Se uno volesse immaginarsi un luogo perfetto per restaurare spirito e corpo non potrebbe che sognare il pergolato del ristorante-trattoria Hotel Terme di Pigna, in comune di Castel Vittorio provincia di Imperia. Non facciamoci ingannare dal nome Hotel!
di Paolo Geraci
A Pigna si può arrivare dalla costa, passando per la bella Dolceacqua, già feudo doriesco, o dai monti scendendo dal passo Langan dopo aver percorso le sterrate (ormai quasi interamente asfaltate) costruite in secoli passati in cima ai monti (che qui sono Alpi Marittime-Liguri) per scopi di guerre. In moto quindi o in fuoristrada o in bici o con qualunque mezzo, ma non ci si passa per caso.
A proposito di Dolceacqua, vi dico una cosa che pochi sanno. Nel cuore antico e un po’ cadente del borgo, seminascosto tra i caruggi, sta un luogo sorprendente, il Visionarium. Mi ci ha portato l’amico macchinista ferroviere di cui so che viso abbia e come si chiami, Bruno, dalle radici felsinee e dalla straordinaria vivacità di testa. Dire che cosa sia il Visionarium non è facile. È certamente il frutto della fantasia e della costanza di un “matto” visionario a suo modo geniale che, in tempi preistorici rispetto alle attuali banali ordinarietà digitali, con la sua macchina fotografica a rullini, opportunamente dotata di doppi obbiettivi, scattava foto tridimensionali dei luoghi che visitava nel mondo vasto.

Con gli anni il suo patrimonio di immagini ha costituito un archivio ricchissimo e fantasioso che Eugenio Andrighetto – così si chiama il “geniomatto” – mette a disposizione dei curiosi che lo raggiungono – avendo prenotato – nel suo bunker di legno artigianale a gradoni scricchiolanti. Un piccolo obolo (pochi euro) per biglietto e via, concordato il soggetto e indossati gli occhiali stereo, si parte per un viaggio emozionante di immagini e di musiche. Si va dai paesaggi della Val Nervia alle distese di qualche deserto o dei ghiacci polari. Confesso di essere stato rapito. Alla faccia del mio supposto cinismo.
Torniamo a Pigna- È una località termale benedetta da un clima favorevole e da acque straordinarie.
Due agglomerati di case su due cocuzzoli adiacenti, entrambi suggestivi e sorprendenti dall’alto della montagna e dal basso della valle: Castel Vittorio, un po’ più in alto, e Pigna, un po’ più in basso, per posizione non per fama. Due campanili e un mucchio di case addossate le une all’altre a scosceso sulla valle. Nel fondo tra le due alture le terme, sul fiume Nervia, che dà nome all’intera vallata.
L’edificio termale – da anni tristemente chiuso – non è bello da vedere e sa di cure più che di gioie, ma sta piuttosto in disparte, sul versante sinistro delle acque e, sebbene imponente, si fa guardare soltanto se cercato. Lo sguardo infatti è più attratto dal bel nucleo di case che formano Pigna.
Su uno zoccolo verdissimo di parete della collina su cui riposa Castel Vittorio, ma proprio di fronte a Pigna – tanto che lo sguardo esclude il primo per abbracciare la seconda – si trova un poggio raggiungibile da un tornante di strada che parte dalla provinciale. Su quel poggio è ospitato un edificio direi anni Cinquanta, non piccolo ma neppure enorme, un albergo di antico decoro e di vetusta discrezione, con finestre che danno sul verde, sulle acque, sulle case. Tranquillo e quasi assonnato. Un po’ trasandato come gli abiti di classe dei signori di un tempo. Non ci sono tracce di nuovo, di rifatto o di parvenu. Davanti all’ingresso un piazzale sterrato incurantemente adibito a parcheggio per le auto dei clienti. Più in fuori, all’estremità del balcone, un pergolato che cinge la fascia di terra quasi fosse un orlo a merletto di una vecchia sottana della nonna.
Non grande, ombroso e ventilato. Sotto quell’ombra, in estate, si godono il fresco alcuni tavoli semplici semplicemente apparecchiati per la gioia di pochi raffinati buongustai di passaggio (in realtà confluiti deliberatamente in questo piccolo paradiso rustico dalla costa, dalla Francia o da chi sa dove).
Qui la raffinatezza del buongusto sta nella assoluta e ormai quasi introvabile semplicità nei modi e nella sostanza con cui vengono proposti i cibi e i “coperti”, cui non corrisponde – come purtroppo spesso accade nei posti cosiddetti semplici – una desolante incapacità di cucinare quando non si tratta di solenne imbroglio per gonzi di passaggio destinati – seppur gonzi – a non tornare.

Qui non c’è incertezza nella qualità del cibo. Qui si sa il fatto proprio, da sempre, o meglio da quando nel ’68 papà Silvio Lanteri (fattesi le ossa da Gino a Camporosso al Mare) aprì il “suo” albergo ristorante, aiutato in cucina prima da un cuoco poi dalla moglie Gloria Rossi, autodidatta, tuttora sulla breccia.
Da febbraio Silvio non c’è più, ma il suo sapere e i suoi modi composti e garbati sono rimasti in cucina e nell’aria, sotto i tralci del pergolato.
Qui si comprano le carni di Isolabona e i conigli di Apricale e le verdure soltanto dai contadini. I clienti lo sanno e tornano ogni stagione e ogni settimana o – come per anni il Fausto (Bertinotti, frequentatore di Dolceacqua) – appena possono.
I tavoli dunque, stanno lì apparecchiati con tovaglia bianca. E basta. Tutti occupati da famigliole o gruppi di amici, o coppie “non per caso”. Gente semplice anche se scodellata da cabrio teutoniche dai mille cilindri (che in questo contesto purificatore sorprendentemente appaiono sobrie ed eleganti), gente che sa conquistare uno spicchio di gioia con garbo e nonchalance.
Tutti accoglie con sicura consapevolezza di sé il figlio di Silvio, Claudio, ironico, rispettoso, curioso e riservato, attento e sollecito, presente ma non ingombrante nel fare la spola silenziosamente tra la casa e la pergola.
Lo affianca la sorella Laura (che come ogni donna domina sottotono la scena). Aiutano con destrezza alcuni giovani camerieri. Anni or sono l’anziano padre si riservava momenti di gloria porzionando al tavolo un cosciotto d’agnello cotto come si deve.
Ma non è il cosciotto l’oggetto del desiderio prevalente.

Qui si viene per assaggiare gli antipasti: i mitici previ (lattughe ripiene), i barbagiuai (ravioli di zucca fritti), la tometta di capra e il brussu di Pigna [tipico formaggio molle e piccante ricavato dal siero del latte di pecora o capra o dalla ricotta fermentata] con crostini caldi, le verdure ripiene alla ligure (fiori di zucca, peperoni, cipolle, zucchine).
Quindi le paste fresche: i pansotti alla ricotta con salsa di noci e pinoli preparati con ricetta della nonna genovese, i raviolini con u pessigu [che vuol dire “pizzico”, dunque tipo plin piemontese ma un po’ più grossi] di verdura e carne, le tagliatelle verdi agli spinaci o al ragù di coniglio, il pasticcio di lasagne al forno, la zuppa di maltagliati con i fagioli bianchi di Pigna e il Gran Pistau (minestra di grano e/o farro). Se ci sono, mi sento di consigliare i tortelli ai funghi porcini saltati con funghi, memorabili.
Poi agnello da latte alle erbe aromatiche cotto nel forno, costolette di agnello da latte alla griglia o impanate, coniglio alla ligure con salsa al vino Rossese e olive taggiasche (davvero ben fatto), bocconcini di cinghiale in salmì e polenta, stufato di capra e fagioli bianchi di Pigna. Mi fermo qui perché l’elenco noioso rischia di attenuare la gioia della scoperta e poi, comunque, lo trovate aggiornato in internet. In ogni caso per gli indecisi c’è la possibilità di un cosiddetto menu degustazione a 39 euro, bevande e dolci esclusi.
Qui è il vero lusso. Ne parleremo. Ora il tempo corre e ottobre sta avanzando, settimana dopo settimana. Trippa e stoccafisso stanno per arrivare.
Ma vi dico, care amiche e cari amici, andateci finché il tempo lo consente. Un mezzogiorno, direi. Il pergolato è magico. La meta meriterebbe una due-giorni per la bellezza dei dintorni di cui non dico.
Non condisco la segnalazione con svolazzi o voli pindarici ma soltanto con un ricordo molto privato, triste e dolce a un tempo. Dino, grecista di fama, scomparso giovane ben prima del Silvio, stava seduto al tavolo con me sotto il pergolato in un mezzogiorno di luglio di tanti anni fa. Io stesso, amico da sempre e confidente, nel vederlo osservare il piatto di ravioli appena affrontato con una timida forchettata, non capivo che cosa stesse per dire. Lui, segaligno, affilato e severo nei giudizi, non risparmiava nessuno e niente dalle sue perfide critiche. E tanto più i cibi cui si sottoponeva quasi con sdegno e diffidenza. Temevo il peggio. Dopo quasi un minuto – eterno – sentenziò: «Paolo, questi ravioli… sono i più buoni che abbia mai mangiato». Mi parse di ascoltare Mimnermo, anzi Anacreonte o qualche altro lirico greco, e la sua voce – quasi distico elegiaco – mi sollevò. Elogio della sostanza, sebbene qui sia di casa la poesia. Ci fu una risata liberatoria, ma ora una lacrima mi accompagna il ricordo.
Buon viaggio, in tutti i sensi.
Sì, questa meta “vale il viaggio”. La pneumoguida d’Oltralpe Michelin riserva questo criterio a ben altre mete, riservando alle Terme soltanto un onorevole Bib Gourmand. Ma per quelli come me che dei liguri amano la sostanza e anche la scorza ruvida, i Lanteri di Pigna sono davvero meritevoli non soltanto di una deviazione, ma di un viaggio. E dunque – diciamocelo – mi sento di condividere quel pizzico di malcelata polemica per cui il buon Raspelli amava chiamarla vezzosamente la “guida Nichelìn”.
Credo ci siano ancora poche camere per chi volesse avventurarsi la sera. Ma attenzione, si deve stare sotto il pergolato, se no meglio rimandare per la prossima primavera, o rassegnarsi – con gioia – a una cena autunnale al chiuso, ottima nella sostanza ma un po’ meno magica per il resto.
Buon viaggio Silvio, buon viaggio Dino. E buon viaggio a tutti voi che raggiungerete questo luogo paradisiaco.
Paolo Geraci
PS: Visionarium-Dolceacqua
Tel. +39 0184 206638
Ristorante Trattoria Hotel Terme
Castel Vittorio (IM)- Loc. Terme di Pigna – Madonna Assunta
https://www.ristoranteterme.com/it/
Tel. +39 0184 241046
Chiuso mercoledì (in autunno e inverno anche martedì sera)