Ho sempre voluto mettere in campo la mia modesta conoscenza della storia cristiana e della visione religiosa conseguente per descriverne la valenza sociologico-sociatrica.
di Sergio Bevilacqua
Ho sempre voluto mettere in campo la mia modesta conoscenza della storia cristiana e della visione religiosa conseguente per descriverne la valenza sociologico-sociatrica. Tutte le credenze, le religioni hanno un valore sociologico, nel senso che contribuiscono a regolare, secondo specifici valori e principi etici, il comportamento umano e le modalità dell’uomo di fare società.
Nella sua estrema sintesi e probabile parziale correttezza, ho colto questo post di Facebook dell’amico di un amico, tale Alessandro Saraceno, sul Cristo. Condivido abbastanza quello che scrive, che è a mio avviso patrimonio acquisito e che colloca Gesù di Nazaret in una dimensione globale anche relativamente a coloro che non si professano cristiani. Ecco il post, più o meno implicitamente dedicato proprio alla figura antropologico-culturale del Cristo.
“Vero Dio e Vero Uomo” per tutti i cristiani, perno della Storia e Re dell’universo.
Per i musulmani, importantissimo profeta sotto solo a Maometto.
Per i buddhisti, un illuminato che ha raggiunto la perfezione.
Per gli induisti, una manifestazione del divino secondo i criteri della loro cosmologia.
Per le filosofie e fedi orientali, un sapiente dall’esempio incredibile.
Per gli sciamanismi uno spirito grandissimo e benefattore dell’umanità.
Persino tra ebrei revisionisti Gesù è riletto come un grandissimo rabbi.
E se vogliamo dare una infarinatura filosofica occidentale… Per un epicureo, Gesù è l’uomo che, eliminato ogni superfluo, porta la pace nel cuore di chi intende seguire la vera felicità. Per uno stoico, Gesù è un esempio massimo di integrità e saldezza. Per un platonico, un perfetto emanarsi dell’Uno Bene; per un aristotelico la Conoscenza dell’ordine di vita e universo. E lo stesso Socrate avrebbe detto, di Gesù: fate come lui.
A livello laico, Gesù è fondamentale: esempio di filantropia, solidarietà e coscienza. È un avvertimento contro gli abusi di potere, di una giustizia arbitrariamente ingiusta e le follie della cecità ideologica. È il più secco NO allo strapotere dello stato e degli uomini. È il simbolo dell’estremo sacrificio accolto con grandezza. È l’esempio di quell’umiltà tipica di chi è veramente grande”.
Ho apprezzato lo sforzo esegetico di questo post, la vasta sintesi e alcuni spunti davvero pregiati. Ho anche inteso, però, analizzando la fonte, che il Saraceno non era del tutto contrario allo strattonamento di Cristo verso una ingenua visione anarchico-individualista, di matrice quasi stirneriana. A questa non solo il cristiano resiste, ma pure il sociologo-sociatra: il Cristo è così stimato, anche presso i non-cristiani, perché ha mostrato la grande utilità dell’organizzarsi. Certo, aveva dalla sua un’autorevolezza importantissima, dovuta alla diciamo discendenza e alle facoltà soprannaturali, nonché alla nitidezza del messaggio. Così ha fatto la sua Chiesa. All’interno della quale si è costruita un’organizzazione estesa e capillare (sembrano essere almeno sei milioni gli addetti della sola Chiesa Cattolica nel mondo). Tale organizzazione porta con sé gradi di discrezionalità e poteri.
Cristo poi non è anarchico anche perché, secondo la teologia, è figlio del Padre e opera in unità con lui e con lo Spirito Santo, quest’ultimo bellissimo semantema, tanto iperreale da identificarsi con l’espressione trascendente della immagine e somiglianza. La dimensione individuale del Cristo non è valore soltanto, è anche limite della sua trascendenza, che è dunque societaria: non collettiva, però, né personale. Cristo è in società strettissima (unità e trinità) con il Padre e con lo Spirito Santo e, accanto a loro, da questa “santissima” società, si apre il Ventre Mariano, che lega la Vita al progetto divino.
L’importanza della figura mariana è arca nel diluvio e anima della scienza: il Positivismo (mariano) produce, salva e aumenta il tempo del perdono e della missione terrena. Ed ecco dove volevo arrivare: il Negativismo è diabolico di sicuro per il tentativo di rimuovere il risultato scientifico in chiave prometeica. Senza l’affermazione del sapere positivo (dei sistemi chiusi delle Scienze cosiddette Esatte e delle Sistemi aperti delle Scienze cosiddette umane e/o sociali) la politica si espone alle rozzezze dei totalitarismi e dei populismi democratici, entrambi sciagure pericolosissime e altamente disfunzionali per l’umanità dell’era di Grande Massa, ove le persone societaria sono oltre dieci volte le persone fisiche.
Dunque Totalitarismi (anti democratici) e Populismi (rami marci dell’albero democratico) si esprimono non solo con un’articolazione caratteristica di quel potere che è connaturato all’imprescindibile natura societaria, ma anche con la rozza affermazione del privilegio al puro consenso, qualunque esso sia, anziché partire da assunti di “verità” propri della natura sistemica insita nella società umana, scientifica, cioè, e figlia di una doppia struttura epistemologica, quella esatta e quella a razionalità limitata. Riprendendo la metafora cristiana, gli assunti di verità scientifica sono basi, se vogliamo, mariane appunto, che non devono mai essere dimenticate nel lavoro politico, pena lo scivolamento verso la rovina delle civiltà. La scienza è donna? Di certo non è solo maschile, è al di là delle distinzioni di genere, perché, forse addirittura prima che verità, la scienza è il preciso collegamento tra il nostro modo antropomorfico di vedere la realtà e la realtà stessa (l’ontologico e l’ontico).
C’è chi ha sostenuto, e ancor’oggi lo fa, una obiezione femminile alla logica del ciclo EGEE della conoscenza scientifica (EGEE, iniziali di Euristica, Gnoseologia, Epistemologia ed Ermeneutica): l’esoterismo e la magia. Tale idea del mondo trova referenze storiche proprio durante l’affermazione del metodo sperimentale e della rivoluzione scientifica (XV-XIX secolo), quando cioè saperi sperimentali già sufficientemente certi entrano in concorrenza con supposizioni emotive o correlazioni incerte. La Gynandromakia (conflitto, competizione, guerra, tra donna e uomo) di quei tempi vedeva appunto nell’ampio spazio del sapere non-certo, agitarsi i fantasmi del malocchio e della pozione magica, con la eclettica mente femminile come massima interprete.
La caccia alle streghe ne è stato storico e sanguinoso capitolo, agito anche specificamente da parte delle Chiese cristiane. Esse, però, dopo una strenua resistenza iniziale al nuovo sapere sperimentali, si dimostrano poi, strada facendo, valide spalle della crescita della cultura scientifica: peraltro, in principio era il logos… Inoltre, il logos non è patriarcale: se è funzione psichica ha sede certamente nella corteccia cerebrale, quella parte del cervello umano particolarmente uguale tra uomini e donne; di conseguenza nemmeno la scienza è patriarcale. L’approccio sperimentale e le sue tecnologie e prassi sono umane tout-court, e ciò è dimostrato anche dai successi delle donne nelle scienze e anche dalla ripulsa consapevole e opportunistica della Rivoluzione scientifica da parte di civiltà contrassegnate da un patriarcato di tipo giudiziario (Islam soprattutto, ma anche Celeste Impero).
Dunque, tornando alla figura del Cristo così centrale nella civiltà occidentale, è ineludibile il legame con la Madre, simbolico ambiente di gestazione continua del rinnovato rapporto della umanità col mondo.
Se l’astratta matematica è araba, la concreta tecnologia, il rapporto tra mente e materia, è occidentale (e cristiana). E così l’industria e la nuova economia e società. L’ingrandirsi della torta economica però oggi non porta a ingredienti nuovi come la scienza degli ultimi tre secoli ci aveva abituato. L’impressione di minor cambiamento è anche sensazione di minor dinamismo e opportunità.
Il ripiegamento della società post-industriale (che significa non antindustriale ma ancora più basata sull’industria figlia della rivoluzione scientifica e tecnologica) verso una stasi delle varietà, con l’emergere prepotente di un immaginario digitale e anche altro, vede una nuova architettura delle figure interne all’umano: immaginario, simbolico e reale. Con tante nuove e pericolose patologie individuali e societarie che emergono, la vera risposta a tutto ciò sta nella Clinica individuale (psicologia clinica, psichiatria) e nella Clinica societaria (sociatria): in mano a esperti professionalizzati come clinici, i primi sempre più importanti e i secondi da formare urgentemente presso le università.
Sergio Bevilacqua