In provincia di Savona, e non solo, c’era una volta il giornalismo d’inchiesta? Parrebbe di sì, se è ancora in vita qualche testimone (e ricordi) di altri tempi. Si pensi a come è nato il ‘terremoto Teardo’ (19 miliardi di tangenti e condanne in Cassazione). E l’inchiesta bis sulle ‘Bombe di Savona’ (Pm Antonio Petrella- 1946-1992). Non esisteva la ‘discarica social’ e la carta stampata aveva una larga diffusione (edicola e abbonamenti).
Sta di fatto che oggi la stragrande maggioranza dei lettori sono abituati al ‘copia e incolla’ delle notizie che leggono. Interi comunicati delle forze dell’ordine con la solita zolfa del ‘tutto sotto controllo’. Nessun approfondimento e meno che meno quando c’è di mezzo la memoria storica.
Non solo, è sempre più frequente chi invoca, ricorrendo a studi legali, il ‘diritto all’oblio’ su internet con la motivazione che si arreca danno alla persona citata seppure per fatti veri (perlopiù vicende giudiziarie) accaduti in passato.
Vale a dire non si chiede la rettifica per articoli o inchieste giornalistiche nell’immediatezza dei fatti, ma si attende di far prevalere l’asserito ed invocato ‘diritto all’oblio‘ e all’insussistenza di interessa pubblico. Eppure le rettifiche sono previste dalla legge, con l’obbligo di pubblicazione e in caso contrario si incorre in una sanzione.
Si pensi ai corrispondenti e collaboratori delle redazioni periferiche o pagati a notizia che non sono manlevati dall’editore a fronte di una possibile querela, magari temeraria o peggio citazione, con richiesta danni, in sede civile. Oltre alle spese legali. Si pensi ai quotidiani social che praticano particolari contratti di lavoro per chi è iscritto a libro paga. E chi non è coperto da alcuna assicurazione legale. E che dire di quel parlamentare ligure sanremese (avv. Giovanni Berrin0) di Fratelli d’Italia che è stato ‘costretto’, dalla stessa maggioranza al governo e dalle dure proteste dell’opposizione, di Ordine e sindacato unitario dei giornalisti, a ritirare una proposta di legge che prevedeva anni di carcere se condannati per diffamazione.
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalismo d’inchiesta «ricorre quando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia, come nel giornalismo ordinario di informazione, ma provveda egli stesso alla raccolta autonoma e diretta della notizia, tratta da fonti riservate e non, anche documentali e ufficiali, con un lavoro personale di organizzazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico».
Quest’ultimo, l’interesse pubblico generale, «deve essere valutato considerando che il ruolo civile e utile alla vita democratica di una collettività, svolto attraverso la divulgazione delle notizia, implica la necessità di valutarne l’attualità con riferimento al momento in cui la conoscenza dei fatti è sorta e al contesto sociale in cui è proposta con la pubblicazione, e non con riferimento al momento in cui si sono svolti i fatti che la integrano».
E ancora, l’interesse pubblico «implica altresì la necessità di valutarne gli esiti, non tanto alla luce dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto dell’avvenuto rispetto da parte del suo autore dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, oltre che della maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità, ai fini del bilanciamento del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla libertà di espressione».
Questi sono i principi – ribaditi nella recente sentenza della prima sezione Civile della corte di Cassazione pubblicata il 10 maggio 2024 – cui saranno chiamati ad attenersi i giudici di appello nel riesaminare una vicenda di lamentata diffamazione risalente al 2018.
Un professionista il cui nome era comparso in un’inchiesta giornalistica legata ai Paradise Papers aveva portato in tribunale gli autori dell’articolo lamentando che nel testo non veniva specificato che il fatto (vero) risaliva però a diversi anni prima della pubblicazione.
Dopo la condanna in primo e secondo grado, la corte di legittimità ha riconosciuto e ribadito le peculiarità e l’utilità sociale del giornalismo d’inchiesta, rinviando la causa in appello e indicando i principi, ben consolidati dalla giurisprudenza in materia, alla luce dei quali effettuare il corretto bilanciamento tra due valori costituzionalmente garantiti quali il diritto della collettività ad essere informata e il diritto del singolo al rispetto della propria onorabilità e della propria reputazione.