Don Giacomo Rovera non è assetato di vendetta. Non scrive memorie da imputato condannato. Semmai scagionato, con decreto di archiviazione, da accuse infamanti. Può anche aver sbagliato e chi non sbaglia ?Non per interessi inconfessabili. E da qui a farlo passare come traditore, opportunista e malfattore, capace di fare affari per se, la famiglia, un amico, ce ne passa. Nella lunga vita professionale di cronisti (giudiriziaria in particolare) non ci era ,mai capitato di trovarsi di fronte una persona che non solo dice ‘mi faccia tutte le domande che ritiene’. E’ un libro aperto, mette a disposizione atti e documenti, riscontri. In contrasto si direbbe con le conclusioni tratte dalle Iene nel loro dirompente servizio televisivo (‘lei don Giacomo è un bugiardo….’).
“Il santo vero mai non tradir, nè dir mai verbo che il vizio plauda o la virtù derida“, così il giovane Alessandro Manzoni, prima della conversione al cattolicesimo, da puro laico di fede e di morale, scriveva nel carme a Carlo Imbonati.
La mole di materiale da valutare è imponente. Aprendo una delle tante finestre sulla don Rovera story si può leggere che tra i componenti del Consiglio di amministrazione del Seminario di Acqui, siedono persone irreprensibili per il loro passato: c’è Giambattista Giacchero generale di Divisione dei carabinieri in quiescenza. Si legge che la magistratura inquirente aveva disposto “di fare chiarezza su operazione bancarie ed altre transazioni sia immobiliari, sia finanziarie che avevano avuto negli anni come protagonisti il duo don Giacomo Rovera e Roberto Bonora o persone riconducibili ad essi….”. Si legge che don Rovera era amministratore del Seminario Vescovile e “dalla copiosa documentazione non si possono evincere malversazioni, truffe o fraudolenti impeghi delle somme rilevate…”. In un documento del 27 novembre 2015 si legge che l’avvocato Simonelli, per conto del vescovo Micchiardi, chiede al magistrato inquirente della Procura di Alessandria, dr. Letizia Aloiso: “….che sia respinta la richiesta di archiviazione e si prosegua nelle indagini istruttorie…”. La stessa Aloiso l’8 gennaio 2016, respinge l’istanza “non suscettibile di accoglimento‘. Si tenga conto che le indagini non erano state affidate ad un organo qualunque della polizia giudiziaria, bensì alla Guardia di Finanza, nel caso specifico al comandante della tenenza, il luogotenente Marco Cavallotto. Il 23 marzo scorso il giudice delle indagini preliminari, Luisa Avanzino, avalla l’operato della Procura. Nei suoi 5 anni di amministratore del Seminario, don Rovera non si è macchiato di reati.
Il sacerdote era finito nel mirino anche su un’altro fronte, forse quello più scottante. La storia di Villa Paradiso a Varazze e i rapporti con il gestore Renato Bonora. Tre giorni dopo il gravissimo e pur sempre misterioso incidente stradale a don Rovera, il maresciallo dei carabinieri Ernesto Trozzola, della sezione di Pg del tribunale di Savona, su incarico del PM Chiara Venturi, già alla Procura di Alessandria, si presenta in piazza Duomo, alle 13,40, a mons. Carlo Ceretti, presente il bibliotecario Walter Baglietto, chiedendo di avere immediato accesso alla contabilità del Seminario tenuta da don Rovera. Tra i documenti c’è il contratto di affitto stipulato il 16 febbraio 2011, con Bonora Renato, di Villa Paradiso. Ci sono i pagamenti fatti da Bonora per gli anni 2012- 2014. La sottoscrizione di un prestito al Seminario da parte di Bonora datato 16 febbraio 2011. Copia dei bilanci, quietanze di versamenti, copia dei verbali del consiglio di amministrazione. Ci sono due faldoni consegnati da don Ceretti a Cavallotto, nuovo legale rappresentante del Seminario che darà dopo alcuni mesi le dimissioni dall’incarico con gli altri tre membri del consiglio.
Sempre il PM di Savona, Venturi, a seguito della querela del vescovo, propone indagini approfondite su don Rovera e chiede anche la collaborazione al procuratore aggiunto dellaProcura di Alessandria, dr. Rapetti, che a sua volta dispone accertamenti da parte della Finanza di Acqui Terme. Fino ad allora il vescovo aveva incaricato quale legale per seguire gli sviluppi della querela contro Rovera- Bonora l’avvocato Laura Gatti di Genova. In data 6 settembre 2015 il vescovo revoca il mandato e lo affidata all’avv. Claudio Simonelli di Alessandria. Dagli atti depositati emerge altresi che “in relazione al procedimento penale in corso…” il Pm Venturi affida sempre alla Finanza di indagare su tutti i conti correnti bancari e postali (sono nove) su cui ha operato don Rovera: riguardato l’attività del Seminario, della parrocchia, di Publispess, L’Ancora.
Emerge inoltre che nel febbraio 2015 il luogotenente Giuseppe Giordano e l’appuntato Massimo Pivotti si sono recati nella sede vescovile per un incontro con il vescvovo, il legale della Curia, avv. Mauro Mazzi, e l’ex direttore della Cassa di Risparmio di Alessandria, filiare di Acqui, sig Pizzala coadiuvante nella gestione della contabilità della Curia. Il vescovo ribadiva come il signor Bonora fosse causa di tutto ciò che succedeva a Varazze. I sottufficiali invitavano il vescovo a produrre ulteriore documentazione per approfondimenti investigativi. Il 19 frebbraio 2015 si presentavano in caserma ad Acqui l’amministratore del Seminario, Giorgio Cavalotto e Giambattista Giacchero….che si impegnavano a fare chiarezza ed avrebbero eventualmente integrato la querela. In una nota d’indagine indirizzata al dr. Aloiso risulta: “La documentazione acquisita riguarda Giacomo Rovera, allora amministratore del Seminario (per 5 anni) e non si possono evincere malversazioni, truffe o fraudolenti impieghi delle somme rilevate”. Si arriva così, nonostante l’opposizione del legale del vescovo, alla dichiarazione “di archiviazione del procedimento e ordina ordina la restituzione degli atti al pubblico ministero”.
E’ il lampante epilogo della querela del vescovo, reiterata, contro don Rovera, contenuta in sei pagine sottoscritte e ribadite in tutte le sedi di indagine. Tra le persone risultate estranee ci sono pure i protagonisti della vendita dell’appartamento di Galleria Volta ad Acqui Terme, di nuda proprietà del Seminario; si tratta di un’eredità di don Carlo Ceretti che riservava per se l’usufrutto. Il condominio dove si trova l’alloggio risale al 1966, 50 anni. Formato da un bilocale al primo piano e composto da 3 vani e mezzo per 32 mq calpestabili, infissi e sanitari risultano d’epoca e da cambiare. Alloggio donato a don Ceretti dalla Congregazione delle Angeline, con atto notarile, pagato da don Ceretti che ha ceduto la nuda proprietà al Seminario mantenendo l’usufrutto, pagando di tasca propria la successione e la manutenzione. Con il consenso del vescovo l’appartamento è stato messo in vendita, assicurando a don Ceretti le camere in Seminario vita natural durante, il restauro delle quali (camere del Seminario) è stato pagato con la somma di vendita dell’immobile. Tra le offerte, quelle di Ferrari, che oltre ai 35 mila euro come da valutazione di mercato, aggiunge ‘brevi manu’ altri 10 mila euro, come documentano i bilanci del Seminario e i verbali del Consiglio di amministrazione. Dunque 1.400 euro il mq. a fronte, a quanto pare, di un valore che si aggira sulla metà, dovendo sostituire gli infissi, l’impianto elettrico, il bagno, la tinteggiatura. Ferrari, a sua volta, l’ha ceduto in uso, a titolo di comodato gratuito, ad una mamma con due figlie sfrattate ed in difficoltà. (L. Cor.)
DIFFICILE AVER FEDE NELLA DIOCESI DI ACQUI ?
Quinta memoria scritta da don Giacomo Rovera, con l’esclusione degli allegati minuziosamente indicati dal sacerdote.
Il 13 dicembre 2013, alla inaugurazione del Nuovo Ricre – complesso immobiliare di via Nizza, una colata di cemento di evidente impatto nel centro di Acqui Terme –, il vescovo Pier Giorgio Micchiardi, nel ringraziare i suoi fedelissimi, che passeranno alla storia quali realizzatori, a nome e per conto della Diocesi di Acqui, ente giuridico con legale rappresentante il vescovo e solo lui, ringraziava esplicitamente il presente cardinal Domenico Calcagno (classe 1943, di Parodi Ligure) “già mio compagno di studi e che ci ha seguito, nel corso della costruzione del Nuovo Ricre, con i suoi consigli” e con i consiglieri che ha messo al fianco di Micchiardi dal 2011. In particolare l’acquese Pier Domenico Garrone, da allora assiduo frequentatore del palazzo. Chi legge queste mie memorie ha difficoltà a seguire lo svolgersi dei fatti accaduti e descritti, che sembrano non avere logica, ma procedere per improvvisi lampi decisionisti e realizzazioni ad ogni costo senza equilibri di spesa: si deve fare, questo è l’ordine.
Mercoledì 24 agosto 2016, per dare un segno forte di chiarimento con Micchiardi, su mia iniziativa, d’accordo e alla presenza di mons.Renzo Gatti, classe 1924, economo storico della Diocesi e da sempre presidente dell’Idsc (Istituto diocesano per il sostentamento del clero ndr), mi sono incontrato in vescovado con il vescovo per cercare di capire come avessero potuto accadere fatti così incresciosi tra noi due, lasciando in noi memorie e segni così laceranti e così scandalosi per la comunità diocesana.
Nel verbale dell’incontro, il vescovo, che si mette subito a fianco di Rovera, per controllare quanto scritto sul computer, ha risposte disarmanti: “Era un momento di confusione; ma dopo molta riflessione ho deciso di querelarla”; “Sinceramente non ricordo lo sviluppo della querela”; “Non sono stato informato”; “Avendomi detto che non c’erano motivi di procedere nei suoi confronti, dissi che volevo non procedere”; “Il discorso era portato avanti da Cavalitto e Mazzi: conclusi dicendo di non andare avanti”; “Ho semplicemente detto all’avv. Simonelli di difendermi, qualora ce ne fosse stato bisogno”. Steso subito il verbale del chiarimento, letto, approvato dai tre presenti e subito dai tre sottoscritto: la carta canta, ma i dubbi restano grandi.
Di fronte a tanta ingenua semplicità, ho ripreso in mano alcuni documenti di Micchiardi, che scottavano tra le mie mani. Sono i seguenti.
L’11 settembre 2014, (don Rovera è appena rientrato ad Acqui alla casa paterna, dopo mesi di pesantissimo calvario ospedaliero, e non sa nulla della querela pendente di Micchiardi), don Carlo Ceretti è convocato in vescovado da Micchiardi; appena seduto, il vescovo presenta a don Ceretti un foglio fittamente dattiloscritto (all. Micchiardi ordina a Ceretti) e gli ordina di firmarlo seduta stante: è il vescovo che glielo chiede. Don Ceretti è persona intelligente, crede in Dio e rispetta il prossimo: subdora l’inganno (?), legge le prime righe, capisce la trappola e scrive: “Non autorizzo nulla di ciò che è scritto sotto”; prende il foglio e ne porta copia a don Rovera.
Il tentativo di Micchiardi era questo: fornire alle Procure della Repubblica di Savona e Alessandria delle prove contro Rovera in ordine alla querela del vescovo stesso pochi giorni dopo il suo gravissimo incidente stradale e il conseguente ricovero ospedaliero: mesi di coma farmacologico. Querela che, nonostante le approfondite indagini e la buona volontà delle procure e della guardia di finanza di Acqui, stava dissolvendosi nel nulla. Si rende necessaria una prova trasversale, più volte assicurata da Cavalitto e Giacchero; ecco il testo preparato da Micchiardi, si tratta di un vero copione di regia per l’operazione tesa a denigrare e delegittimare don Rovera e tutto il suo operato in 53 anni di sacerdozio, e chi, meglio di don Ceretti, amico da sempre di Rovera, poteva favorirne la chiave che avrebbe dovuto essere risolutiva?
Dopo pochi giorni, il 15 settembre 2014, Micchiardi pubblica un decreto con cui accentrava in sé ogni decisione di movimento per ogni prete diocesano: “Nessun prete della diocesi di Acqui può partecipare ad alcuna attività extra ministeriale senza autorizzazione scritta del vescvovo per il futuro e per il passato”. Questa norma, che sa tanto di valvassori e valvassini, è ancora attuale in diocesi, tanto è vero che non più tardi della settimana scorsa, un diacono, che intendeva diventare socio di una cooperativa, porgeva rispettosa domanda a S.E., e l’autorizzazione vescovile ad personam, una vice, ad nutum episcopi, veniva concessa e scritta su carta intestata e protocollata.
Il 28 novembre 2014, da Spotorno, questa volta con lettera manoscritta su carta vescovile intestata, dal Best Western Hotel Acqua Novella, 4 stelle, 74 camere vista mare, dove Micchiardi trascorreva la settimana degli esercizi spirituali con i colleghi 17 vescovi del Piemonte, “dopo aver molto pregato e riflettuto” chiede a don Rovera, in forza di santa ubbidienza “la pronta accettazione di queste mie richieste” e conclude “Augurandomi di non dover essere obbligato, ad assumere decisioni di estrema ratio procedendi”; tradotto in parole semplici: “O, caro don Giacomo, ammette colpe su colpe ben specificate ed elencate, o io vescovo la spreto”. Ho 77 anni, prete da 53, dopo un fedele servizio a cinque vescovi. Don Rovera risponde punto su punto per difendersi, chiarendo, senza alcun timore nei confronti della giustizia umana, ma paventando non poco la insipienza umana, che, in ordine al buttarmi fuori dalla chiesa, è purtroppo disarmante e inappellabile. La fede di don Rovera resta intatta in Dio, pochissimo negli uomini.
don Giacomo Rovera