Treni moderni che corrono in sopraelevata ad una velocità doppia rispetto ai bus e dotati di vagoni letto, ristorante sulle tratte più lunghe. E così gli Stati Uniti si sono presi un altro schiaffo. Non dalla temuta Cina, rivale nell’egemonia planetaria, e neppure dal perfido Putin che prosegue imperterrito la sua campagna in Ucraina. Ma dal vicino meno quotato, il Messico, ossia “la faccia triste dell’America” cantata da Jannacci. E in Italia? 26 anni per inaugurare una tratta di 11 km tra Bari e Bitritto, mentre il completamento del raddoppio nel Ponente Ligure attende da oltre mezzo secolo.
di Massimo Ferrari
Il quale ha inaugurato, in anticipo sull’ingombrante colosso che lo sovrasta, la prima ferrovia davvero veloce e moderna del continente. Non proprio AV, ma una dignitosissima linea da 160 km/h che abbraccia l’intero periplo dello Yucatan per 1.554 chilometri.
Del “Tren Maya” avevo già scritto tempo addietro tra lo scetticismo diffuso dei molti che neppure conoscono i luoghi di cui si sta trattando. E, per dirla tutta, neppure io ero convinto che l’ambizioso progetto avesse concrete possibilità di riuscita. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le Americhe – a nord e a sud del Rio Grande – avevano abbracciato la sciagurata strategia yankee tutta centrata sul trasporto gommato, valutando evidentemente la rotaia come un’anticaglia del passato. Ma negli States, almeno, la rete realizzata sul finire dell’Ottocento era troppo grande e ramificata per non continuare ad offrire un rilevante contributo al trasporto delle merci e, in alcune zone densamente abitate – come la costa Atlantica, i dintorni di Chicago e la stessa California – anche dei passeggeri.
L’America Latina, già sfortunato “cortile di casa” degli Usa, con le ferrovie non ha mai combinato un granché. Tanto più di fronte allo sviluppo delle strade e degli aeroporti che avevano presto surclassato il treno, a corto degli investimenti necessari per reggere alla sfida. Non che mancassero qua e là lodevoli intenzioni di riscossa, destinate, però, quasi sempre a restare sulla carta.
Ricordo il grande atlante del Touring pubblicato negli anni Sessanta che riportava, con un tratteggio rosso, il percorso di una ferrovia che avrebbe dovuto raggiungere Acapulco, dove, però, il treno non è mai arrivato. E, più recentemente, le promesse del presidente brasiliano Lula, che assicurava una linea veloce tra San Paolo e Rio de Janeiro (in effetti, due megalopoli, distanti poco più di 400 chilometri) che avrebbe dovuto essere pronta per le Olimpiadi del 2016. Soldi poi, evidentemente, dirottati su interventi a sostegno delle classi popolari (o clientelari) che dovrebbero sostenere il “partito dei lavoratori”. Idem per l’idea dei Kirchner in Argentina, volta a realizzare un collegamento moderno tra Buenos Aires, Rosario e Cordoba, affossato dalla demagogia dei “trenes para todos” che adesso l’ultraliberista Milei si appresta ad affossare con le sue privatizzazioni.
Tra i giganti latinoamericani, il più malmesso era proprio il Messico, che un’altra ondata di privatizzazioni negli anni Novanta aveva privato dei treni passeggeri persino nelle aree suburbane della capitale, “el monstruo” sovrappopolato. Ma, pensandoci bene, perché mai i privati avrebbero dovuto investire su linee dai tortuosi tracciati ottocenteschi che, in assenza di costosi e radicali ammodernamenti, non consentono velocità commerciali appena competitive con la gomma?
Poi è arrivato Lopez Obrador, classificato dai politologi come un “populista di sinistra”. Probabilmente un altro “caudillo” incline a disastri demagogici, già tristemente sperimentati da Cuba al Venezuela? E invece no: Lopez Obrador, che sarà pure un demagogo con tendenze moderatamente autoritarie, all’atto del suo insediamento nel 2018, fece una promessa quasi surreale: realizzare entro la fine del suo mandato il “Tren Maya”, una linea a cappio che tocca tutti i siti archeologici – come Palenque o Chichen Itza – e le spiagge del golfo del Messico (Cancun, Playa del Carmen, Chetumal), sottraendo ai voli, ai bus ed alle auto a nolo migliaia di corse ogni giorno.
Una mega opera alla portata forse di Pechino o di Ryad, nazioni dotate di potenza economica o risorse petrolifere assolutamente incomparabili con il “povero” Messico. E, per di più, osteggiata dagli ambientalisti, che non perdono occasione per abbracciare le cause sbagliate. Cosa c’è di più ecologico di un treno che riduce le emissioni inquinanti di migliaia di veicoli e di centinaia di voli, convogliando su un itinerario fisso e relativamente poco invasivo un flusso di visitatori crescente e comunque inarrestabile (25 milioni di sbarchi a Cancun nel solo 2019, prima della pandemia)?
Se digitate “Tren Maya” su internet, potrete leggere parecchi commenti, quasi tutti pregiudizialmente ostili al progetto. “Un treno che devasta la foresta e minaccia la sopravvivenza delle popolazioni autoctone”. Opinioni prese pari pari dagli oppositori del governo messicano, senza un minimo sforzo di approfondimento critico. Personalmente ricordo un viaggio nello Yucatan del lontano 1979. Un giorno, da Merida, i miei compagni d’avventura fecero un’escursione in giornata verso le spiagge di Cancun. Ovviamente ci andarono in aereo. Io, invece, in un accesso di masochismo, scelsi di provare un trenino a scartamento ridotto che arrancava fino a Tizimin per 171 km. Cinque ore di viaggio all’andata, altrettante al ritorno. Di foreste pluviali, manco l’ombra: solo sterminate piantagioni di sisal. A bordo poveri campesinos provvisti di machete che capivano poco lo spagnolo. Vuoi vedere che il “Tren Maya” potrà, forse, migliorare l’economia locale?
In ogni caso, rassegnato alle campagne ideologiche che bloccano – o ritardano di decenni – le grandi opere in Europa e negli Usa, neanch’io avrei scommesso molto sul futuro del “Tren Maya”. Poi, l’estate scorsa, mia figlia ha fatto una vacanza nello Yucatan. Le avevo chiesto: guarda se si vede qualcosa di questo progetto. Al ritorno mi ha detto: “Papà, ci sono cantieri dappertutto”. Infatti, il 15 dicembre, è stata inaugurata la prima tratta di oltre 500 km da Campeche a Cancun, il 15 gennaio sono stati aperti altri 200 km ed a marzo, prima delle elezioni programmate in primavera, dovrebbe entrare in funzione il resto. Treni moderni che corrono in sopraelevata ad una velocità doppia rispetto ai bus, dotati di vagoni letto e ristorante sulle tratte più lunghe. Chapeau!
E non è tutto. E’ già stata ristrutturata la ferrovia di 160 km che va da Coatzacoaltos, porto del Golfo del Messico, a Salina Cruz, sul Pacifico. Una tratta che era decaduta dopo l’apertura del Canale di Panama e adesso torna in auge. Anche lì sono tornai i treni passeggeri. Mentre addirittura si ipotizza di ripristinare sette itinerari per convogli viaggiatori che tornerebbero ad abbracciare l’intero territorio messicano, dal Chiapas al Rio Grande, proprio come ai bei tempi.
Il fatto è che Lopez Obrador sarà pure un po’ autoritario (però non si ripresenta alle urne e la sua vice si sottopone al giudizio degli elettori), ma ha fatto una promessa, ha preso atto delle resistenze degli oppositori, e poi ha tirato diritto, rispettando le scadenze pattuite. Cosa che non sono riusciti a fare né Trump, con il suo “America first”, né “Amtrak Joe” Biden, che pure aveva promesso il rilancio alla grande del treno a stelle e strisce. Ma poi si è impantanato nelle resistenze delle compagnie che gestiscono il traffico merce, nei ricorsi degli agricoltori soggetti ad esproprio, nel fuoco di sbarramento degli ambientalisti che il treno lo vogliono sì, ma “non nel mio giardino”.
E così, in quella che resta (ma per quanto ancora?) la maggior superpotenza del Mondo, non si riesce neppure a calendarizzare il completamento dell’alta velocità tra San Francisco e Los Angeles, tra Dallas e Houston o in Florida, mentre tra Washington e New York, unica relazione con caratteristiche davvero europee, ci si dovrà svenare per rifare il tunnel sotto l’Hudson che permette l’accesso dei treni a Manhattan. Forse la prima linea davvero veloce correrà da Los Angeles verso Las Vegas, giusto per favorire l’afflusso dei giocatori incalliti nei casinò del Nevada.
Altrimenti gli yankee dovranno subire un bagno di umiltà e scendere nel bistrattato Messico per vedere come si può viaggiare veloci e sicuri nel XXI° secolo. E non parliamo, per carità di Patria, di casa nostra, dove occorrono 26 anni per inaugurare una tratta di 11 km tra Bari e Bitritto, mentre il completamento del raddoppio nel Ponente Ligure, cominciato nella notte dei tempi, non si sa ancora quando terminerà. Forse allora qualcuno comincerà a pensare che, tra una democrazia che si dilania solo sul politicamente corretto e sul “cancel culture”, ma lascia decadere le infrastrutture di cui un tempo andava fiera, ed un presidente decisionista che, una volta tanto, completa in cinque anni la grande opera che aveva promesso, la seconda delle opzioni non è poi del tutto da scartare.
Massimo Ferrari
2/ULTIMA ORA- RADDOPPIO BINARI TRA ANDORA E FINALE
IL TRACCIATO RESTA QUELLO DEL 2011. PIU’ ESPROPRI DI TERRENI. MA SOLO VILLANOVA D’ALBENGA HA DATO FINORA LA DISPONIBILITA’ PER ACCOGLIERE IL MATERIALE DI SCAVO DELLE NUOVE GALLERIE
Il consigliere regionale Enrico Ioculano ((Pd-Articolo Uno) ha presentato un’interrogazione in cui ha chiesto alla giunta lo stato del finanziamento dell’opera riguardante il raddoppio ferroviario Finale-Andora.
Il consigliere ha ricordato che il 30 marzo 2023 il presidente Toti ha presentato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il piano strategico delle opere dove figurava anche il raddoppio tra Andora e Finale Ligure e che un anno prima il Commissario straordinario per il completamento del raddoppio della linea ferroviaria Genova-Ventimiglia dichiarava che l’opera non era ancora finanziata. (A differenza del Ponte sullo Stretto di Messina, 12 miliardi, voluto dal ministro Salvini e condiviso dal governo Meloni ndr)
L’assessore alle infrastrutture Giacomo Giampedrone ha precisato che il tracciato ferroviario del 2021 ripercorre sostanzialmente quello del 2011 mentre, per quanto concerne la fascia di esproprio, ci sono alcuni sforamenti in corrispondenza di alcuni Comuni.
L’assessore ha aggiunto che RFI nel giugno 2023 ha comunicato alla Regione di voler procedere con l’approvazione del progetto definitivo chiedendo la verifica con i tre Comuni interessati sull’effettiva disponibilità di utilizzare i siti per il conferimento del materiale proveniente dallo scavo delle nuove gallerie e che, finora, solo il Comune di Villanova d’Albenga ha confermato la disponibilità.