Stefano Benni ci ha lasciati in settembre e ci piace ricordarlo – a rischio di essere banali – parlando della “sua” Luisona del Bar Sport, evocata dal “nostro” omonimo Bar Sport [di Cisano sul Neva].
di Paolo Geraci


Andate a rileggere l’esilarante pezzo sulla Luisona; lo si trova in rete (chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.aib.it/wp-content/uploads/2018/06/La-Luisona-x-BB.docx.pdf), se non avete a portata il libro di carta.
E, pensando alla Luisona, entriamo nel “nostro” Bar Sport, quello sul Neva, a Cisano, entroterra di Albenga. In data 11 maggio 2023, un arguto recensore di Tripadvisor lascia questo commento: «Titolo. Manca solo la Luisona. Svolgimento. Uno stanzone poco illuminato da tristi luci del tempo che fu. Servono una miriade di antipasti e primi ma tutti dimenticabili. Tra i dessert manca solo la mitica Luisona.»
Nell’agosto 2025 una coppia di solidi amici milanesi, reduci dall’esperienza di una cena, ne parlano quasi come di un incubo.
Ohibò! Personalmente non condivido la sbrigativa e lapidaria bocciatura del recensore di TA, pur apprezzando il geniale riferimento alla Luisona. Non me ne stupisco però, ritenendo TA una cloaca in cui confluiscono quasi senza controllo i residui buoni, ottimi e pessimi, delle esternazioni dei frequentatori di ogni sorta di luogo visitabile.
Utile come è utile – anzi indispensabile – una cloaca maxima per una civitate di milioni di abitanti. E, usando la metafora fino in fondo, tutti sanno che bagnarsi nelle acque troppo vicine a quelle reflue di una cloaca, è pericoloso; e abbeverarsene diventa rischioso fino all’azzardo, soprattutto in assenza di un depuratore o, di un sistema immunitario potente e allenato. E qui mi torna in mente – reminiscenza di studi classici! – il tentativo suicidale fantozziano di mangiare quattro chili di cozze crude da Gennaro o’ Vibrione (Fantozzi va in pensione, 1988)!
Ma invece il giudizio liquidatorio degli amici milanesi, sul cui gusto non ho dubbi (e che mai scriverebbero su TA), mi ha lasciato – questo sì – gravido di dubbi, incrinando alcune mie convinzioni.
Il Bar Sport di Cisano è – o forse è stato – “la trattoria” italiana, secondo lo stereotipo che tutti abbiamo in testa. L’estate di una trentina di anni fa un altro amico, sempre milanese, dall’aspetto sputato di Renato Pozzetto, antico frequentatore, per tradizione famigliare, di questo Ponente, in gara con me alla ricerca della trattoria dei sogni – quella che già allora, in questo Ponente, non c’era più – tornando da una cena a Cisano mi disse: “est, est, est, l’ho trovata”. E da allora me ne convinsi e, con me, feci convincere decine di amici o conoscenti, tutti contenti e grati della dritta.
Dunque non è certo un ristorante di lusso e neppure raffinato. È la trattoria della memoria, ma, in realtà, è relativamente giovane. Fondata nel 1982 da Giancarlo, fratello maggiore di tre (la mediana è la sorella), ha preso da subito l’impronta – studiata – della trattoria, probabilmente ispirandosi proprio al titolo del libro di Benni, uscito nel ’76 e, inconsapevolmente, al concetto di “tradizione inventata”, elaborato da Eric Hobsbawm e Terence Ranger nel 1983.
Giancarlo, detto Zorro, è un personaggio a metà tra Stefano Benni e Gilberto Govi, con baffoni, sorriso bonario e sguardo attento. Genovese purosangue, di Pegli, velista appassionato, grazie alla moglie cisanese, ha inventato e messo in piedi una impresa eccezionale. Diciamo che la sa lunga. Col nome della più iconica osteria d’Italia ha mantenuto nei decenni lo spirito originario: alta qualità, ferrea e intelligente organizzazione della cucina e delle proposte in carta.
Infine, sorprendente, prezzi bassi mantenuti tali dopo il passaggio lira-euro, con una qualità della cucina rara a trovarsi, non solo a questi prezzi. Qui si viene non per spendere poco ma per mangiare bene, trovando piatti della tradizione cucinati come si deve da cucinieri “di scuola” o quantomeno “di esperienza”.
Questo scrivevo – da qualche parte – in tempi non sospetti, prima che la rete imperversasse dilatando le pareti di ogni bar Sport all’universo mondo e concedendo a ogni “se-stesso-pensante” il privilegio di sparare alla platea cosmica il proprio pensiero. Sapendo che più la spari grossa più si accorgono della tua piccola esistenza. Che anzi – certe volte – ti replicano i pensieri ingigantendoli con il pantografo (pantografo? chi era costui?) virtuale e fanno a gara ad alzare il tiro fino agli scranni dei Supermegabarsport tra i palazzi ‘dde Roma.
Ma fermiamoci qui e voliamo basso, si parva licet componere magnis.
La casa sta a metà della strada del borgo. Dirimpetto ha una piazzetta dove, in estate, si estendono i tavoli della trattoria, da scegliere senza esitazione se disponibili. Un angusto dehors coperto prima dell’ingresso, quindi – come si conviene in un bar sport – l’ingresso con il bancone bar e, oltre una ulteriore porta aperta, una sala con tanti tavoli apparecchiati a quadretti (non è così ma uno se li immagina così), quasi sempre pieni di avventori e delle loro voci. In fondo una grande vetrata che dà sul Neva e sul verde della valletta. Idem a sinistra dove si apre una finestra sul medesimo verde. I tavoli più ambiti sono ovviamente quelli vicino alle finestre, ma ogni angolo è – a suo modo – piacevole… se non dispiace stare stretti.
In sala girano le donne di casa e i camerieri (chiamiamoli così?) dai modi spicci e collaudati. L’organizzazione è quasi perfetta. Poche attese e via: una lista scritta di proposte “banalmente” coerenti con le aspettative di questo Ponente, più di terra che di mare: antipasti, primi, secondi, dolci (l’elenco lo trovate – ovviamente – anche in rete). Fino a qualche anno fa c’era il pane alle olive (con i noccioli); ora è alle erbe “perché – sostiene Zorro ridacchiando – abbiamo pagato troppi denti spezzati, nonostante sul menu ci fosse l’avvertimento”. Famigliole con la vecchia nonna, figli o nipoti con i propri vecchi (clienti affezionati da decenni), coppie giovani e meno giovani con o senza bimbi, compagnie di amici, intellettuali, operai, impiegati, contadini, ricchi, poveri e via dicendo.
Alla fine si paga alla cassa dal baffone, sempre molto cortese e instancabile; i prezzi sono esposti all’ingresso e sono semplicissimi (tot per i primi, tot per i secondi, eccetera). Non si riesce mai a spendere più di venti euro a testa (a mezzogiorno anche meno). La sera il menu è più assortito e magari ci si concede qualche euro in più, se si esagera col vino. Una vera meraviglia che solo in Italia si può ancora trovare, sempre più raramente. E difatti è praticamente impossibile accedervi senza prenotazione, soprattutto nelle sere d’estate e, sempre, di sabato, con largo anticipo. Altrochè Luisona! Andrebbe tutelato dai Beni Culturali.
E allora perché i miei amici milanesi sono rimasti delusi? Belìn – diranno i pochi lettori ingauni o intemelli che seguono il Franco Tiratore – perché i sun milanesci! Lo escluderei e sarei più cauto. Ecco perché ho fatto un breve excursus sui giudizi della cloaca-tripadvisorica, oggi prima fonte informativa per la scelta di un ristorante; anzi, seconda dopo il passaparola dei consigliori di turno! Forse sapete che TA consente di assegnare da una a cinque palline come sintesi del giudizio che corrispondono a cinque livelli crescenti di qualità percepita: terribile, scarsa, media, buona, eccellente.
Nei quarant’anni di apertura del Bar Sport e nei venticinque di vita di TA, a partire dalla prima recensione TA-Bar Sport (5 ottobre 2010), i voti espressi sono meno di settecento, un’inezia assoluta, pari – direi – a meno dello 0,1% dei clienti. Di questo 0,1, circa l’85% comprende l’eccellente e il buono, circa il 6% lo scarso e il terribile. Tra questi ultimi (poche decine) sono facilmente identificabili gli stroncatori ad hoc (hanno per lo più un curriculum di poche recensioni, da una a venti), a volte chiaramente connotabili come keyboard warriors (i cosiddetti “leoni da tastiera”). Lo si intuisce anche dallo stile di scrittura per lo più puerile o elementare. Noioso sarebbe approfondire l’analisi antropologica o meglio sociologica dei recensori, ma certo anche i super-esaltatori vanno enumerati tra i poco affidabili, anch’essi caratterizzati da uno stile piuttosto basic. Comunque va constatato che il 99,9% dei clienti si astiene dal postare giudizi in rete, ma che il loro silenzio mediatico è sopraffatto dall’assordante rimbombo dei bambanauti. A ridatece i critici gastronomici alla Raspelli che stroncava o apprezzava, ma con una base di esperienza e di competenza estranea ai bamba di turno!
E allora, dunque? La mia impressione è che il Bar Sport, magistralmente condotto da Giancarlo Priano, detto Zorro, sia uno di quei luoghi in cui si slatentizza il meglio o il peggio delle persone, da entrambi i lati della barricata. Del resto ogni ristorante, in generale, è un palcoscenico dove si misurano educazione, status e capitale culturale per cui, secondo la sociologa Finkelstein, il fatto stesso di mangiar fuori contiene elementi di “inciviltà” (disagio, ansia, senso di inadeguatezza che sono le “inciviltà” della socialità pubblica).
Qui i motivi di insoddisfazione o di disagio possono essere tanti per i clienti: variabilità dell’ambiente, tavolate chiassose, cucina in difficoltà, personale di sala stanco o avventizio, piatti non al top del ciclo vitale o riusciti male in quel giorno particolare, eccetera eccetera. Io stesso ci sono cascato, qualche volta, sbagliando la scelta dal menu.
Se vuoi un posto tranquillo, devi andare altrove, ma se cerchi un posto sereno dove pranzare con poco e goderti un tuffo nel passato o meglio nella tradizione (anche se “inventata”), allora questo è il posto giusto. Se la seconda chance – e lo dico agli amici milanesi – fallirà ancora… avrete rimesso al massimo una quarantina di eurini a testa, in due cene. Direi che si può fare, ragazzi!
In conclusione ci soccorra il latino: vae bambanautis! (piedi di bambanauti!)
Buon vento per i prossimi quaranta, caro Zorro!
Paolo Geraci
Ristorante Bar Sport- Via Alessandro Colombo- Cisano sul Neva (SV)- Tel. 0182 595323- Chiuso lunedì
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Comunicato stampa- Un ringraziamento da parte di tutta la comunità cisanese: “per aver guidato con amore, passione e competenza, generazioni di bambini nel loro cammino di crescita e di apprendimento. Le sue qualità umane e professionali riconosciute e apprezzate da colleghi, alunni e famiglie sono state un valore irrinunciabile e un punto di riferimento per tutta la comunità. In segno di profonda gratitudine per i 31 anni di servizio esempio di dedizione e di instancabile impegno. Grazie Maestra”.