bacini del Quiliano e del Segno e che l’utilizzo dell’acqua è attualmente sostenibile.
Alesben B.
Bibliografia
https://geograficamente.wordpress.com/…/la-grande-sete-possibile-in-aumento-nel-pianeta www.themarsicanbear.com › TECNOLOGIA/…/
Autorità Di Bacino Distrettuale Dell’appennino Settentrionale- Unit of Management: Bacini Regionali della Liguria (ITR071/ ITADBR071). Distretto Idrografico dell’Appennino Settentrionale