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Liguria e Basso Piemonte

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La sfida del treno nelle aree metropolitane d’Italia. Con Genova archetipo di città tributaria del trasporto su ferro e raccordo aeroporto


Dopo il lungo declino nel secondo dopoguerra del secolo scorso – conseguenza della formidabile espansione della motorizzazione privata e dell’aviazione commerciale – il trasporto su rotaia ha riconquistato ambiti di competitività che gli consentono di ritagliarsi un ruolo importante anche nella nostra epoca.

di Massimo Ferrari*

Ciò è avvenuto principalmente in due ambiti: quello dell’alta velocità sulle distanze medio-lunghe e quello delle aree urbane, sia all’interno delle città (metropolitane, tram moderni), sia nelle zone che gravitano attorno ai maggiori centri (servizi suburbani). Questo vale, ovviamente, anche per il nostro Paese. L’Italia è notevolmente urbanizzata, sia nella Pianura Padana che lungo le coste. Una tendenza in continua espansione, visto che – a dispetto della diffusione di veicoli individuali – l’abbandono delle aree interne, segnatamente quelle appenniniche, continua ad avanzare. Quindi anche la nostra nazione abbisogna di servizi ferroviari efficienti per servire i grandi corridoi di insediamento, come pure gli spostamenti attorno ai maggiori centri urbani.

Intendiamoci, mobilità di natura pendolare che possa essere, almeno in parte, soddisfatta da ferrovie già esistenti si individua anche attorno a città di medie dimensioni, come Novara, Trieste, Ancona o Perugia. Ma dove non si può prescindere dai sistemi su ferro sono certamente le aree metropolitane, che in Italia ammontano ad una dozzina: Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, cui aggiungere l’anomalo triangolo policentrico veneto (Venezia, Padova, Treviso), le sponde dello Stretto, da Reggio Calabria a Messina e Catania e, in scala minore, l’hinterland cagliaritano. Detto per inciso, in queste 12 realtà vive il 36 per cento della popolazione italiana.

Trascuriamo gli ultimi tre casi che implicano ragionamenti specifici (tra cui, ovviamente, la realizzazione o meno del Ponte) e dedichiamo una sintetica riflessione sulle prime nove città. Tra queste – va riconosciuto – solo Milano dispone di una dotazione infrastrutturale di primo livello. A breve verrà completata la quinta linea di metropolitana (MM4), che si aggiunge al Passante Ferroviario e ad oltre venti linee tranviarie e filoviarie in parte in sede protetta. La copertura dell’ambito comunale (relativamente ridotto: 1.300 mila abitanti) è dunque ottima. Non a caso Milano è la realtà italiana in cui, negli ultimi dieci anni, le auto in circolazione non sono cresciute.

Meno brillante, invece, il servizio nella ben più ampia area che gravita sul capoluogo (circa 4 milioni di residenti, che si estendono alle provincie di Monza e Varese). Qui il servizio offerto da Trenord (linee “S”) non sempre è impeccabile; non mancano i “colli di bottiglia” il cui potenziamento incontra resistenze locali (per esempio, tra Rho e Parabiago); al collegamento con gli aeroporti di Malpensa e Linate deve ancora aggiungersi Orio al Serio, mentre la crescente offerta di treni AV alla stazione Centrale provoca frequenti conflitti col trasporto locale. L’estensione della metropolitana a Monza e la realizzazione delle metrotranvie per Desio/Seregno, Linate ed Opera segna il passo tra difficoltà di reperire i finanziamenti e contrasti tra governo locale, regionale e nazionale. Anche per questo, forse, negli anni più recenti, l’amministrazione municipale è sembrata più incline a favorire l’uso di bici e monopattini. Una strategia meno costosa, ma anche più limitata.

A Torino il trasporto pubblico conta decisamente meno che a Milano, vuoi per la struttura viaria a scacchiera più favorevole al traffico privato, vuoi per il retaggio da “company town” dell’auto. Non a caso è in funzione una sola linea metropolitana automatica (che ci si permette addirittura di chiudere in agosto per interventi di manutenzione!) ed una rete tranviaria meno capillare. Il Passante Ferroviario ha costituito un’importante innovazione, ma il suo pieno completamento è stato continuamente ritardato, per esempio nell’adeguamento della navetta aeroportuale verso Caselle, che tuttora solleva forti critiche per la sua frequente inaffidabilità.

Genova, in teoria, dovrebbe costituire l’archetipo di città fortemente tributaria del trasporto su ferro. L’esiguità degli spazi disponibili, l’espansione edilizia sulle colline spesso prive di strade di calibro adeguato e la presenza di ferrovie storiche lungo le principali direttrici di sviluppo avrebbero dovuto costituire un freno all’utilizzo del veicolo individuale. Ma, in carenza di un’offerta pubblica pienamente efficace, molti hanno preferito il ricorso alla moto.  La città è dotata di una breve linea di metropolitana, poco capiente, e di numerose infrastrutture per la mobilità verticale (funicolari, ascensori) che tuttavia svolgono una funzione complementare, benché ora si pensi di utilizzare queste modalità anche per raccordare l’aeroporto Cristoforo Colombo. La presenza di molte gallerie storiche è stata solo in parte sfruttata per offrire servizi di tipo suburbano, mentre ancora di là da venire è il Terzo Valico (pensato soprattutto per il traffico merci), che invece dovrebbe servire prioritariamente per allacciare la Lanterna al sistema di Alta Velocità nazionale.

Bologna è storicamente il più importante snodo ferroviario italiano. L’Alta velocità ne ha confermato la centralità nei collegamenti tra il nord ed il sud del Paese. La decisione di realizzare l’interscambio (per la verità, non sempre agevole) nella stazione Centrale a livello sotterraneo è senza dubbio preferibile rispetto a soluzioni decentrate, come si prospetta, invece, a Firenze. Tra l’altro la realizzazione di questo imponente lavoro, senza perturbare il traffico ferroviario in superficie, contrasta positivamente con le frequenti e prolungate interruzioni che stanno ora gravemente penalizzando la circolazione su molte tratte anche importanti della rete. Buona anche la sistemazione delle linee suburbane passanti, mentre lascia perplessi la scelta di ricorrere al people mover automatico per raggiungere l’aeroporto Guglielmo Marconi. Il capoluogo emiliano, dopo decenni di colpevoli tentennamenti, si è finalmente risoluto a realizzare una rete tranviaria, superando le opposizioni strumentali che spesso ostacolano interventi di questo tipo.

Un esempio positivo in materia era stato offerto con alcuni anni d’anticipo da Firenze, dove il sistema tranviario comincia ad articolarsi su più linee, raggiunge l’aeroporto di Peretola e potrebbe spingersi in futuro fino a Sesto Fiorentino e, forse, a Prato. Ma il capoluogo toscano costituisce tuttora il maggior punto critico nel sistema nazionale di Alta Velocità, che condiziona pesantemente anche la regolarità del traffico locale. L’infinita discussione sul tracciato in sotterranea o in superficie della nuova linea – pur in un ambito urbanistico indubbiamente molto complesso – ha fortemente penalizzato il servizio (i soli “cambi di banco” incrementano di almeno un quarto d’ora  gli spostamenti nord – sud) ed il futuro intercambio con la nuova stazione Foster non promette nulla di buono, inclusa la necessità di ricorrere ad un lungo sistema ettometrico per connettere i due poli.

Napoli è storicamente la città più attenta alle potenzialità ferroviarie (suoi i primati della prima linea.

borbonica, del primo Passante e della prima Direttissima verso Roma). Il servizio metropolitano proposto da Trenitalia è attualmente di buon livello, anche se sconta le molte contraddizioni che affliggono (anche) le regioni meridionali. Gravi le responsabilità della classe dirigente locale nell’aver tollerato il profondo degrado delle reti Circumvesuviana, Cumana e Circumflegrea, cui solo ora si cerca forse di porre rimedio. E’ pur vero che il contesto sociale in cui opera il trasporto pubblico è qui assai difficile. Anche in ambito più propriamente urbano, i contrasti sono stridenti, tra le stazioni della “metropolitana dell’arte” di notevole interesse architettonico ed i clamorosi ritardi nella realizzazione di opere come la linea “6”, aperta solo ora con 30 anni di ritardo.

Discorso in parte analogo può valere per Bari, città servita, oltre che da Trenitalia ed Italo, da alcune importanti reti regionali – Sud-Est, Appulo Lucane, Ferrotranviaria Bari Nord – tutte confluenti sull’hub di piazza Aldo Moro, di cui, per fortuna, sembra tramontata l’ipotesi di decentramento, La dotazione infrastrutturale dell’area metropolitana barese è notevole, come del resto dell’intera regione Puglia. Restano, tuttavia, alcuni problemi irrisolti. In primo luogo quello afferente alla sezione terminale della direttrice adriatica, tra Barletta ed il capoluogo, su cui confluiranno a breve sia i servizi veloci provenienti dal Nord, come pure quelli da Roma e Napoli e su cui insiste anche il traffico suburbano generato da importanti località come Trani, Bisceglie, Molfetta e Giovinazzo. Qui si dovrebbe prendere in seria considerazione l’ipotesi di quadruplicare, o almeno triplicare, i binari per poter offrire collegamenti frequenti e cadenzati, come meriterebbe la domanda potenziale di una fascia densamente urbanizzata. Purtroppo le lunghissime vicissitudini che hanno accompagnato il completamento della modesta asta di Bitritto non lasciano ben sperare in merito.

Infine Palermo, divenuta nel frattempo la quinta città italiana per numero di residenti, è ancora alle prese con il potenziamento della ferrovia verso Trapani (da oltre dieci anni si attende il ripristino della relazione più diretta via Milo), che, tra l’altro, pregiudica il funzionamento del collegamento aeroportuale con Punta Raisi. Mentre in città  procede lentamente il completamento dell’anello ferroviario, che dovrebbe fungere da metropolitana urbana. Intanto sono state attivate due reti tranviarie le quali, tuttavia, per giocare un ruolo significativo in un ambito culturalmente ostico all’uso del trasporto pubblico, dovrebbero essere raccordate tra loro. Anche la velocizzazione della rete ferroviaria regionale – soprattutto lungo l’asse per Catania – potrebbe assegnare al treno il ruolo che merita viste le numerose città importanti diffuse nell’isola, con stazioni ben posizionate.

Da ultimo il caso di Roma. La capitale è di gran lunga la città italiana più rilevante, non solo sotto il profilo residenziale, ma anche per il ruolo politico, amministrativo e religioso che ricopre, senza dimenticate l’importanza del polo turistico. E rappresenta al contempo anche la criticità maggiore dal punto di vista della mobilità, pur non essendo gravata da una estesa corona di comuni, come nel caso di Milano e Napoli. Il fatto è che a Roma è proprio la dimensione municipale ad essere assolutamente inadeguata alle esigenze di un centro di questo rilievo. Una estensione decisamente ridotta della rete metropolitana, se confrontata ad altre capitali europee, come Madrid e Berlino; il gravissimo decadimento del sistema tranviario, su cui solo ora, forse, si tenta di intervenire; una estensione ipertrofica dei servizi su gomma, spesso annegati nel traffico e quindi inaffidabili.

D’altro canto, negli ultimi trent’anni, è stato proprio il sistema ferroviario a compensare, almeno in parte, queste gravi lacune. L’individuazione del sistema delle Ferrovie Regionali e l’offerta tariffaria Metrebus, nell’ultima decade del Novecento, hanno cercato di proporre un modello alternativo di mobilità che ha costituito l’essenza di quella “cura del ferro”, rimasta, per il resto, confinata tra le buone intenzioni, La successiva realizzazione dell’Alta Velocità è riuscita a separare, per quanto possibile, i movimenti a lunga distanza da quelli più propriamente pendolari. Il collegamento aeroportuale con Fiumicino, pur con i limiti di un raccordo terminale e non passante, ha potuto comunque a garantire un servizio accettabile per il grande scalo.

Il treno ha cercato di ovviare anche ai collegamenti urbani veri e propri, funzione importante in un territorio estremamente esteso, quale quello che caratterizza la municipalità capitolina. Tale risultato è stato parzialmente raggiunto in alcuni contesti, segnatamente il segmento tra Cesano e San Pietro, non interessato dal traffico a lunga distanza ed intersecato efficacemente dalla metro “A” a Valle Aurelia. L’annoso problema della chiusura dell’anello ferroviario nella zona nord della capitale, sommato agli storici “colli di bottiglia” rappresentati dalla linea per Tivoli ed Avezzano (tuttora incredibilmente a binario unico) e del “tridente dei Castelli” – cui si aggiunge il mancato raccordo con l’aeroporto di Ciampino – costituiscono le più evidenti emergenze su cui intervenire. A ciò si aggiunge lo stato di vergognoso abbandono in cui sono precipitate nel corso degli anni le ferrovie a gestione separata da Piazza Flaminio a Sacrofano/Civita Castellana (e Viterbo) e dalla Piramide ad Ostia, che pure dovrebbero costituire due servizi con caratteristiche di metropolitana.

Inoltre influisce pesantemente – ma questo vale anche per gli altri nodi ferroviari sull’intero territorio nazionale – l’attuale decisione di concentrare i lavori, evitando di operare in pendenza di esercizio, come quasi sempre avveniva in passato, sia per rispettare le scadenze stringenti del PNRR, sia per agevolare le imprese appaltatrici, sia per evitare qualsiasi rischio di infortuni (e relative responsabilità). E, per di più, senza cercare di valorizzare itinerari alternativi ove disponibili. Col rischio concreto di allontanare dall’uso del treno non solo turisti e viaggiatori occasionali, ma gli stessi pendolari. Queste criticità, unitamente alla sicurezza dentro e attorno alle stazioni, sono tra i maggiori problemi da affrontare per rendere appetibile l’uso del treno ai potenziali clienti.

Massimo Ferrari

 Presidente UTP (Associazione Utenti del Trasporto Pubblico)/Assoutenti


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