Bora: vento da nord-est/est che porta aria fredda e utilizzato metaforicamente per intendere l’influsso della Russia sull’Europa e in particolare sui Balcani e sull’Italia.
di Sergio Bevilacqua
Non dimentichiamo che il continente eurasiatico guarda verso l’America da due parti: ad Est, lo stretto di Bering divide l’Asia (e la Russia asiatica) dall’Alaska statunitense (acquistata dalla Russia nel 1861 per un valore attuale pari a circa 150 milioni dollari); a Ovest l’oceano Atlantico separa Europa e coste americane.
La situazione attuale vede una vasta conflittualità in corso: lo scontro Russia-Ucraina tiene in allarme la alleanza atlantica dell’Occidente sul terreno europeo orientale; lo scontro Israele-Hamas accende un focolaio medio-orientale sempre problematico per l’innesto della cuspide di cultura occidentale, lo Stato di Israele, nel vasto contesto islamico del sud mediterraneo; le presenze integraliste islamiche dei Paesi che guardano al Golfo Persico e al Mar Rosso intervengono a sostegno delle azioni di disturbo bellico e di pirateria che la compagine armata degli Houthi yemeniti attua sugli enormi traffici economici che transitano verso il canale di Suez; una serie di conflittualità sono diffuse nell’Africa subsahariana; la Corea del Nord sembra voler segnalare la propria aggressività in estremo oriente, con esibizione di capacità distruttive di alto contenuto tecnologico; i Paesi ad est della Unione europea (Polonia, Paesi baltici, Svezia) stanno rafforzando le proprie capacità militari difensive preoccupate dalla minaccia russa; l’Unione Europea, lato orientale della NATO, è sempre più presente in azioni belliche, come la operazione di protezione dei traffici sul mar Rosso (con l’Italia in prima fila); gli angloamericani stanno intervenendo con bombardamenti sulle basi che appoggiano da terra gli Houthi yemeniti; sta per iniziare la più grande esercitazione NATO in Europa orientale dalla fine della seconda guerra mondiale, con il coinvolgimento di oltre 80000 uomini; non si abbassa la pressione cinese sul caso Taiwan; molte altre braci ardono nel mondo in modo più o meno silenzioso, pronte a divenire a loro volta pericolosi incendi.
Si sta conformando un quadro piuttosto chiaro, dove i Paesi ad economia primaria (agricola, estrattiva, materie prime e allevamento), guidati in modo non proprio sotterraneo dalla Russia di Putin, stanno stringendo sempre più iniziative comuni a fronte di un’identità economica che li vede fornitori in termini commerciali dei Paesi trasformatori e soprattutto dell’Europa, i cui popoli (francesi, spagnoli, tedeschi ma anche italiani) hanno un pesante passato coloniale di sfruttamento di queste terre e dei loro popoli.
Al momento, l’asse atlantico vede gli USA attenti e pronti a effettuare interventi a sostegno degli Stati alleati in prima linea nelle zone calde, ma anche l’Europa è sempre più coinvolta, con la Germania che si sta riarmando seriamente, seppur non con la determinazione che ci si aspetterebbe. La situazione potrebbe esplodere da un momento all’altro, ma il tentativo di tenere basso il profilo di questi scontri fa pensare che ci sia altro che bolle in pentola.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz arriva negli Stati Uniti poche ore dopo che il Senato col voto dei repubblicani di Trump ha bocciato i 60 miliardi di aiuti all’Ucraina chiesti dal presidente Joe Biden. E la notizia fa male sia all’Ucraina ma anche all’Europa intera, che il pacchetto di aiuti per Kiev lo ha approvato la scorsa settimana in Consiglio europeo. Il rischio è che, senza il fondamentale appoggio americano, la Russia di Vladimir Putin colga l’opportunità per una poderosa controffensiva contro il nemico indebolito dall’interruzione degli aiuti finanziari e militari di Washington.
S’intravvede come le elezioni presidenziali americane del 5 novembre 2024 potrebbero cambiare molto il quadro generale. Le posizioni dei due leader in probabilissima corsa per la Casa Bianca, il leader dei democratici Biden, vecchio ma gettonato, e il repubblicano Trump, sempre più in sella, sembrano molto divaricate, e fanno pensare a una strategia molto diversa per il mondo del prossimo quadriennio. È in dubbio il principio di un mondo a senso unico, dove l’economia globale e i suoi giganteschi soggetti aziendali di manifattura, servizi e finanza, ormai apolidi, abbiano un unico riferimento istituzionale politico mondiale per le loro, diciamo quasi pacifiche, attività economiche. Sarebbe utile una grande guerra ai loro interessi, nello stato attuale, e prevedibilmente successivo, dell’economia mondiale oppure ci sono altri bacini di valore da sviluppare invece di pensare a distruzioni e conseguenti ricostruzioni, cioè barriere da abbattere pacificamente, per avere un ulteriore sviluppo dell’economia globalizzata?
La sensazione sempre più presente è che le corporation leader globali notino con viva preoccupazione l’avvicinarsi di un altro epico scontro mondiale come quelli esplosi nel 1900. Peraltro, che il mondo della quadrivoluzione (globalizzazione, antropocene, ipermediatizzazione. ginecoforia) e del transumanesimo necessiti di una forte enfasi sul governo globale è sempre più evidente. Che tale governo non possa essere un governo basato sul terrore delle armi è altrettanto chiaro: visto che la paura deprime i consumi e lo sviluppo, le forze economiche non possono lasciare che l’ostilità umana deragli dal binario della competizione commerciale, che è sì cruda, ma meno sanguinosa delle guerre; inoltre, l’ingenua motivazione popolaresca del distruggere ciò che c’è con il progetto poi di ricostruire, non è quello delle profonde competenze economiche insite nei colossi aziendali mondiali, che magari sulle distruzioni sono tutt’altro che morali, ma i conti li sanno fare: quanto si farebbe di più di ciò che si è distrutto? E da parte di chi? Due rischi da pokeristi, non da economisti. Mentre nel secolo breve, il XX, moltissimo c’era da fare in economia e una grande distruzione poteva costituire un volano per la crescita ulteriore, oggi non sembra che esistano condizioni analoghe: distruggere significherebbe certamente poi ricostruire, ma forse addirittura di meno di ciò che le bombe hanno ridotto in fumo. Quindi non conviene.
Se oggi la sinistra americana (ma anche le passate presidenze conservatrici hanno attuato una politica analoga) ha lavorato per il controllo USA (NATO) del mondo, corrispondendo a una vecchia domanda tacita delle grandi corporation, un uomo di mondo e imprenditore globale come Trump afferma invece “America First (Prima di tutti)”. In politica estera, “America First” significa di sicuro NATO second, ed Europa third (dopo, terza). In politica interna, “America First” significa, anche, sicurezza di un continente nordamericano davvero opulento e autosufficiente, con un indotto sudamericano manovrabile e confini difendibili, pacifico abbastanza con se stesso, il cui popolo si domanda ormai da tempo perché deve mandare i suoi figli e le sue risorse in giro per il mondo a tamponare situazioni divenute progressivamente meno vantaggiose per esso. Ma significa anche una diversa intuizione della domanda delle grandi corporation, che hanno capito che la politica di ogni Stato alla fine disturba l’economia, e le leggi della domanda e dell’offerta sono migliori regole strategiche di quelle poste dall’aggressiva geo-politica dei politicanti.
Sono miliardi i nuovi consumatori da incoraggiare, e non sono quelli dei Paesi opulenti. Il volano dell’economia industriale ha ingranato nei grandi bacini di Cina e India. Qual è allora il miglior modo di ottenere che divengano sempre più grandi mercati: un governo mondiale americanoide oppure una strategia pacifista per una libera (quasi…) concorrenza tra ambienti economici simili, retti da saggia aggressività competitiva (e non dalle teste spesso dure e pericolose dei militari)? Di certo la seconda: Trump più di Biden. E va detto che chi ha fatto capire questa cosa al mondo è il grande stratega scellerato Vladimir Putin. E se Trump dovesse vincere e condurre la sua America geoeconomica in primo piano (First), ecco allora che il mito eurasiatico potrebbe fare un grande passo avanti, anche con beneficio dell’Africa.
Ecco perché, di nuovo, la Bora sa di Trump…
Che ci sia elevata complementarità tra Unione Europea, Russia e Cina per fare un grandissimo mercato eurasiatico senza vincoli logistici e politici e con un elevatissimo grado di autonomia e di potenziale di sviluppo, sembra quasi lapalissiano. Le celebrazioni veneziane per i 700 anni di Marco Polo in corso quest’anno, già partite intanto con la bella, curiosissima e accattivante mostra di tessuti eurasiatici a Palazzo Mocenigo, in attesa della kermesse di Palazzo Ducale, capitano quasi a pallino per ricordare che l’Eurasia è millenaria e così la circolazione al suo interno dei beni e delle culture. Le civiltà circolano da sempre nell’ampio territorio dell’Eurasia e oggi i treni viaggiano veloci come aerei (in Eurasia la “frattura ferroviaria” è l’area russa…) e le comunicazioni non risentono quasi di barriere linguistiche. Il mondo è globalizzato e l’umanità tutta sa bene cosa le piace, e sono le stesse cose a est e ovest, a sud e nord, a bianchi, gialli o neri. Il genoma umano è sempre più mescolato e sempre meno differenziato per area geografica. Le donne rivendicano ovunque giustamente spazi di potere e visione (grazie a Dio, perché i maschi oggi risaltano poveri di sentimenti e aggressivi di natura). L’Eurasia è sempre più Continente, cioè contiene popoli, economia, know-how e knowledge, tecnologie, risorse materiali, storia millenaria…
Anche l’ONU potrebbe rinascere su questa base molto più economica e molto meno di vetusta geo-politica, aiutando la risoluzione di moltissima ostilità umana…
Ecco perché le guerre in corso hanno uno strano andamento in questi mesi: l’orientamento americano è centrale per tutti i conflitti in corso (e anche per tutti gli esseri umani) e, dunque, le prossime elezioni presidenziali USA risulteranno importantissime per l’umanità.
Se tutto dovesse andare per il meglio, rimarrebbe solo l’Islam a fare medioevo, l’Islam che martirizza la popolazione femminile. Dal Corano, traduzione ufficiale, versetto 34 della quarta sura, detta Delle donne: “Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande”. Il problema sarebbe però “solamente” di cambiare 50 parole (le ho contate) sul Corano: un lavoro da banale editore, ma il problema è che costui (o costei…) dovrebbe essere riconosciuto/a come… profeta. E non scherzo se dico che per questo sì che ci vuole l’America, ma non le sue forze armate: ci vuole Hollywood.
Sergio Bevilacqua