La Liguria è terra di pescatori ed esploratori, santi e corsari, bestie incantate e polpi campanari.
di Gianfranco Barcella
Tra i flutti del mare, gli scogli, le montagne ed i piccoli borghi di questa regione che ancora ci dona l’incanto della bellezza si sono create storie incredibili e talvolta misteriose. Chi non le ama! Magari raccontate d’inverno, davanti al caminetto, proprio come si faceva un tempo, creano ancora oggi un’atmosfera unica. E’ un patrimonio, da conoscere e tramandare nella stessa lingua d’origine.
Cito per tutte l’espressione a <Fòura do bestentu>. L’espressione è legata al carattere di alcune favole popolari, senza capo né coda, che non finivano mai e che sembravano fatte apposta per far addormentare i bambini. “A foura d’o bestentu ch’a dura longi tempu”. Questo assioma, con il tempo ha finito per indicare non più soltanto la favola vera e propria ma verrà riferita aa fatti p vicende della vita individuale e sociale. Favole del bistento potevano anche essere definite le liti interminabili e le relative cause giudiziarie o i lavori pubblici o privati di cui non si arrivava alla fine. Secondo alcuni linguisti, la parola è presente nel nizzardo con le forme bestent e estent che danno il senso dell’esitazione, del ritardo, dell’andare per le lunghe.
Quella del drago di San Fruttuoso è probabilmente <la leggenda ligure più famosa>. Gli elementi per renderla memorabile ci sono tutti: santi, angeli ed anche un drago! Secondo questa leggenda tantissimi anni fa, la stupenda baia dove oggi sorge l’abbazia di San Fruttuoso venne scelta come dimora da un terribile drago. Il mostro era così terribile e feroce da uccidere e divorare chiunque provasse a passare per quei luoghi incantati. Le barche quindi iniziarono quindi a evitare la baia ce divenne sempre più isolata. Un giorno, poco dopo la morte di San Fruttuoso, un angelo comparve davanti a Giustino e Procopio, due ex seguaci del martire. L’angelo disse loro che gli avrebbe condotti in un luogo bellissimo per costruire una chiesa in memoria del santo. Accompagnati dall’angelo, i due amici giunsero nella baia abitata dal drago. Iniziò allora una spaventosa battaglia tra il frago ed il santo.
Accompagnati dall’angelo, i due amici giunsero nella baia abitata dal drago. Iniziò allora una spaventosa battaglia tra il drago ed il santo. Il drago ferito dalla spada dell’angelo alzò enormi cavalloni d’acqua ma infine venne sconfitto. Così venne eretta la chiesa di San Fruttuoso divenuta oggi una magnifica Abbazia, conosciuta in tutto il mondo.
Secondo un’altra versione della leggenda, fu San Fruttuoso in persona a comparire in sogno ai suoi compagni. Il santo disse loro di cercare un luogo riconoscibile per tre segni: la presenza di un drago, di una fonte d’acqua e di una caverna. Anche questa leggenda contiene un fondo di verità. Sia la fonte d’acqua, sia la caverna sono elementi reali, presenti nella baia. Inoltre, ai tempi di San Fruttuoso la gente credeva davvero che la baia fosse abitata da un drago!
Tutta colpa dei marinai che si erano inventati questa storia per tenere le altre navi lontane dalla preziosa fonte d’acqua. Anche la leggenda che riguarda Tellaro merita di essere ricordata. Siamo nel 1660. Tellaro è un piccolo borgo di mare, costruito principalmente per difendere e proteggerei paesi dell’entroterra , ricchi per l’abbondante produzione di’olio, dagli attacchi dei pirati. A favorire la difesa, oltre alle rocce scoscese che circondano il borgo cìè anche il campanile della chiesa San Giorgio, posto su un promontorio a picco sul mare. Su questo campanile è sempre presente una vedetta, pronta a dare l’allarme in caso di pericolo. E’ una notte di vento e di pioggia. “Chi mai potrebbe mettersi in mare con questo tempaccio?”, pensa la sentinella, decidendo quindi di concedersi un riposino. Ovviamente i Saraceni sono invece pronti ad attaccare. La sentinella dunque, dorme tranquilla, mentre i pirati si avvicinano minacciosi. Eppure le campane iniziano comunque a suonare
Le favole liguri ci portano al discorso dei dialetti liguri con i quali principalmente venivano narrate dai nonni. I dialetti liguri nella loro ricchezza linguistica e lessicografica hanno coperto l’intero territorio della Liguria, caratterizzato soprattutto da solchi vallivi e crinali montani, legati come in un incanto di natura dalla fascia costiera.
I caratteri della lingua ligure e delle favole di Liguria si riscontrano in aree piemontesi meridionali (Alta val Tanaro, parte del Monregalese e della val Bormida, retroterra dei centri storicamente genovesi da Ovada, Gavi e Novi Ligure in provincia di Alessandria), e in Emilia (valli piacentine con Ottone, parmensi con Bedonia e Compiano). A est i tratti ligur digradano intorno a Sarzana nel tipo lunigianese, diffuso nella regione storica comprendente gran parte della provincia di Massa , e caratterizzato da tratti comuni soprattutto con l’emiliano; a Ovest sono ancora liguri la val Roia,oggi in territorio francese (Briga, Tenda e Breglio) e il principato di Monaco; la parlata di Mentone ha caratteri di transizione verso il dialetto nizzardo.
I raccontatori di favole come i poeti hanno avuto un grande ruolo nella storia dell’umanità, Sono quelli che hanno indicato la strada del bene ai fanciulli, la meta principe della vita, quelli che hanno indicato la luce della luna e non solo quella del sole, quelli che ci han fatto sentire che abbiamo un’altra dimensione a parte quella della materia. Con le favole si è insegnato sin da piccoli ad essere pià umani. E difatti hanno un trascorso millenario.
Se volgiamo invece lo sguardo a ritroso, scorgiamo che l’origine della favola come genere lettario sono legate alla figura, in parte leggendaria di Esopo. Originario dell’Asia Minore, forse schiavo, Esopo è nell’immaginario antico il sistematore di un grande patrimonio di favole tramandate oralmente, alcune di origine orientale. In particolare, le prime attestazioni risalgono alle civiltà mesopotamiche, egizie ed indiane ma Esopo nel VI secolo a.C resta il suo primo grande sistematore e divulgatore.
Le favole di Esopo, in seguito riprese e rielaborate da autori come Fedro, hanno definito il canone del genere letterario, con un focus sull’insegnamento morale. Dal mondo germanico medioevale ci sono pervenuti racconti con una forte componete magica. In genere sono storie che vengono da lontano in cui non ci sono i grandi protagonisti del mito e della leggenda;in queste storie contano i caratteri dei protagonisti che son quasi sempre uguali, da storia a storia Neppure i nomi dei personaggi a volte sono presenti.
Si narra della strega cattiva, il principe azzurro, il vecchio pescatore, il cane fedele che rimangono nella memoria proprio per la loro semplicità. Ci sono i buoni ed i cattivi, i furbi e gli sciocchi, i vecchi ed i giovani, i belli ed i brutti, gli umili ed i potenti. E soprattutto c’è chi vince e chi perde e quasi sempre sono i buoni a trionfare.
La favola, deriva dalla parola latina fabula che indica semplicemente <un racconto> in sintesi, è un genere letterario caratterizzato da brevi composizioni, in prosa od in versi, che hanno per protagonisti di solito animali, più raramente piante o oggetti inanimati e che sono fornite di una <morale> a differenza della fiaba. Generalmente la favola ha sempre una morale, ovvero un insegnamento o una verità pratica che l’autore vuole trasmettere al lettore. Essenzialmente è un breve racconto spesso con protagonisti animali che agiscono come esseri umani e mira ad educare il lettore presentando comportamenti virtuosi da seguire e vizi da evitare. Sono storie che paiono pedute nel tempo.
La morale è quindi uno degli strumenti fondamentali che differenziano la favola dalla fiaba, dove la morale può essere presente ma non sempre centrale nella narrazione. A volte non è neanche esplicita ma si deve dedurre dalla storia. Io mi sono ispirato alla tradizione della favola classica se così si può dire: Ne riporto due da mecomposta, e lascio al lettore l’ardua sentenza.
LA BASTARDINA- Vi devo narrare la storia un po’ strana di una cagnolina di nome Lilli curiosa e indipendente che viveva in una bellissima casa di campagna. Aveva un pedigree blasonato ed era consapevole della sua origine signorile, ostentando buone maniere soprattutto verso la piccolina di casa, di nome Luisella . Tutti la amavano in famiglia e lei era lieta di ricambiare con mille attenzioni, un trattamento da piccola regina Nel giardino aveva la sua casettina sempre ricolma di leccornie, una ciotola per l’acqua ed anche un vasino per la popò. Un bel giorno, fuori dal cancello della villa, si presentò un piccolo randagio, un bastardino così piccolo e affamato che Luisella lo battezzò, subito, Briciola. Chiedeva con lo sguardo solo d’essere adottato per avere almeno un pasto al giorno e qualche coccola sul pelo sempre inzaccherato. <Tutti hanno il diritto a questo mondo, ad un poco di felicità, ma a quasi tutti è stato negato; a me resta una vita da randagio senza neppure un’identità>. Luisella lo condusse in casa e il padre la rimproverò con tono accigliato: “Lascia fuori dalla porta quell’ammasso di pulci che ci porterà solo sventure e malattie. Non devi lasciarti impietosire da tutti coloro che chiedono aiuto per le vie della città”. “Ma papà, lo vedi quant’è buono e infreddolito. Che cosa ti costa fargli un po’ di bene? Fallo per me, ti prego!”. Il papà abbandonò il tono burbero e imperioso e lo accolse seppur con lo sguardo un po’ riottoso. Fece subito amicizia con Lilli che dapprima lo annusò e poi scodinzolò di gioia. Finalmente aveva trovato un compagno con cui conversare! E venne il giorno che la famiglia decise di partire per un lungo viaggio ma decisero di lasciare Briciola a casa per tenere compagnia all’anziana nonna che lo guardava sempre con una certa diffidenza perché non aveva una nobile ascendenza. Una notte l’anziana signora, forse per una sbadataggine, dovuta all’età, lasciò aperto il rubinetto del gas, in cucina. Sarebbe morta se Briciola non si fosse allertato e correndo verso la casa dei vicini non smise di abbaiare finché li attirò verso il luogo della tragedia imminente. Arrivarono subito i pompieri e l’ambulanza. Alla donna furono sufficienti pochi giorni d’ospedale per riprendere a respirare, ma uscì anche con l’anima più bella. Baciò sul musino, Briciola, e da quel giorno lo chiamò <Stella>.
L’APE LABORIOSA- C’era una volta un’ ape operaia, molto laboriosa, che era orgogliosa di lavorare per la sua regina. Si alzava ogni mattina di bel bello, e iniziava a ronzare per il cielo, senza posa, ricercando i fiori dalla corolla più bella. Era contenta di quel volo perché lo faceva per amore. Quel dovere era per lei un piacere e si rammaricava di non portare a compimento quello che aveva programmato nel suo intento giornaliero. Un bel giorno di Primavera si era appena allontanata dal suo alveare piena di meraviglia per la Natura che si stava risvegliando dal letargo invernale e si ammantava di bellezza con il colore dei fiori. In tanto fulgore scorse uno stelo chinato verso la terra che non voleva orientare il suo capino verso il sole. Essendo molta curiosa volle sapere il perché di una condotta così strana. Abbandonò la rotta del cielo, si posò lievemente su di lui e gli sussurrò: “Perché non fai come i tuoi vicini, come bambini obbedienti alla mamma?” “Che senso ha -rispose il fiore- fare tanta fatica per durare un giorno e poi crollare a terra. E’ come combattere una guerra già perduta in partenza. Mi rifiuto di accettare la sofferenza, per dipendenza ad un dovere che giova solo alla terra”. “Ti prego fammi vedere il tuo grande occhio giallo, circondato dal tante ciglia colorate. Ciascuno deve svolgere il suo compito naturale per il bene di tutti. A volte ci appare come un sacrificio ma pensa ai dolci frutti che potrai donare … Io potrò ancora trovare polline e nettare. Devo caricare il polline sulle zampe posteriori e il nettare nella borsina apposita dove lo arricchisco di acidi ed enzimi per poi depositarlo nei favi con la forma di una pallottolina . E così diventa il miele, tanto utile per curare la gola infiammata dei bambini. E pensa che io sono già anziana e tutti i giorni, volando di fiore in fiore rischio di incontrare pericolosi predatori. Per succhiare il nettare, come un delizioso sciroppo liquido, devo usare un tubicino con il quale ricolmo il mio borsino. Quest’anno poi, le nuvole in cielo ci hanno donato poca acqua e con le mie colleghe operaie abbiamo avuto difficoltà a colmare tutte le cellette con il miele ed a sigillarle. E c’è di più: se i miei cestelli resteranno vuoti non potrò nutrire i piccoli delle api operaie e moriranno di fame”.
Appena terminate quelle parole, l’ape chinò il capo e giunse le alucce come per pregare. E lo stelo del fiore risalì la china dell’amore per la vita anche se per poche ore. Aprì la sua corolla al sole perché questo era il suo compito: accogliere un raggio di luce nel suo cuore che illuminasse anche il buio che lo attendeva alla fine delle sue ore. Era nato per un’eterna primavera e non gli importava che dovesse inchinarsi al volere della prima sera.
Gianfranco Barcella