Pubblichiamo un interessante ed attualissimo articolo, firmato Gian (così firma l’ex sindaco Gianfranco Benzo), ripreso dal bollettino parrocchiale di Ormea. L’acqua, preziosa riserva naturale, è anche fonte di una permanente minaccia alle opere ed alla vita dell’uomo. Ce ne siamo accorti nelle settimane scorse, in Val Tanaro, dove l’ambiente creato dai valligiani è stato minacciato dalle forze della natura perché l’acqua, non più libera di trovare i suoi naturali deflussi, costretta a seguire nuove vie, ha reagito.
E’ in tal modo che si è innescato il processo per cui l’uomo, per proteggere le sue opere che vanno dalla propria casa ai terrazzamenti con cui ha modificato la montagna, deve continuamente mettere in atto un assetto di difesa, tenendo distinto il momento del riparo dalle acque da quello della loro utilizzazione.
Da quanto ci dà ad intendere Don Secondo Odasso, con i Ricordi Storici di Ormea pubblicati sull’appendice del settimanale “Il Falconiere” di Ceva negli anni tra il marzo 1912 ed il novembre1914, è così da secoli!
Vale la pena riproporre integralmente alcuni brani dal capitolo sui disastri:
“Molteplici si contano i disastri che funestarono la popolazione d’Ormea;
inondazioni, pestilenze, siccità e varie altre calamità, succedutesi alternativamente, delle quali terrò parola.
Nelle dirotte piogge che sogliono cadere nell’autunno e nella primavera, il fiume Tanaro accogliendo le acque provenienti dai circostanti balzi gonfia in modo spaventevole e trae seco massi smisurati, alberi e tutto ciò che tenta opporsi al suo corso.
Le sue più grandi piene, di cui si conservi memoria, succedettero nel 1705: ne fu allora così grande la copia delle acque, che allagò tutta la pianura e rovinò la cappella di San Rocco; negli anni 1744, 1791 e 1792 le straripate acque del Tanaro copersero tutta la Lama del Gorretto con grandissimo danno di coloro che vi tenevano possedimenti.
Il rivo Armella suole anch’esso nelle escrescenze cagionare guasti notevoli: così nel 1807 e nel 1777 distrusse in poche ore il ponte omonimo.
Narrasi che in sull’inizio del secolo XVI uno straordinario uragano ingrossò talmente il rivo Pesino che trascinando seco alberi, sassi e divelti terreni, rovinò la sottoposta florida spiaggia, ove, riadattandosi i luoghi, si rinvennero ancora sotto grossi macigni quantità d’ossa umane e distrusse inoltre la cappella di San Pietro che venne poi riedificata nel 1513.
Nel maggio del 1724 una terribile tempesta desolò i territori di Eca e Isola Pelosa distruggendo e asportando via la maggior parte dei frutti.
Nel 1728 l’enorme quantità di neve che cadde con successiva pioggia ed immediato gelo, causò danni rilevanti alla campagna, sradicando, spogliando e rompendo alberi d’ogni sorta fruttiferi, particolarmente di castagne.
Nel 1734 avvenne una grande siccità, che durò otto mesi, causata (dicono le Memorie del prevosto Grioglio) dalla scarsissima quantità di neve o pioggia dell’inverno. La condizione della campagna era deplorevole ed il popolo versava nel più grande timore, essendo stata alquanto scarsa l’annata antecedente.
Nel 1741 un influsso di mali e febbri desolò per tre mesi il borgo d’Ormea, ove ne rimasero vittime molti particolari, laonde nel marzo la comunità provvide un secondo medico.
Nella notte del 26 agosto la grandine devastò tutti i fondi situati nelle regioni di Valdarmella, Perondo, Cassine, Villaro e Arbra.
Lo spaventoso uragano del 10 ottobre 1791 (giorno fissato per la vendemmia) cagionò una vera inondazione del Tanaro, per cui si videro allagate le pianure circonvicine, cioè la regione di Ferraira, l’Isola grande, atterrato il ponte di Cantarana, devastati i campi e prati attigui fino al rivo Chiappino e col contributo delle acque di questo ritano, invasa la pianura dell’Isola Colombina, atterrato un angolo della cappella di San Bernardo, distrutta la bealera del mulino, corrosi i due ponti di San Giuseppe e di San Pietro, e versate tutte le palancole, allagate tutte le possessioni rasenti il Tanaro, corrosa quasi l’intiera regione del Goriè, esportati diversi tratti di strada pubblica, anzi minacciate di rovina persin le abitazioni del capoluogo più vicine al fiume, apportando un danno di circa mezzo milione.
Si ripetè tale inondazione il 21 ottobre e il 17 novembre dell’anno suddetto, indi nel settembre del 1792, rovesciando le riparazioni già fatte.
Ad essa fecero seguito le piogge torrenziali del 13 settembre 1810, del 18 giugno 1812 ed oltre ancora, le quali cagionarono ingenti danni alle campagne, citando alla sfuggita quello gravissimo che vi produssero in diversi tempi, specie nel 1731, certi bruchi detti Neustrie o Gallonate (in vernacolo rue o gate).
Degno di particolare menzione infine è il nubifragio del 1° ottobre 1897, il quale in poche ore fece straripare i diversi torrenti che sono compresi nei nove chilometri che separano le due stazioni di Ormea e di Trappa, inondando spaventevolmente vigneti, campi, prati, boschi, strade, case, trasportando nella china per la loro veemenza un’immensa quantità di terra, ghiaia, pietre, alberi d’ogni specie, enormi massi, il qual materiale ingombrò molte proprietà, la strada ferrata, quella nazionale, sino ad interrompere per diversi giorni il transito dei carri: producendo frane, distruggendo frutta e sementi, rovinando abitazioni, ponticelli, palancole, acquedotti e arrecando un danno complessivo di L. 216, 250 “.
Molti luoghi ricordati da Don Odasso sono stati puntualmente interessati anche dalle ultime alluvioni. A differenza degli altri fiumi piemontesi a regime glaciale, alimentati da fusione di neve e di ghiacci con massime portate in periodi primaverili-estive e minime invernali, il Tanaro e gli altri fiumi della zona Marittimo-Alpina sono a regime pluviale, alimentati unicamente o quasi dalle piogge e le cui piene sono conseguenti ai periodi di forte concentrazione della piovosità.
Piogge autunnali abbondanti sono costanti. Negli anni ’70 del secolo scorso il Comune di Ormea è stato ricompreso anche tra i territori interessati dalle calamità atmosferiche dell’ottobre 1976, di maggio e di ottobre 1977 e del febbraio-marzo 1978.
Si erano verificati allagamenti, ma con un’alluvione non così micidiale come la successiva del 5 novembre 1994. A causa di essa il Tanaro rese 70 morti e 2.226 persone senza tetto. Dopo 3 giorni di piogge incessanti su gran parte del Piemonte meridionale si verificarono piene record del Fiume e di molti suoi affluenti (in particolare il Belbo). Allora caddero oltre 600 mm di pioggia, ma il mese scorso ne caddero oltre 750 mm, fortunatamente senza vittime umane, ma con virulenza delle acque ancor più elevata.
Il futuro? L’importanza economica e sociale della difesa del nostro territorio minacciato dalle inondazioni non è misurato solo dai danni imponenti che esse provocano, ma anche dall’incertezza in cui la minaccia tiene le popolazioni interessate.
Le inondazioni del Tanaro si sono verificate o per insufficienza dell’alveo o per il cedimento degli argini. Nell’ultima alluvione anche per l’ostruzione del corso d’acqua all’interno degli argini stessi. Le foto sono indicative del generale stato degli argini del Tanaro prima, durante e dopo la piena. Inutile costruire un canale per lasciarlo riempire di detriti o di vegetazione incontrollata: non consentirà mai le portate d’acqua per le quali è stato costruito. Per altro le difese non potranno mai essere assolute. E’ impossibile determinare i massimi insuperabili per gli eventi atmosferici e quindi idrologici; quindi non è possibile realizzare difese assolute. Secondo la conferenza nazionale delle acque (1968-71) è un problema da affrontarsi con azione coordinata, con punti obbligati:
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Nel ridare efficienza ai boschi esistenti;
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Nel rimboschimento e nella ricostituzione di prati-pascoli permanenti;
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Nella sistemazione idraulico-forestale della parte alta dei corsi d’acqua;
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Nella sistemazione dei terreni montani e collinari destinati a coltura agraria permanente.
Da allora immediatamente dopo i disastri come quello del 1994 qualcosa è stato fatto, ma il più rimane da fare.
Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi disordini idrologici? Il crollo dei terrazzamenti, le nostre straordinarie “fasce”, per la mancata regimazione delle acque.
Gian
01 dicembre 2016
Il Tanaro a Barchi prima della piena
Il Tanaro a Barchi dopo la piena
LA LETTERA DEI CONSIGLIERI DI MINORANZA DEL 2015
SEGNALAVA LO STATO DI PERICOLO DELL’ALEVO A NASAGO’ E BARCHI