Il 17 maggio 1985 muore Eso Peluzzi. Ha lavorato due volte agli affreschi della Sala Consiliare del Comune di Savona.
di Ezio Marinoni

Eso Peluzzi muore a Monchiero (CN) il 17 maggio 1985, dove è sepolto; egli è stato un pittore di ispirazione divisionista, nel magma dei movimenti artistici nel Novecento. Era nato a Cairo Montenotte il 7 gennaio 1894: figlio del liutaio Giuseppe Luigi e di Placidia Rodino, fotografa professionista.
Studia all’Accademia Albertina di Torino, allievo di Paolo Gaidano e di Giacomo Grosso. Nel 1919 si trasferisce nella frazione di Santuario, presso Savona. Tre anni dopo esordisce con una mostra personale alla Società Promotrice di Belle Arti di Torino; nel 1923 partecipa alla VII Esposizione autunnale d’arte di Como.
A partire dagli Anni Venti, soggiorna spesso a Montechiaro d’Acqui (AL), dove trova ispirazione per ritratti di personaggi del luogo e vedute panoramiche, riadattando la realtà alla sua fantasia; alcuni suoi disegni sono stati presi a modello dagli amministratori di Montechiaro per la creazione di nuovi arredi urbani.
Dal 1926 al 1948 partecipa alle Biennali veneziane, alle Quadriennali a Roma e alle mostre italiane di Baltimora, Berlino, Amburgo, Vienna, Lipsia, Budapest e Parigi. Sue opere sono presenti nelle Gallerie d’arte moderna di Genova, Firenze, Torino, Roma, oltre che nei musei di Belgrado e di Budapest.
Tra il 1936 e il 1938 lavora alle pareti della Sala Consiliare del Comune di Savona, insieme al pittore Mario Gambetta (Roma, 4 gennaio 1886 – Albissola Marina, 28 marzo 1968), dove dipinge alcuni affreschi raffiguranti la storia della città.
La città di Savona, come ricompensa, lo insignisce della cittadinanza onoraria nel 1971, con la seguente motivazione: «Eso Peluzzi interprete genuino nell’arte della terra e delle genti savonesi» (deliberazione del Consiglio Comunale n. 1 del 24 gennaio 1971).
Nel 2008 viene inaugurata una sala espositiva permanente a lui dedicata all’interno dell’Antico Ospizio del Santuario; la sala oggi fa parte del percorso museale all’interno del Santuario.
A Peluzzi è stato dedicato un breve saggio monografico di Daniela Piazza nel volume XXIX degli Atti e memorie della Società di Storia Patria Savonese, dal titolo “La decorazione del Palazzo Comunale di Savona” (1993, p. 187 – 198), con una precisa ricostruzione della storia degli affreschi. Nel saggio leggiamo:
«Per il salone centrale, già nel settembre 1932 Gambetta e Peluzzi avevano presentato un progetto di massima che prevedeva la decorazione di tutte le pareti, fino allo zoccolo. Questo fu il progetto esaminato dall’allora Sovrintendente alle Belle Arti di Genova, il critico Ugo Nebbia, interpellato per una prima valutazione. In una comunicazione del 17 febbraio 1933 egli dà un parere positivo sui bozzetti esaminati, invitando però i pittori a rivedere gli episodi relativi all’età fascista, trattandoli in modo «più opportuno» (!).
(…) Il progetto iniziale fu in un secondo tempo modificato, limitando la decorazione di tre pareti ad un solo fregio nella parte alta.
(…) Il contratto definitivo viene stipulato il 20 agosto 1934 e reso esecutivo dalla Prefettura il 29 dello stesso mese. Nel gennaio 1935 Peluzzi e Gambetta sono incaricati anche di eseguire due quadri ad olio rappresentanti rispettivamente il Re e il Duce, sempre per il Palazzo municipale, per il compenso di lire 5000.
(…) Da destra a sinistra sono rappresentati un tempio romano, una ricostruzione della città medievale sul colle del Priamar, il porto popolato di velieri (la navigazione), alcune ciminiere fumanti (l’industria), e la facciata di un monumentale palazzo nel nuovo stile classicheggiante dell’era fascista che avrà la sua consacrazione soprattutto negli edifici dell’E 42: frontone retto da pilastri quadrati privi di basi e capitelli, rivestimenti marmorei, fasci come unica decorazione, lo stesso stile, tra realismo archeologico e reinvenzione “metafisica”, che caratterizza gli edifici sullo sfondo della scena che ha come protagonista Giulio II animatore delle arti.
(…) Tornando al fregio, notevole è, nell’episodio dell’omaggio al papa, le maestria ritrattistica con cui sono resi i personaggi che lo avvicinano. L’ispirazione antiretorica del fregio è evidenziata dalla centralità attribuita all’episodio di religiosità popolare dell’apparizione della Madonna della Misericordia, un soggetto particolarmente caro a Peluzzi, che viveva a Santuario e che aveva già affrescato questa stessa scena sulla Torre del Brandale. L’iconografia segue quella tradizionale familiare ai savonesi, ma al Beato Botta si affiancano altri personaggi popolani e, soprattutto, la Madonna non è coronata: sulla maestà prevale l’umanità. La parte finale del fregio, con gli episodi relativi al periodo fascista, è stata pesantemente danneggiata e in parte distrutta nell’ultimo conflitto (quasi un segno del destino!).
Nel 1972 il ciclo venne ricompletato dall’ormai quasi ottantenne Peluzzi con l’aiuto del nipote Claudio Bonichi, sempre utilizzando la tecnica del buon fresco. I nuovi episodi, carichi di intensità drammatica e di sofferta partecipazione, sono notevolmente diversi dai precedenti: niente più stilizzazione, niente più primitivismi, ma un’esigenza di realismo, di partecipazione stringente alla tragedia di un’umanità umiliata ma sempre dignitosa nella sua volontà di reagire e di ricostruire dalle macerie. I richiami colti (in particolare alla Cappella di S. Brizio del Signorelli), sono totalmente rivissuti nell’urgenza dell’intima adesione ai fatti rappresentati.»
La pittura di Peluzzi del 1972 ci riporta alle guerre e alla Resistenza, con la raffigurazione di quattro episodi compresi tra la fine del primo conflitto mondiale e il 1945.
Il primo ritrae i “naufraghi” sopravvissuti di Vittorio Veneto, con i disordini del dopoguerra e il fascismo rappresentato da uno spazio vuoto e tenebroso; il secondo frammento è la fucilazione di sette savonesi al forte della Madonna degli Angeli. In un doloroso “Natale di sangue”; il terzo brano è la città bombardata con le sue vittime, in gran parte civili inermi; l’ultimo inserto comprende l’abbraccio di una famiglia in mezzo alle rovine, il ritorno dei prigionieri e, messaggio di speranza, una nave in costruzione.
A proposito dell’opera finale di Peluzzi, Silvia Bottaro, sul numero 130 di “Quaderni Savonesi”, scrive: «La coscienza civile con cui Eso Peluzzi ha saputo riprendere tali tematiche è legata strettamente al fatto che il Pittore ha conosciuto il mostro della guerra poiché da lui vissuto (sarà proprio la riflessione sul suo essere stato militare nella prima guerra mondiale a portarlo al Santuario di Savona per ritrovare sé ed il senso della vita), così esegue le immagini con intima e vera partecipazione: “Il sogno è sobrio, spoglio, ma al tempo stesso è un segno vivo, forte di intima verità, di una persuasiva emozione” (Mario De Micheli).»
La sua poetica delle immagini e dei colori è stata così riassunta dal giornalista e scrittore Giovanni Arpino: «L’uomo Peluzzi che parla con appuntite memorie, che non racconta mai di sé ma degli sconquassi del mondo, risibili o amari, fragorosi o polverosi, è tutto nei dipinti».
Silvia Bottaro conclude così il suo citato scritto: «(…) nei suoi lavori, in generale, ed in questo grandioso affresco della sala Consiliare del Comune di Savona si può trovare il ritmo del racconto, gli slanci delle figure, l’anelito spirituale che dà nuova speranza e linfa alle gesta dei Savonesi e non solo.»
I suoi affreschi, ai quali ha lavorato due volte a distanza di quasi quarant’anni l’una dall’altra, permettono di respirare la storia della città e il suo eterno anelito alla libertà, al progresso, e alla giustizia sociale, che si potrebbe raccontare con tanti fatti e personaggi del suo lungo e fecondo, operoso e travagliato passato.
Ezio Marinoni
2/Ricordo di Renzo Aiolfi- il 17 maggio 2025 nella Sala Rossa del Comune di Savona- con interventi di Silvia Bottaro, Giuseppe Milazzo e Ferdinando Molteni e proiezioni di diapositive sui grandi personaggi dello spettacolo che hanno recitato o cantato al Teatro Chiabrera.
Nel 2003 è nata l’Associazione culturale e del paesaggio “Renzo Aiolfi”, no profit, Savona che ha voluto, in tal modo, ricordare l’uomo, il direttore, lo storico, il “savonese” Aiolfi che dal secondo dopoguerra al 1980 è stato un vero e importante protagonista della cultura a Savona riaprendo il civico Teatro Chiabrera, divenendo direttore, e la civica Pinacoteca e Museo nella storica sede di Palazzo Pozzobonello. La Città di Savona deve molto all’estro, alla professionalità innovativa di Renzo Aiolfi che, salvò le principali collezioni del Museo/Pinacoteca dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, poi riaprì la civica Pinacoteca nel 1975 e, successivamente inaugurò la Sala Ceramica (antesignana all’attuale collezione ceramica di Savona), riaprì il civico Teatro Chiabrera con l’innovazione, anche, di portare il Mondo della Scuola al Teatro. Realizzò indimenticabili estati al Priamar con festival folcloristici mondiali, fece mai più ripetute iniziative jazz a Monturbano, scrisse da vero storico (fatto riconosciuto da tutti) importanti libri come “Savona nel Risorgimento” e “L’affondamento del Transylvania”, per citarne alcuni. Attore, tenore, fine dicitore della Divina Commedia, ceramista, pittore, ciclista dilettante al Giro d’Italia, Assessore del Comune di Savona alla Cultura e alle Belle Arti fino al 1956, artefice di ritrovamenti di vari siti archeologici del Priamar. Grande cuoco, anche a domicilio, e degustatore, soprattutto di ricette liguri avendo collaborato col ristoratore savonese Ferrer. Uomo curioso, dal carattere forte e, a volte, difficile, innamorato di Savona e dei Giovani.