Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Quando tornano i manganelli contro la libertà. Presente e passato per riflettere sul futuro


Il Presidente Sergio Mattarella, dopo le cariche della Polizia a Firenze e a Pisa contro studenti, anche minorenni, che manifestavano a mani nude per la Palestina e per il cessate il fuoco in Medioriente, ha usato parole molto chiare: “L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando la libertà di manifestare”.

di Bruno Marengo

Un chiaro monito al Governo: “con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”. L’uso sconsiderato dei manganelli (su cui vanno accertate le responsabilità), la tendenza alla censura e a comprimere il dissenso sia di idee che di piazza, hanno suscitato indignazione in quella parte nel Paese che avverte il rischio di una deriva autoritaria ancor più considerando i tentativi in atto da parte della destra governativa di erodere valori costituzionali quali la centralità del Parlamento, l’indipendenza della Magistratura, la divisione e l’equilibrio dei poteri.

Chi ha a cuore i valori della nostra Costituzione deve avere coscienza di quanto sta accadendo e impegnarsi affinché gli stessi non vengano stravolti con i tentavi in corso sul “premierato” e sulla “autonomia differenziata”. Occorre una grande e costante mobilitazione delle forze sociali e politiche progressiste, della società civile, che devono saper esprimere una maturità capace di superare divisioni e stanche polemiche, guardando al bene comune. La posta in gioco è altissima e richiede un impegno tenace per la difesa e l’attuazione dei contenuti della Costituzione: la persona, il lavoro, la dignità, la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, l’etica, la legalità, i diritti e i doveri, la solidarietà, la partecipazione, l’antifascismo che la permea. Una Costituzione da amare, che ripudia la guerra. Una strada da percorrere con le giovani generazioni. Una strada su cui richiamare chi non va più a votare. Le prossime elezioni europee saranno un primo grande banco di prova.
A una settimana dalle cariche di polizia in Toscana, le immagini televisive ci hanno mostrato cortei di studenti e cittadini che manifestavano pacificamente in tutta Italia “contro le bombe e i manganelli, per la pace“. Tutto è andato per il meglio. Non c’è stata violenza, che va sempre condannata, in nessun “campo”. Segno che l’indignazione e le reazioni provocate dai pestaggi di Firenze e di Pisa hanno colto nel segno e che questa è la strada da non perdere mai di vista.

Guardando alla televisione le drammatiche immagini dei quei pestaggi mi sono tornati in mente i fatti del G8 di Genova, una serie di gravissimi episodi avvenuti nella città, contestualmente allo svolgimento del G8, il vertice dei capi di governo dei maggiori Paesi industrializzati svoltosi dal 20 luglio al 22 luglio 2001. I movimenti no-global, le associazioni pacifiste, le forze progressiste diedero vita a manifestazioni di dissenso, seguite da scontri tra le forze dell’ordine e manifestanti. La scelta politica del Governo fu quella di difendere militarmente il G8. Protetti i luoghi del vertice e gli accessi, l’altra Genova fu abbandonata. Le scorribande dei Black Block (giunti da ogni dove senza controlli) non furono impedite. Debolezza con le squadre nere, brutalità con i pacifisti, i disobbedienti. Cariche militari, guerra di strada. Durante uno scontro venne ucciso il giovane manifestante Carlo Giuliani.

Scrissi di quei giorni questa testimonianza che conservo, pur considerando i diversi momenti storici, spunti di attualità.

Genova 25 luglio 2001. Piazzale antistante il Cimitero di Staglieno.

“Ciau amigu”.

Eravamo in tanti a dare l’estremo saluto a Carlo Giuliani, ucciso mentre i grandi della terra tenevano, nella zona rossa, il G8, una montagna che ha partorito il topolino.

Non c’erano né bandiere né fiori. Solo tanta gente vestita in modo diverso, di diversa età, di diverse culture ed appartenenze. I compagni di scuola, gli amici di Piazza delle Erbe e di Piazza Manin, ci hanno raccontato di un ragazzo diverso da quello descritto da quasi tutti i giornali e dalle televisioni. Un ragazzo, un ribelle, con le sue inquietudini, le sue contraddizioni, ma anche con la sua generosità, la sua ansia di giustizia. Un ragazzo di strada che sapeva dialogare con quelli diversi da lui, come ci ha ricordato un frate cappuccino, un ragazzo impegnato in Amnesty International e nei centri sociali. Un ragazzo ucciso da un altro ragazzo, un carabiniere in servizio ausiliario.

Giuliano Giuliani, il padre, ha rivolto all’uccisore del figlio parole umane e giuste. Ha parlato di non violenza. Il suo è stato un dialogo con la generazione di suo figlio, dei suoi amici: “In fin dei conti le cose che vogliamo sono le stesse: un mondo migliore, persino meno schifoso e però i giovani lo vogliono domattina. E noi, che siamo più anziani, che veniamo da certe lotte, da certe scuole, diciamo che ci vuole tempo, pazienza, prudenza. Forse i giovani devono allungare un po’ il loro percorso; ma noi, quelli vecchi come me e stanchi, dobbiamo accorciarli quei tempi”.

Giuliano Giuliani è della mia generazione, un sindacalista della CGIL, e quando parla mi scorrono davanti agli occhi gli anni trascorsi, le manifestazioni, gli scioperi, le lotte per il lavoro, per la democrazia, per la libertà di tutti, con le nostre idee, le nostre speranze, le nostre bandiere, le “nostre scuole”.

Quanto dolore si prova davanti alla bara di un ragazzo, di un figlio, morto, mentre compiva un atto di ribellione, forse il primo, alle ingiustizie del mondo. Quanto dolore e compostezza ho letto sui volti di una madre, di un padre, di una sorella.

Com’è distante, di un altro mondo, quel “debuttante” Ministro degli Interni che, in Parlamento, ha tentato puntigliosamente e pervicacemente di giustificare l’inaudita violenza delle forze dell’ordine che ha colpito pacifici manifestanti, mentre teppisti neri e provocatori devastavano la città abbandonata a sé stessa. Ha parlato di solidarietà alle forze dell’ordine.

Ce lo ricordò Pasolini, in lontani anni, che i poliziotti di Valle Giulia, “insaccati” in divise troppo grandi, erano figli di poveri cafoni meridionali. Il Sindacato di Polizia è nato, con un grande contributo della CGIL e dei suoi militanti, proprio per tutelare i loro diritti calpestati. Ora, le forze dell’ordine hanno divise impeccabili e corazze da moderni guerrieri ma come sono distanti, di un altro mondo, le dichiarazioni che molti dei loro sindacalisti ripetono, a “macchinetta”, per giustificare tutto o quasi, senza un dubbio, una critica, una riflessione seria su quanto accaduto e su cui la Magistratura dovrà fare piena luce.

Mentre la bara entrava nel Cimitero, mi sono sentito dentro la straziante malinconia di non avere più la forza e l’entusiasmo dei vent’anni.

E ce ne vorrà di forza e d’entusiasmo per costruire un movimento ancora più grande, che sappia reggere all’urto di questa destra becera. Che sappia sviluppare gambe, cervello, obiettivi unitari. Ci attendono tempi ancor più duri. Dovremo saper essere volpe e leone, come diceva un grande fiorentino, fiutare le imboscate e saper mettere democraticamente in campo tutta la nostra forza, nei tempi e nei modi più giusti e favorevoli. Dovremo saper coniugare analisi, tattica e strategia. Dovremo farci capire dai giovani e con loro “accorciare quei tempi”, come ci ha spiegato un grande padre. Mentre ero preso da queste riflessioni, don Andrea Gallo mi ha posato una mano sulla spalla e mi ha sussurrato: “Ciau amigu”.

A volte, ci si sente stanchi, ma c’è sempre qualcosa che ci rimette in cammino, con la forza delle nostre idee, delle nostre ragioni. A questo pensavo mentre ricambiavo il saluto: “Ciau amigu”.

Bruno Marengo

Spotorno, 25 maggio 2006. Romano Strizioli, don Andrea Gallo, Bruno Marengo davanti alla “Sala Palace” per la presentazione del libro di Pippo Carrubba “Mi chiamavano sovversivo”. Marengo è stato sindaco di Savona e di Spotorno, nonché vice presidente del consiglio regionale dal 1990 al ’95, eletto con il Pci.

 

 

 


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B. Marengo

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