DAL BLOG DI STEFANO PEZZINI: LIGURIA E DINTORINI – C’era, un tempo, un legame forte tra la Liguria, Genova soprattutto, e l’Olanda, legami di soldi e banchieri, ma anche mercanti, di stoffe, di spezie, addirittura formaggi se è vero, com’è vero, che la ricetta embrionale del pesto, poco più della metà del 1800, parla non di grana o pecorino, ma di formaggio olandese. Col tempo i legami sono diventati più turistici e gli scambi di gusto si sono un po’ affievoliti. Sino a martedì sera, quando al Vescovado di Noli Giuse Ricchebuono, stellato Michelin, ha ospitato la cucina, creativa ed interessante, del bistellato olandese Edwin Vinke, in un gioco di contaminazioni e sperimentazioni divertente sia in cucina, sia (soprattutto) tra i commensali.
Se Giuse usa le erbe del bosco e le aromatiche della Riviera, Edwin si diverte con alghe del Mare del Nord e sapori esotici, rafano e zenzero in primo luogo. Ad aprire la cena i “giochi di cibo” di Ricchebuono, appetizers che sembrano quel che non sono, macarons piccanti, tartellette con prescinseua, uno splendido bottone di acciuga e nocciola su un peperone affumicato. Poi gli antipasti firmati Vinke. Si inizia con un piccolo plateau di molluschi con ostrica piccante, cannolicchi al rafano, cozze e vongole speziate, gusti interessanti, diversi da quelli che, dei molluschi, facciamo noi mediterranei. La contaminazione Olanda-Riviera arriva con la palamita marinata e bruciata, dove alghe e sesamo se la giocano con basilico, aromatiche, pistacchi, piselli, fagioli e carciofi. Poi il piatto che, personalmente, ha stupito di più e che rivela la tecnica di Vinke. Il titolo è “Futuro vegetariano” (lo so, può inquietare, ma fidatevi…), quattro bocconi dove la carota affumicata, con poco cavolo fermentato e maionese speziata, sembra un wurstel, mentre la rapa rossa affumicata, con maionese di senape e cipolle, ricorda quasi un morso di carne. Il gambo di broccolo marinato nel miso di fagioli con salsa di semi di sesamo bruciati ricorda una grigliata. Divertente.
La cucina di Giuse torna prepotentemente al primo, con un fagottino di erbe selvatiche e prescinseua con una crema di nocciole misto Chiavari e crudi gamberi rosa, delicato e saporito assieme.
Il San Pietro marinato in acqua di mare vede di nuovo la firma di Vinke, buono, ma quel che conquista è il contorno, patate in tre consistenze, con alghe, salicornia, codium (un’alga scoperta al momento da chi scrive), licheni. Il buono si sposa al bello, il piatto sembra uscito da un acquario, quasi un peccato mangiarlo. Italia e Olanda è il piatto di chiusura, cinta di maiale (in pratica il musetto) con carbonara di seppie, fagioli bianchi e neri, lenticchie, cipolla agrodolce, asparago, maggiorana, salvia, acetosella e shot di maiale e caffè. I gusti si confondono, il maiale è buono così come le seppie, ma l’abbinamento, gradevole, è forse un po’ troppo azzardato, ma la fantasia e la creatività non si possono limitare… La firma del Vescovado torna sui dolci, un macarons di amarene, timo e limone e un gelato alla violetta su un letto di cioccolato, semplicemente paradisiaco. I vini, scelti da Pier Ravera, sempre più bravo come sommelier, sono stati all’altezza, tutti italiani, da un prosecco biologico a un verdicchio antico, ben abbinati ai piatti. Professionale, attento, gentile e discreto il personale in sala.
Alla fine Edwin, assieme a Giuse, esce a raccogliere i giusti applausi. Grazie a Laura Busti, non solo pr, ma anche ottima traduttrice, Edwin racconta di aver trascorso due giorni intensi in Riviera e di avere scoperto prodotti eccezionali: “Sono arrivato con due valigie di molluschi, alghe e salse, riparto con olio extravergine eccezionale, vino, carciofi e asparagi violetti (presidio Slow Food). E soprattutto con il ricordo dei sapori di Liguria che ho assaggiato, grazie a Giuse, da BioVio a Bastia, dove Chiara e Carolina mi hanno fatto assaggiare ricette tradizionali buonissime”. E detto da un due stelle Michelin…
PS. Giuse Ricchebono che con la moglie Alessia gestisce il ristorante del Vescovado – in affitto alla famiglia Ravera da parte della Curia vescovili della diocesi di Savona – Noli – ha rilevato lo storico ristorante Nazionale, sempre a Noli, sulla statale Aurelia. Al Nazionale – dove ai tempi della monarchia, aveva pranzato l’ultima regina d’Italia, lavora un team di 5 persone in cucina e 3 in sala, tutti under 25. Tradizionale cucina ligure, ha tenuto a ricordare Ricchebuono, fatta di prodotti di mare e di terra rigorosamente freschi e possibilmente locali.
E TRA LE STELLE DELL’OSTERIA ANTICA CORONA REALE DI CERVERE (DA LIGURIA E DINTORNI)
Esattamente il contrario di quel che ti aspetti. Gian Piero Vivalda stupisce, per la sua cucina, ovviamente, che ha conquistato due Stelle Michelin, per la sua gentilezza, per la disponibilità, per la passione e la precisione nel suo lavoro. L’occasione di incontrarlo, e di gustare la sua cucina, è la terza cena stellata organizzata da Vite in Riviera, il Consorzio di 25 viticoltori della Riviera guidato da Massimo Enrico che all’Enoteca regionale sede di Ortovero per promuovere i vini e i prodotti della Liguria, del Ponente soprattutto. Sono le 19 di giovedì 28 febbraio, in cucina il lavoro procede regolare, lo chef, patron dell’Osteria Antica Corona Reale di Cervere, gestito dalla sua famiglia da 150 anni (ai suoi tavoli si sedeva spesso Vittorio Emanuele II, il Savoia dell’Unità d’Italia), esce dal “suo regno” sorridendo per scambiare due parole con il cronista.
Il tema, ovviamente, è la valorizzazione dei prodotti della Riviera: “Piemonte e Liguria sono regioni amiche e unite da antichi legami, anche gastronomici, basta ricordare le vie del sale. Conosco molto bene la Riviera, non solo per frequentazione, ma anche per l’utilizzo dei prodotti. Il pesce del mio ristorante lo acquisto a Savona e Sanremo, nei miei piatti utilizzo i carciofi spinosi di Albenga e Sanremo e le primizie della Riviera che nascono prima che nel mio orto di Cervere. Credo che la Liguria, sia quella del turismo che quella della ristorazione, abbia un grande potenziale da esprimere, può ritornare ai fasti del passato. L’importante è basarsi sulle eccellenze”, la sua ricetta.
Cominciano ad arrivare gli ospiti, i sommelier Fisar, guidati da Ivano Brunengo, servono l’aperitivo, il Piganò, spumante tutto ligure prodotto dalla Cooperativa viticoltori ingauni, mentre l tavolo degli appetizer, preparati da Fabrizio “Piri” Barontini, offrono alcune novità sfiziose, dalla spuma di ceci e seppie (sorprendente) alle polente di farina di piselli o di lenticchie con crema d’olive o acciughe., il tutto guarnito con i petali dei fiori eduli di RaveraBio.
Poi i quattro piatti stellati. Vivalda non fa la star in sala, rimane in cucina, con il suo staff e con Mario De Marchi e Antonio Setaro, gli “chef resident” di Ortovero, per seguire tutti i piatti destinati alla sala, un segno di grande attenzione verso il prodotto e verso il cliente. Il primo piatto è sorprendente, Martini (il titolo è dato dal contenitore, un bel bicchiere da cocktail) di seppie del Golfo Ligure, carciofi spina d’Albenga e gamberi rossi di Oneglia, gusti e consistenze di altissimo livello, con i carciofi, finissimi, fritti dagli angeli, che danno un croccante piacevole e, soprattutto, non allappano il palato, lasciano un retrogusto di pinolo che accoglie sia il Pigato di Sartori, fresco e profumato, che il Saleasco della cantina Calleri, strutturato, antico, minerale.
Il primo è una tradizione di Langa, ravioli “al plin” di coniglio grigio, su un letto di crema di carciofi spinosi d’Albenga e tartufo nero della Val Pennavaire, la pasta è ruvida e consistente ma non copre ne il delicato ripieno di coniglio ne lo splendido tartufo nero, sempre più una eccellenza ligure. L’abbinamento era con il Rossese di Dolceacqua di Foresti, cantina storica, e quello di Ramoino. Personalmente ho preferito quello di Ramoino, più rotondo e capace di sposarsi con il piatto, ma nessuno ha rimandato indietro quello di Foresti…
Secondo impegnativo, capretto di Roccaverano allo spiedo d’ulivo, caponata d’inverno alle Olive Taggiasche e la sua Finanziera, in pratica un “non si butta via niente”, e meno male, perchè il capretto, persi tutti i suoi aspetti negativi di gusto inselvatichito, diventa un grandissimo prodotto, compresa la finanziera, il quinto quarto della bestia, che in Piemonte è diventata tradizione e che Vivalda ha trasformato in piatto gourmet. Anche in questo caso due gli abbinamenti, la granaccia Cappuccini di Innocenzo Turco, Quiliano, e quella di Poggio Gorleri. Entrambe passate in legno, diverse sia per terroir che per invecchiamento pur essendo entrambe 2016, corposa, calda, rotonda la prima, ancora aspretta la seconda, ma con ampi margini di miglioramento. Per chiudere il dolce, mousse di cioccolato bianco e Chinotto di Savona, presidio Slow Food, in abbinamento con passito di pigato delle Vecchia Cantina Calleri di Salea d’Albenga.