“Signori si nasce, non si diventa ed io lo nacqui, modestamente”. Così diceva, ammiccando, il principe De Curtis, in arte Totò.
di Filippo Maffeo
Anche le strade, come gli uomini, hanno ranghi diversi.
La più altolocata è l’autostrada; un gradino sotto la camionale.
Purtroppo per le strade non valgono le regole degli uomini; nascono “signore”, prime della classe e diventare nel tempo “povere”.
Può capitare, quindi, che, per le strane vicende della vita, si nasca autostrada e si diventi camionale.
Il declassamento o la promozione possono essere formali o avvenire di fatto, semplicemente.
E’ quanto insegna la storia di due autostrade liguri.
Come camionale nacque l’odierna autostrada Genova Serravalle. Inaugurata nel 1935 dal re in persona, fu orgogliosamente battezzata “camionale” (ed ancora oggi viene da molti così definita nel linguaggio quotidiano), secondo le indicazioni dell’uomo di Predappio, che, nel 1932 ne ordinò l’esecuzione al Prefetto di Genova. Nacque per consentire di oltrepassare l’Appennino, i Giovi, ai camion carichi di merce, da e per il porto di Genova e la pianura padana. In effetti per decenni fu transitata soprattutto da camion.
La Albisola Genova-Prà, quasi coeva, (inizio anni ‘50), nacque, invece, come Autostrada, per collegare i porti di Genova e Savona. Ad onta del nome, nei primi anni, era, in buona sostanza, una camionale destinata prevalentemente al traffico pesante, anche perché le automobili in circolazione non erano molte ed il fenomeno della circolazione e del turismo di massa a quattro ruote era ancora nella mente di Giove.
Chi ha una certa età la ricorda a carreggiata unica per entrambi i sensi di marcia, con tre corsie e possibilità di sorpasso a tratti alternati, in entrambe le direzioni. Ogni sorpasso era una piccola avventura; un rapido e un po’ ansioso calcolo della velocità e dello spazio e via verso il destino, con la speranza che tutto andasse secondo le previsioni; le conseguenze di un errore di valutazione o di un singhiozzo del motore potevano essere tragiche.
Lentamente il percorso si allungò in direzione Genova e raggiunse prima Pegli e poi Sampierdarena, nel 1967, quando fu ultimato il Ponte Morandi sul Polcevera. Poi si arrivò a Savona.
Intanto era partita la costruzione della Ventimiglia -Savona, col primo cantiere inaugurato nel 1965 a Ventimiglia, dal ministro genovese Paolo Emilio Taviani.
Nel decennio successivo fu realizzata la carreggiata a monte tra Savona e Prà, sempre su sollecitazione ed indirizzo del Ministro Taviani, che si era attivato già dal 1960.
Vale la pena di aggiungere che, nel dibattito che precedette l’opera, si discusse sull’opportunità di un semplice raddoppio della tratta mantenendo la carreggiata esistente o sulla costruzione di una tratta tutta nuova e a doppia carreggiata.
Taviani si spese per la seconda soluzione, ipotizzando la conservazione del vecchio tracciato solo per il traffico locale, in alternativa alla vecchia Aurelia tra Prà ed Albisola, già allora in difficolta. Fu preveggente, ma non riuscì a superare gli ostacoli a livello romano. Oggi, percorrendo la Albisola-Prà, tortuosa, tutta curve, a tre corsie ma senza quella d’emergenza, ci accorgiamo, con rammarico, dell’errore all’epoca commesso.
Il rammarico per quel che si poteva fare e non si fece cresce ulteriormente, perché la corsia d’emergenza, va ricordato, manca anche sulla Genova -Ventimiglia, escluso il tratto tra l’allacciamento con l’A26 e Varazze. Se ti si rompe l’auto in marcia dal confine a Genova e viceversa, escluso il breve tratto appena ricordato, rischi la tragedia, tua e-o di altri.
Oggi la nostra autostrada, la A10, vive un periodo critico, per due ragioni.
La prima è costituita dai cantieri, onnipresenti. Presenti i soli cantieri, perché gli operai, nei cantieri, sono molto spesso assenti. Transitando vedi i “birilli”, i delineatori di corsia incollati sulla carreggiata, talvolta i mezzi d’opera, ma di operai neppure l’ombra e quando li vedi li conti sulla punta delle dita di una mano.
La seconda causa è l’intensità del traffico, in particolare di quello pesante, che ha trasformato, di fatto, l’autostrada in una camionale.
Circolano giganti che trasportano tutto, come è noto, anche prodotti chimici, infiammabili e pericolosi.
Veicoli che portano, in gran numero, targhe dell’universo mondo europeo, comprese Polonia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e, poi, Portogallo, Spagna, Francia.
Ci si può chiedere che cosa ci facciano qui i veicoli dei paesi dell’Est ed estremo nord d’Europa, dove pagano l’assicurazione e il bollo e le tasse. Sembra strano ma non lo è tanto. Pagano il bollo là e consumano le strade qui. Pagano le tasse là e qui hanno sostituito i nostri “padroncini” ed anche ditte di trasporto di buone dimensioni. Si accontentano di poco, quei camionisti; hanno esigenze molto minori ed hanno estromesso, per ovvie ragioni i nostri piccoli trasportatori italiani e europei.
Bisonti con tante targhe che spesso, nelle stagioni fredde, allungano il percorso di 400-500 km pur di evitare la neve, spesso presente sui tragitti autostradali del Nord Europa. Passano, ingolfano il traffico ed inquinano da noi, approfittando del clima mite, pur avendo, a Nord delle Alpi, percorsi più brevi a disposizione.
Circolano e a velocità sempre prossime ai 90-95 Km orari, con punte prossime ai 100, in falsopiano o discesa, ben oltre il limite che portano esposto sul retro.
Circolano e sorpassano, sui viadotti e nelle gallerie. Sorpassano le automobili e talvolta si sorpassano tra loro. E se uno sventurato, per qualsivoglia motivo viaggia nella corsia di destra a 90 Km-ora viene molto spesso spinto in avanti dalle trombe del giudizio e-o dallo scatenarsi di lampeggi simili ad una tempesta di fulmini.
Circolano e sorpassano, in aperta violazione dei limiti a loro imposti in generale dal codice della strada e sul posto, in concreto, dai cartelli collocati ai lati della carreggiata.
Circolano e sorpassano sfrontati ed impuniti, perché di auto della Polstrada proprio non se ne vedono più; gli autovelox, (sempre che siano attivi e non siano un semplice spaventapasseri per automobilisti) , sono tarati su 90,100,110; velocità che loro non possono raggiungere. Per loro, per i giganti della strada, gli autovelox, considerata la tolleranza di 5 Km, di fatto non ci sono. Gli unici a rischio sanzione sono gli automobilisti.
Il combinato disposto di traffico intenso, camion sfreccianti e cantieri perenni determina una circolazione stressante, se non pericolosa.
Con il blocco e le code sempre in agguato, per riduzione delle corsie e per lo “scambio” (secondo la denominazione usata nella segnaletica) di carreggiata; che “scambio” poi non è non è ma soltanto cambio di carreggiata, per chi non può più proseguire su quella che stava percorrendo; gli altri, quelli dell’altra carreggiata, rimangono sulla loro -sia pure ridotta a corsia unica-e, quindi, non “cambiano” e neppure “scambiano” nulla. Prima o poi, nelle alte sfere, capiranno che non è scambio ma solo cambio di carreggiata e per un solo senso di circolazione.
I motivi dei lavori? Poco chiari perché spesso la Società concessionaria si limita a far sapere che si tratta di “lavori di manutenzione ed ammodernamento” e, nella nozione di ammodernamento, ben si possono ricomprender i semplici lavori di sostituzione delle lampade a luce gialla a vapori di sodio con quelle a luci bianche a led; sostituzione che forse non è assolutamente e che forse si poteva e si può (per quel che rimane) procrastinare ad un periodo successivo alla chiusura dei cantieri di manutenzione, questa sì urgente, dei viadotti e della volta delle gallerie. Meglio tenere le luci gialle (che funzionavano benone, forse anche meglio dei led bianchi, benché con consumi di un’unghia superiori) e limitare i disagi degli sventurati automobilisti. Speriamo che la frenesia del led sia messa in pausa per qualche tempo.
Si ha la netta sensazione che nessuno voglia affrontare di petto la situazione e fare tutto il possibile per regolamentare al meglio cantieri e circolazione.
E, soprattutto, sembra che nessuno voglia premurarsi di preservare bene nel tempo la nostra unica autostrada litoranea.
Ha una certa età, è una vecchietta la nostra A10 ed è quasi tutta galleria e, soprattutto, viadotti.
Deve durare, non deve fare la fine del ponte Morandi.
Deve durare e il più possibile; è un bene comune, prezioso ed insostituibile. Come l’aria che la circonda.
E alla stabilità dei viadotti ed alla qualità dell’aria -preziosa sempre, ma ancora di più in una zona che vive di turismo- non giovano certo gli autoarticolati, gli autotreni, gli autocarri e gli autobus lanciati a tutta velocità e con motori ed i tubi di scappamento a pieno regime, col massimo di sollecitazioni, vibrazioni, inquinamento acustico e dell’aria.
Veicoli, poi, come si è detto, provenienti anche, in gran parte e forse in prevalenza, dall’estero. Una valutazione questa che non si fonda su dati statistici ufficiali ma, semplicemente, sulla percezione visiva delle targhe.
Una soluzione per ridurre il traffico internazionale senza danneggiare quello nazionale andrebbe trovata.
Non possiamo più permetterci di fare i donatori di sangue, anche perché se l’autostrada collassa, qui o là, dovremo farne carico noi e non gli altri, che troveranno altri percorsi.
Ci sono vari strumenti, come, ad esempio, l’aumento dei pedaggi in A10 per tutti i veicoli pesanti e, contemporaneamente, il rimborso totale alle aziende di trasporto dei pedaggi pagati, mediante detrazione dalle imposte in sede de dichiarazione dei redditi; o maggiori bonus pedaggi per i transiti sulla A10.
Basta avere la determinazione sufficiente e non è egoismo meschino ma vero e proprio stato di necessità.
E’ necessario, oggi vitale -giova ripeterlo, per i sordi ed i “farfalloni” spensierati- limitare l’uso “pesante” dell’arteria; occorre ridurne il logorio disciplinando al meglio la circolazione e, per quanto possibile, demotivando il traffico pesante preveniente dall’ovest europeo e diretto nel Nord Europa (e in direzione opposta) che, per ridurre i tempi del lungo percorso, attraversa il nostro territorio a tutto gas, sottoponendo a sollecitazioni estreme le gracili ed ormai vetuste strutture della nostra autostrada.
Consentirne il passaggio senza limiti, a tutti, a la carte, come ora, è un lusso che non possiamo più permetterci; pena il rapido decadimento dei ponti e dei viadotti. E se un ponte o un viadotto crolla o “molla” la circolazione va in tilt, per tutti, a tempo indeterminato. Guai per noi, ma non per il traffico internazionale, che tornerebbe alle rotte naturali, a Nord delle Alpi.
Occorre, inoltre, nel superiore interesse pubblico, imporre a tutti i veicoli pesanti oltre le 12 tonnellate, ovunque, limiti di velocità ben più bassi, 60-70 Km/h ad esempio, ed il divieto assoluto, sempre, di sorpasso.
Occorre evitare che i bisonti viaggino in successione continua, come un lungo treno, imponendo loro distanze minime di almeno cento metri, per ridurre i pesi sui ponti ed il pericolo di collisioni per frenate brusche ed impreviste.
Tutto ciò a tutela della sicurezza del traffico, della salute pubblica e, in particolare, della stabilità dei ponti e dei viadotti. Minori velocità, divieto di sorpasso, maggiori distanze determinano minori sollecitazioni, minori vibrazioni e, quindi, vita più lunga delle strutture.
I limiti di velocità, poi, non devono restare sulla carta, anzi sui cartelli; devono essere controllati severamente, con autovelox dedicati in origine, se possibile, ai soli mezzi pesanti o con verifiche, ex post, su tutti i veicoli che hanno superato il limite previsto per i mezzi pesanti, escludendo dalla sanzione le autovetture. Non è difficile e, considerate la quantità delle violazioni e l’entità delle sanzioni, sarebbero molti i privati disposti a fare la cernita.
Come pure, attraverso pattuglie della Polstrada, vigilare sulla distanza minima tra i bisonti della strada, a tutela, come si è detto, delle strutture ed anche per ridurre il rischio di collisioni e dei danni conseguenti, quando vengono trasportati carichi di gas o di sostanze chimiche o esplosive. Non si può vivere sperando sempre nello stellone, nella buona sorte degli incoscienti.
Non ho pretesa di avere la competenza per dettare le leggi delle dodici tavole in autostrada, ma la vetusta Savona- Genova, in particolare, richiede attenzioni particolari e specifiche, con urgenza e con nuovi limiti permanenti.
Mi limito a formulare delle considerazioni da utente e a fare delle proposte, non so quanto valide ma certamente dettate dall’amore per la nostra preziosa arteria e per il nostro fragile e delicato territorio.
Non sono nemmeno tutte nuove ed originali. Qualcosa di simile -in tema di velocità massima e divieto di sorpasso e distanza minima- è già in vigore in alcuni tratti autostradali in Italia, come sull’autostrada del Brennero e in A1, A24 e A25.
Misure introdotte, altrove, anche recentemente. Occorre farlo anche sulla nostra autostrada. Se ce ne sono altre migliori ben vengano.
Di TIR usciti di strada e-o rovesciati per la velocità eccessiva ne abbiamo visti già troppi, con code infinite, in autostrada ed anche sulle strade attigue, dove si riversa il traffico autostradale in cerca di alternative. Tutto fermo, sopra e sotto l’autostrada. E nessuno rimborsa gli automobilisti che hanno visto sfumare lavoro, affari, impegni vari, programmi, incontri, visite ed esami medici, e via elencando, ovvero tutta la vita che corre in autostrada.
Che dire, infine, dell’assenza della corsia d’emergenza?
E’ davvero necessario avere tre corsie nel tratto Albisola- Prà. Qualcuno ha pensato a quel che avviene se un veicolo deve fermarsi perché in panne? Se tutto va bene, se non ci scappa il morto o il ferito, si forma una coda chilometrica, con stop e rallentamenti per decine e decine di minuti.
Meglio, per preservare l’arteria e viaggiare meglio e con maggior sicurezza, puntare ad un traffico magari più lento ma più fluido, meno caotico, più sicuro e con tempi di percorrenza più prevedibili.
Filippo Maffeo
(magistrato)
