Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

Sanremo: addio ‘Filovia dei Fiori’ (29 km). A discapito dell’ambiente, del rispetto del cittadino e del contribuente


Filovia della Riviera dei Fiori. Si chiude, dopo oltre ottant’anni, tra le più antiche d’Italia, la lunga storia della filovia a San Remo, inaugurata il 21 aprile 1942, durante il secondo conflitto mondiale e subentrata ad un precedente impianto tranviario.

di Massimo Ferrari*

Era il 12 gennaio 2021 R24 titolava: Sanremo, pronto il progetto per far rinascere la filovia. Biancheri: «Grande intervento di mobilità sostenibile»
Approvata dalla giunta la delibera che coinvolge i Comuni costieri nella domanda di fondi al ministero. “E’ uno dei progetti più ambiziosi da molti anni a questa parte per quanto concerne la mobilità sostenibile provinciale – ha commentato il sindaco di Sanremo Alberto Biancheri – perché andrà a valorizzare e riqualificare integralmente un’infrastruttura, la Filovia dei Fiori, che è una delle più antiche d’Italia e perché consentirà ad RT un’eccezionale dotazione di mezzi di nuova generazione non inquinanti – e sappiamo tutti quanto ce ne sia bisogno -, senza dimenticare che si tratta di un’iniziativa comprensoriale che abbraccia l’intero territorio, da Taggia a Ventimiglia, capace di rafforzare un modello di mobilità sostenibile green non inquinante che si sviluppa su un doppio binario nel ponente ligure: la pista ciclopedonale sul mare e la Filovia dei Fiori sull’Aurelia”.

Una fine ingloriosa dopo molte velleità di rilancio, rimaste sulla carta, ma costate comunque soldi al contribuente, come l’acquisto di nuovi veicoli nel 2008, lasciati deperire senza essere quasi mai utilizzati, oltre a quelli ad idrogeno, di cui si cercherà adesso un improbabile acquirente, visto che anche questa modalità di trazione sembra ormai tramontata.

Ci fu un momento, all’alba del nuovo secolo, in cui l’impianto sembrava destinato a percorrere il sedime lasciato libero dai binari ferroviari, spostati in galleria, e si parlava di un “filobus di cristallo”, decisamente panoramico, che avrebbe accompagnato pendolari e villeggianti lungo la costa. Ma poi venne realizzata la pista ciclabile e dell’idea non se ne fece nulla.

Ancora tra il 2020 ed il 2021 venne approvato un progetto di rilancio della “filovia dei fiori”, con un investimento di 50 milioni per adeguare gli impianti ormai fatiscenti agli standard europei. Poi tutto è rimasto nei cassetti della Riviera Trasporti. Fino a che lo stato della palificazione, pericolante per mancata manutenzione, ha consigliato di rimuovere il bifilare a scanso di responsabilità nel caso di cedimenti. E nonostante il parere contrario della Regione, che però si è limitata ad esprimere il proprio rammarico. Un’occasione perduta per un’azienda sedotta da tecnologie innovative, e poi incapace di rinnovarsi per davvero.

Ma, tanto per cominciare, il filobus è davvero un mezzo di trasporto desueto, come qualcuno sostiene? La tesi è quanto meno dubbia. Tra i diversi vettori che si contendono la scena da oltre un secolo la filovia rappresenta semmai la soluzione più recente. Basti pensare che le prime linee di metropolitana fecero la propria comparsa a Londra, a Budapest ed a Parigi addirittura alla fine dell’Ottocento. Più o meno coetanee dei tram elettrici, mentre i bus a gasolio sono di poco successivi.

Il filobus, invece, dopo qualche esordio sperimentale, ha cominciato a diffondersi negli anni Trenta del Novecento, trovando proprio in Italia uno dei mercati più promettenti. Si era nel Ventennio autarchico, alla ricerca di soluzioni che riducessero la dipendenza dal carbone e dal petrolio, materie prime latitanti nella Penisola. E, non a caso, per il nuovo mezzo venne scelto un neologismo  nazionale, mentre quasi tutte le altre lingue ricorrono tuttora alla parola anglosassone “trolleybus”.

Nel dopoguerra le filovie vennero inaugurate soprattutto per sostituire le vecchie reti tranviarie che apparivano ormai superate, mentre gli autobus a gasolio denunciavano ancora parecchi inconvenienti, come lo sterzo rigido o la difficoltà nell’affrontare ripide salite, che ne frenavano la diffusione. E così si svilupparono vaste reti sotto i bifilari, specie nelle grandi città come Roma, Napoli, Bologna, Palermo o Bari, ma anche in provincia da Cuneo a Salerno, da Alessandria a Cremona, da Carrara fino a San Remo, per l’appunto.

Poi, negli anni Sessanta, la diffusione della motorizzazione individuale sottrasse molti utenti al trasporto pubblico, compromettendo i bilanci dei gestori, i quali pensarono di risollevarsi riducendo le spese negli impianti fissi, compresi quelli filoviari, che non vennero ammodernati. Le migliorie apportate agli autobus di più recente generazione sembrarono a quel punto chiudere la partita, Ma, soprattutto, prevaleva l’intenzione di rimuovere ogni vincolo rigido – binari o anche semplice rete aerea che fosse – per favorire lo scorrimento delle automobili. Anche il dilagare delle soste in doppia fila è un frutto avvelenato di quel periodo.

Dopo il 1973, con la crisi petrolifera che aveva condotto alle “domeniche a piedi”, cominciò un ripensamento sul modello di mobilità che ha comportato in molte nazioni avanzate la riscoperta del tram. I binari, in sede separata e spesso inerbita, sono ricomparsi nelle città francesi, spagnole, persino americane, favorendo un ridisegno urbanistico di cui hanno beneficiato i centri urbani. Anche in Italia ci si è mossi (tardivamente) in quella direzione, con qualche buona realizzazione – a Milano, a Bergamo, a Firenze, a Palermo – accompagnata come sempre da molta confusione che ha frenato finora il tanto atteso rilancio della rotaia.

In ogni caso, la crescente sensibilità ambientale avrebbe dovuto favorire anche la riscoperta del filobus, veicolo ecologico per eccellenza, visto che non inquina ed è estremamente silenzioso. In più le versioni più evolute consentono ai mezzi di circolare pure in marcia autonoma, riducendo la necessità di stendere il bifilare in aree di particolare pregio architettonico (concetto di cui, in verità, si è spesso abusato, per coprire la volontà di non fare alcunché).

Purtroppo, però, una filovia non ha gli stessi vantaggi di una linea su rotaia, tra cui la grande capacità in grado di soddisfare consistenti flussi di traffico. La portata di un filobus, anche quando è articolato, non è molto superiore a quella di una autobus. I lunghi mezzi a tre casse, che si vedono oltre confine – per esempio a Ginevra – non sono tuttora omologati dal nostro Codice della Strada. Resta il pregio della non emissione di fumi, ma ora l’adozione di autobus a batterie (nonostante l’ingombro, la limitata autonomia ed i problemi connessi allo smaltimento delle stesse), sembra erodere anche questo vantaggio.

La sfida, ad ogni buon conto, non è ancora terminata. Ci sono nel Mondo parecchie città che continuano a puntare sulle reti filoviarie, da Losanna a Salisburgo, da Atene a Shanghai, passando per San Francisco, Seattle e Città del Messico. Alcune amministrazioni hanno persino deciso di ripristinare i bifilari dopo decenni di abbandono, da Praga a Verona alla stessa Roma. E, comunque, in Italia disponiamo tuttora di quattordici città dotate di questa forma di trazione, anche se solo alcune aziende sembrano crederci con convinzione: Milano, Parma, La Spezia, Cagliari. E soprattutto Rimini, dove da un paio d’anni funzione il “Metromare”, ossia una metropolitana su gomma che si spinge fino a Riccione sotto il bifilare.

Altrove il filobus è stato adottato soprattutto per evitare scelte più impegnative con la reintroduzione del tram – è il caso di Genova – oppure per darsi una patina di sensibilità ambientale, come nel caso di Lecce, Pescara ed Avellino, dove i mezzi elettrici circolano saltuariamente dopo lavori e prove interminabili.

Sarà perché la rete aerea impone alcune rigidità e limita i capricci dell’assessore di turno nel concedere la deviazione della linea per accontentare qualche commerciante o anche semplicemente per favorire una festa rionale? Dal punto di vista di chi fruisce dei servizi di trasporto, tuttavia, la presunta rigidità può rappresentare un vantaggio. Ricordo persone di ritorno a Milano dopo molti anni d’assenza che subito identificavano il tram che li portava in centro da bambini. Ed anche per una linea di filobus può valere la stessa percezione: se vedo il bifilare so che da lì passa una linea “di forza” che verosimilmente avrà una certa frequenza ed affidabilità. Mentre spesso le linee di autobus cambiano percorso, talora senza nemmeno preoccuparsi di avvertire gli utilizzatori abituali.

Figuriamoci quelli occasionali come i turisti che frequentano la Riviera dei Fiori! E allora, perché San Remo, che disponeva di un sistema interurbano esteso da Taggia fino a Ventimiglia per ben 29 km, non ha fatto nulla per provare a preservare e rilanciare un mezzo perfettamente inserito nel contesto della costa? Forse per semplificarsi la vita, anche a discapito dell’ambiente e del rispetto del cittadino oltre che del contribuente. Ma di questo passo sicuramente non si va molto lontano.

Massimo Ferrari*

Presidente UTP/Assoutenti


Avatar

M. Ferrari

Torna in alto