E’ luogo del cuore del FAI e simbolo della joie de vivre che allietava la Liguria, insieme ad altri tre casinò, gioielli dell’<arte nuova>.
di Gianfranco Barcella
Villa <La Sultana> dopo aver subito alcune trasformazioni ed anche il vituperio di un incendio fu adibita a residenza privata fino alla fine degli Anni ‘50. Rimasta vuota e disabitata è stata abbandonata al suo destino, fatto di incuria e di decadenza ma soprattutto è rimasta vittima dell’indifferenza della classe politica per il valore della bellezza e delle nobili tradizioni turistiche della Liguria.
Villa <La Sultana>era immersa in un lussureggiante parco di circa 14.000 metri quadri e ricco di piante d’alto fusto, palmizi e di essenze di grande pregio botanico. Ancora si ricordano per la loro bellezza, le aiuole bordare di fiori. Ora si trova in completo abbandono nella zona centrale di Ospedaletti, a monte del Borgo Marinaro con accesso da Corso Regina Margherita ed è collocata a circa 250 metri sul mare. Come affermava Eugenio Montale: “Abbiamo fatto del nostro meglio per peggiorare il mondo”, ed in particolare il nostro bel mondo ligure con una cementificazione selvaggia e l’incuria per i siti naturalistici, ammirati da tutta Europa.
<La Sultana> fu iniziata nel 1883, venne completata l’anno seguente per opera dell’arch. S.M. Biasini di Nizza (1841-1913) insieme ai signori Jeausoulin di Mentone e Bonfante di San Remo. L’impresa appaltatrice dei lavori fu la Marmaglia di Torino, le decorazioni vennero affidate al pittore Morgari che era ispettore dei Musei di Belle Arti di Torino, mentre gli arredi, infissi e attrezzatture furono forniti dai Signori Pavesi, Crespi, Meroni e Fossati.
La <Sultana> fu concepita come luogo ricreativo, nel quale l‘aristocrazia di tutta Europa ed in particolare quella orientale, che insieme a teste coronate ed alla crema culturale del tempo, poteva ritrovarsi e poi giocare e divertirsi attorno ai tavoli verdi o per conversare sugli argomenti più diversi al Circolo. In quel prestigioso edificio fu collocato il primo casinò italiano e restò in funzione dal 1884 fino al 1905, anno in cui la Societé Foncière Lyonnaise decise di rimettere la licenza della casa da gioco alla prefettura. Questa venne acquistata dalla vicina città di San Remo che avviò la costruzione del proprio Casinò municipale. Villa La Sultana divenne quindi sede solamente di un circolo privato.
Oggi, quello di San Remo è l’unico Casinò sopravvissuto, ma c’è stato un tempo in cui i casinò, nel Ponente, erano ben quattro e attiravano i giocatori ed i viveurs da mezza Europa. Prima del casinò di San Remo, divenuto nel 1925, unica casa da gioco, autorizzata appunto ad esercitare l’attività ludica dal governo Mussolini, si contavano altre tre case da gioco, presenti nelle maggiori città dell’Estremo Ponente Ligure. Come per la Città dei Fiori, anche Ventimiglia, Bordighera e Ospedaletti erano dotate del loro casinò per intrattenere i ricchi di mezza Europa che tascorrevano i lunghi inverni sulla nostra bella costa, ammantata di verde.
Ospedaletti era nota in tutta Europa e tale fama portò molti investitori stranieri a creare strutture ricettive di lusso nella Città delle Palme. Anche a Bordighera, su iniziativa di un cittadino francese e con fondi forniti da un gruppo di investitori che si costuirono in società, si propose la costruzione di un casinò sulla punta di Sant’Ampelio. I lavori iniziarono nel 1910 e già dal 1911 la casa da gioco era pronta e frequentata da ricchi nobili ed imprenditori. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, fu molto negativo per l’agiata vita economica di Bordighera che a causa del conflitto vide il blocco delle presenze turistiche. Su ordine del governo la maggior parte degli edifici di puro svago ed il Casinò vennero adibiti ad ospedali militari. Riaperto al termine della guerra con la decisione presa dal Fascismo nel 1923 di limitare il gioco d’azzardo, venne chiuso come quello di Ospedaletti, in favore della conservazione di quello di San Remo.
Nei primi anni del Novecento, una società londinese fu attratta dal sito incantevole dei Balzi Rossi, in Italia, quasi sul confine con la Francia dove già esisteva un Museo Paleolitico che attirava più di settimila visitatori l’anno, richiamati dal fascino segreto delle grotte dissepolte. A fine Ottocento si era insediato in loco, un ristorante che in poco tempo fu frequentato da una clientela raffinata. Nel febbraio del 1911, apriva i battenti il<Casinò des Grottes Rouges>, in comune di Ventimiglia. Sul luogo prescelto per inaugurare la casa da gioco esisteva già, l’avviato ristorante appunto, e non mancavano i collegamenti con la Francia (era anzi impossibile, con i mezzi di allora, raggiungere il sito via terra dal lato italiano se non con muli o via mare) mentre dal lato transalpino si accedeva al casinò da ponte San Lodovico. Era possibile un collegamento con una tranvia o con un appositito servizio di navetta da e per la vicina Mentone. A questo si aggiunse dopo qualche tempo un ardito ascensore in ferro che dall’hotel Miramar, completamente a sbalzo con vista sulle grotte e la costa Azzurra, che lo collegava al valico doganale di Ponte San Luigi.
Da allora fu quindi possibile raggiungere i Balzi Rossi senza dover espatriare perché lo stesso era situato poco prima della frontiera di Ponte San Luigi, proprio di fronte alla Villa di Voronoff. Per dieci anni circa imperò l’epoca dello Chemin de fer e del Baccarat che diedero il via al brivido dei tavoli da gioco sotto casa, senza bisogno di trasferirsi all’estero! Questa opportunità fu considerata una beffa per le vicine strutture di Mentone e soprattutto per quelle di Montecarlo.
Il Casinò Ventimigliese richiamava all’epoca una vasta clientela e per questo non mancarono le critiche tutt’altro che disinteressate della stampa francese. La sua posizione a picco sulla scogliera con un’unica via d’accesso, fecero del Casinò dei Balzi Rossi un mondo dorato estraneo alla realtà locale e d’altronde non poteva essere diversamente perché l’ambiente era quello del lusso internazionale. Fatto di un <liberty> di velluti e broccati con una cucina già allora ricercata che serviva <coquillage e aragoste>, il tutto innaffiato da Champagne, mentre attorno c’erano solo gli oliveti dei contadini e le reti dei pescatori. Molti di entrambe le categorie arrotondavano le modeste entrate facendo i passeur di Italiani diretti in Francia, gli emingranti del tempo.
Oggi, tranne il colore della pelle di coloro che cercano di valicare il confine, non è cambiato molto. Si parte a piedi tra costoni pericolosi, attraverso il tristemente noto <passo della morte> con poca roba in spalla ed il miraggio di un lavoro oltre confine. Inoltre possiamo vantare, in Liguria, principalmente <il turismo di massa distruttivo> che rappresenta la nuova opportunità di viaggiare spendendo poco, visitando i luoghi <mordi e fuggi>. Dunque la Liguria seppur in ristrette parti dell’anno soffre dell’<overtourism> che genera inquinamento e disagio alle popolazioni residenti con pochi ritorni economici. La belle epoque è lontana ma <accendi un sogno e lascialo bruciare in te>, diceva Shakesperare.
Gianfranco Barcella