25 aprile, trekking sul Monte Grande, dove 17 partigiani hanno messo in fuga i tedeschi. La targa che ricorda Silvio Bonfante nel piazzale di San Bernardo di Conio (IM).
San Bernardo di Conio (IM). Voglio raccontarvi la mia avventura del venerdì di Pasqua, una Via Crucis del tutto particolare, una sorta di pellegrinaggio alla ricerca delle tracce lasciate dai partigiani nel Ponente ligure. Circondata da una nebbia densa mi sono arrampicata da San Bernardo di Conio fin sul Monte Grande: una cima che spicca verso il mare digradando sulla Valle Argentina e la valle Arroscia. Proprio qui una ventina di partigiani hanno messo in fuga i soldati tedeschi e i Repubblichini, nel settembre del 1944.
Tutto è cominciato dopo aver letto il libro di Daniele la Corte, Il Coraggio di Cion, (Fusta editore). Racconta la storia del partigiano Silvio Bonfante, nato nel 1921. Nome di battaglia: Cion, Chiodo. È stato il capo della Volante, esperto nella guerriglia mordi e fuggi. Per anni né i tedeschi né i fascisti sono riusciti a catturarlo. In breve tempo è diventato l’erede di U Megu, il mitico comandante Felice Cascione.
Cion è morto nel 1944 dopo essere stato ferito dai tedeschi a Vessalico in Valle Arroscia, un paese che frequento spesso quando vado ospite a Ubaghetta dalla mia amica tedesca Stefani, nella sua casa in pietra ristrutturata.
Ritorniamo a venerdì: mi sto arrampicando sulla Costa dei Quarti verso la cima del Monte Grande, proprio in compagnia di Stefani, lo stesso percorso che ha fatto Cion insieme al suo vice Mancen e a un manipolo di uomini. Lassù in cima c’era un presidio tedesco e i partigiani, accampati a San Bernardo di Conio, si sono trovati circondati dall’esercito tedesco e dalle camicie nere. E sono andati all’attacco. Il sentiero da un certo punto in poi non è più segnato e stiamo andando un po’ a tentoni nella nebbia.
Me la sono cercata, ma è bello essere qui con il mio compagno e la nostra amica tedesca, tutti e tre insieme a frugare nella Storia e nel passato dei nostri due Paesi, a riportare in vita la memoria di una battaglia avvenuta quasi 73 anni fa. La nebbia ci avvolge. La coltre bianca si sta ispessendo e si riesce a evocare ancor meglio la battaglia. Sembra di udire i colpi di mortaio, le urla degli uomini feriti, l’adrenalina che invade i loro corpi, fradici di sudore. Sta piovendo leggermente mentre noi stiamo faticando su per il ripido versante. I partigiani spesso erano zuppi d’acqua, altro che qualche goccia, dura la vita nei boschi, sempre a nascondersi per saltar fuori all’improvviso. Arriviamo in cima in poco tempo ansimanti, dopo 450 metri di dislivello. Ci accoglie una croce e poco più in là un’antenna, che si intravede appena. Telefono a Sebastiano Lopes dell’Uisp di Imperia, esperto di itinerari partigiani. Ci racconta la straordinaria vista da lassù, che non riusciamo neanche a intuire. Stefani è molto interessata al racconto della battaglia, la più epica di tutta la Resistenza nel Nord Italia, e gli chiede che cosa ne hanno fatto dei prigionieri tedeschi. Lui le risponde che crede li abbiano liberati. Senz’altro non hanno fatto nessuna rappresaglia. Purtroppo dopo alcuni mesi i tedeschi hanno ripreso il controllo di tutto il territorio e Cion, ferito e circondato dai nemici, si è suicidato con un colpo di pistola. Come racconta La Corte nel suo libro.
«Sul piano puramente teorico, quell’azione disperata sul Monte Grande rivestiva caratteristiche suicide. Quei giovani garibaldini rispecchiavano il fior fiore dei loro distaccamenti, ed erano digiuni delle conoscenze che si acquisiscono nelle accademie militari. A quell’azione seppero imporre un ritmo così travolgente, così inarrestabile che nei soldati tedeschi all’iniziale disorientamento, subentrò anche la paura e al cospetto di quei garibaldini che sbucavano da ogni dove, urlando e sparando, essi passarono repentinamente da uno stato di onnipotenza alla più cupa depressione», così ha scritto Nando Bergonzo, ex Presidente dell’ANPI provinciale di Imperia, su Patria indipendente. Aggiungerei: questi giovani partigiani credevano fortemente in un’Italia e in un mondo diverso: una spinta che manca a tanti di noi oggi. Purtroppo.
Ora siamo sulla strada del ritorno, non scendiamo verso il Colle d’Oggia, per compiere un giro ad anello. Con la nebbia è meglio tornare sui nostri passi, ma ci perdiamo lo stesso. I miei due compagni di viaggio vanno un po’ in panico, io non so perché ma mi sento calma, sono sicura che la strada la ritroveremo. In testa ho solo gli echi di quella battaglia. Giusto per rallegrare l’atmosfera troviamo sparpagliate per terra le ossa di un animale. C’è qualcuno che sa dirmi che animale è? Dopo un’oretta di tentativi riusciamo a uscire dalla boscaglia e troviamo la strada asfaltata per San Bernardo di Conio dove abbiamo lasciato l’auto. Il piazzale è pieno di targhe e ricordi partigiani.
Non poteva essere migliore il mio personale Venerdì Santo. Amo fare trekking e attraversare i territori riportando alla vita dentro di me ciò che è stato, perché solo così riesco a intuire qualcosa di quello che sarà. Vi consiglio di farlo un giro sul Monte Grande, magari in un giorno pieno di luce e caldo di sole.
Ad ogni modo, buon 25 aprile, ricordiamoci che non è solo un ponte.
Laura Guglielmi (da mentelocale.it)
laura.guglielmi@mentelocale.it