Piaggio Aerospace passa sotto il controllo del gruppo turco Baykar specializzato nello sviluppo e costruzione di droni militari autonomi.
di Franco Astengo (Associazione “Il Rosso non è il Nero”).
Dopo sei anni di amministrazione straordinaria ieri il Ministero (di cui ci rifiutiamo di trascrivere la denominazione “delle imprese e del made in Italy”) ha autorizzato la cessione di tutte la attività del gruppo Aerospace a Baykar, azienda presieduta da Seculk Bayraktar, genero di Erodgan, di cui fu testimone di nozze Silvio Berlusconi.
Premesso che – come scrive oggi il Corriere della Sera – Baykar, fondata nel 1984, ha reso la Turchia un attore centrale nell’industria dei droni militari, capace di conquistare due terzi del mercato mondiale anche grazie ai controlli meno severi sull’export : rispetto ai paesi occidentali e agli altri membri della NATO (nel cui ambito la Turchia dispone del secondo esercito per dimensioni e armamento subito alle spalle di quello USA) il governo di Ankara, infatti, pone meno restrizioni normative etiche e finanziarie agli acquirenti delle armi prodotte sul suo territorio.
Si pongono così alla nostra attenzione almeno tre questioni dirimenti:
1) La vocazione bellica. I droni da guerra Tita sono venduti a 33 paesi, fra cui Nigeria, Etiopia e Qatar e recentemente è stato stipulato un accordo con l’Arabia Saudita per un importo da 3 miliardi di dollari. I droni Tita costano meno dei rivali occidentali e si sono rivelati molto efficaci sul campo di battaglia, impiegati – ad esempio – dall’Azerbaigian nella seconda guerra del Nagorno – Karabah contro l’Armenia, dall’Ucraina nella guerra in corso e dallo stesso esercito turco e dai suoi alleati nelle guerre civili di Siria e Libia. In sostanza Baykar rappresenta uno strumento della politica internazionale della Turchia che – in questo momento – ha tutto l’interesse a tenere in bilico la situazione nell’area nevralgica medio-orientale e africana anche per ragioni di carattere commerciale;
2) La questione tecnologica. Andranno verificate le prime dichiarazioni dei dirigenti turchi sul “preservare l’identità storica di Piaggio”. Non è questione semplicemente di richiedere – come stanno facendo i sindacati – chiarezza sugli eventuali piani industriali. Il punto risiede sullo sviluppo della capacità tecnologica dello stabilimento Aerospece in rapporto al tipo di produzione che sarà sviluppato: ristrutturazione delle linee, sedi di elaborazione dello sviluppo tecnologico. Sono questi i nodi del tipo di sviluppo produttivo che si intende perseguire da cui dipendono – ovviamente – i livelli occupazionali. Senza contare come si presenti un problema di indotto e di eventuale adattamento;
3) Il tema territoriale. Non si ha notizia di intervento, in questa delicata trattativa, da parte della Regione Liguria. Va ricordato che lo stabilimento Piaggio Aerospace di Villanova d’Albenga assieme ad Alston di Vado Ligure (trazione ferroviaria) risulta essere uno degli ultimi baluardi della presenza industriale nella provincia di Savona, la più anziana d’Italia, 69° posto nella classifica della vivibilità stilata del “Sole 24Ore” e 94a rispetto al tema del lavoro. Appare fin troppo evidente che siamo ad un delicatissimo passaggio nella stessa prospettiva economica e produttiva della provincia di Savona: un passaggio che (considerati anche i ritardi accumulati con la debolezza dimostrata dal progetto di crisi industriale complessa che ha lasciato in sospeso il tema della reindustrializzazione della Val Bormida e del Vadese) potrebbe anche rappresentare un momento di definitiva cesura in una prospettiva di recupero industriale necessario per far sì che la provincia di Savona non sprofondi definitivamente in logiche di servizio speculativo, corporativo, di “lavoro povero”.
Franco Astengo (Associazione “Il Rosso non è il Nero”)
2/ARMI E INDUSTRIA
di Franco Astengo
All’interno di un quadro complessivo di costante calo di produttività nel settore manifatturiero verifichiamo l’evidenziarsi di una torsione rivolta all’incremento dell’industria bellica e, nello specifico, di cessione di aziende verso proprietà di Paesi impegnati – direttamente o indirettamente – negli scenari di guerra in atto in situazioni nevralgiche dello scacchiere internazionale (Ucraina, Medio Oriente, Africa): è il caso della cessione di Piaggio Aerospace ai turchi , legati direttamente alla geopolitica del governo Erdogan, e costruttori principalmente di mezzi aerei (droni, aerei senza pilota) destinati a svolgere compiti offensivi.
La Liguria con Villanova d’Albenga, Genova, La Spezia si trova in primo piano rispetto a questo tipo di situazione che potrebbe presentare anche rischi proprio sul piano più specificatamente militare.
E’ il caso di riflettere un attimo sulla situazione dell’industria militare in Italia.
Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata alle compagnie Usa, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana.
La prima cosa che balza agli occhi è, infatti, il grado di concentrazione del fatturato dell’industria militare in poche aziende e la posizione dominante di Leonardo (ex Finmeccanica) in campo aeronautico, elettronico e degli armamenti terrestri, e di Fincantieri nella costruzione navale. Si tratta di due grandi imprese multinazionali (13° e 46° posto nella classifica SIPRI delle prime 100 aziende per fatturato militare) in cui lo Stato ha mantenuto una quota di controllo. I loro ricavi nelle produzioni militari (2022) raggiungono i 15,3 miliardi di dollari Usa, pari al 12% del giro d’affari del settore in Europa e a circa il 2,6% di quello mondiale. In Italia, concentrano insieme intorno all’80% del fatturato dell’industria militare. Una parte importante di questo fatturato è realizzato all’estero: per Leonardo in Usa, Regno Unito, Polonia e Israele, per Fincantieri in Usa.
Leonardo a livello globale ha 51.391 occupati (2022) distribuiti il 63% in Italia, il 15% nel Regno Unito, il 14% negli Usa, lo 0,5% in Israele e il 2,5% nel resto del mondo. Il gruppo è attualmente organizzato su otto aree di attività: elettronica, elicotteri, aerei, cyber & security, spazio, droni, aero-strutture, automazione. Ha una posizione di forza internazionale nel comparto elicotteri e nell’elettronica per la difesa; mentre in campo aeronautico opera principalmente come sub-fornitore di primo livello per i grandi produttori di aerei militari degli Stati Uniti. Il gruppo è ancora attivo nella produzione di armamenti navali e terrestri (ex-Oto Melara e consorzio con Iveco DV) e nel comparto navale subacqueo (ex-Wass).
Fincantieri ha mantenuto la continuità con la storica azienda a partecipazione statale con il controllo dei maggiori cantieri navali del Paese. È la maggiore impresa occidentale di costruzioni navali, ha una forte attività nelle navi da crociera, ma tra il 2022 e il 2023 ha aumentato la quota di produzioni di navi da guerra dal 20 al 36% del fatturato totale, con 2.820 milioni di dollari di fatturato militare nel 2022, arrivando al 46° posto nella classifica SIPRI delle 100 maggiori imprese militari.
Un settore in espansione internazionale è quello delle attività subacquee e, in questo ambito, Fincantieri è parte con Leonardo del polo nazionale guidato dalla Marina Militare Italiana a Spezia. Il settore della subacquea non significa solo sommergibili, ma anche esplorazione dei fondali e monitoraggio-sicurezza dei cavidotti e delle infrastrutture energetiche e di telecomunicazione sottomarine. Questo spiega l’ acquisizione della Remazel Engineering, un’azienda ingegneristica con esperienza nei gasdotti e oleodotti sottomarini.
Le scelte di politica industriale dei diversi governi e le strategie produttive di Leonardo e degli altri protagonisti del settore hanno portato a più alte quotazioni di Borsa e a maggiori dividendi per gli azionisti, ma fanno delle produzioni militari un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. In Italia come in Europa, un allargamento del “complesso militare industriale” non fa che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti, mentre il governo di destra oscilla privo di un qualsiasi riferimento di politica estera che non sia quello di un richiamato antistorico ad una sorta di “interventismo di ritorno” contrabbandato come interesse nazionale.
In questo senso il passaggio di Piaggio Aerospace ai turchi di Baykar non fa che alimentare legittime preoccupazioni: vocazione bellica, finanziarizzazione, interessi azioni intrecciati a quelli geopolitici potrebbero rappresentare un ulteriore punto di sviluppo di crisi industriale nella rinuncia a una capacità di riconversione e questo avviene mentre ulteriori produzioni strategiche stanno abbandonando il Paese come nel caso di Portovesme, dove si producono principalmente zinco e piombo.
Su tutto questo fin qui descritto continua a stagliarsi l’ombra fosca del nucleare.
Franco Astengo