Storia dell’Abbazia di San Pietro in Varatella, a Toirano. Ispirata al primo successore di Cristo, per secoli testimone sulla Via del Sale.
di Ezio Marinoni
Non sapremo mai se San Pietro, in uno dei suoi viaggi apostolici, sia passato dalla Val Varatella e abbia ispirato la nascita della prima cappella che porta il suo nome, sul monte che sovrasta Toirano. La sua orma, fisica e spirituale, è comunque rimasta, fino ad oggi, in questa chiesetta che guarda il mare e sorveglia la vita e il passaggio nella vallata sottostante.
L’abbazia di San Pietro è ubicata, nel Comune di Toirano, sulla sommità del Monte Varatella, o San Pietro ai Monti, a 895 metri sul livello del mare; in posizione dominante sulla vallata attraversata dal torrente omonimo. Il sito è raggiungibile solo attraverso sentieri escursionistici. Il più agevole s’imbocca lasciando la strada provinciale n.1, all’altezza del Giogo di Toirano; quindi, si prosegue a piedi per circa 1 ora e 15 minuti.
Il Monte San Pietro è chiamato anche Varatella, dal nome del torrente che bagna la valle. Vara è, dal punto di vista etimologico, un nome di provenienza del popolo ligure preromano che indica un corso d’acqua, mentre per quanto riguarda l’etimologia della parola Tell o Tellin potrebbe far riferimento alla teogonia ligure ed a una dea della fertilità.
L’importanza dell’abbazia è legata a doppio filo alla sua posizione sulle vie di comunicazione che attraversavano la valle. In antichità, prima che fosse bonificato, il torrente alla foce formava una palude, a monte della quale passava la Via Julia Augusta, che collegava Vada Sabatia (l’attuale Vado Ligure) con Album Ingaunum (l’attuale Albenga). Da tempi immemorabili, dalla costa partivano sentieri che si inerpicavano sui monti verso il basso Piemonte per il commercio del sale. L’idea comune delle Alpi (o degli Appennini) come confine naturale tra popolazioni è da rivedere, perché esse erano luoghi di scambio, vie di comunicazione attraverso i valichi.
Più fonti affermano che le origini del cristianesimo nell’area ingauna risalgono al periodo compreso tra il 356 e il 360 d.C., quando San Martino di Tour giunge sull’Isola Gallinara, ove vi si rifugiò per sfuggire alla persecuzione ariana. L’inizio del cristianesimo nell’alto Tirreno si forma su alcune isole (Bergeggi, Gallinara, Lérins, Tino), che vengono popolate da uomini solitari, che vi si rifugiano per condurre una vita eremitica ed ascetica.
All’epoca carolingia risale la fondazione del monastero di Toirano (circa l’anno 775), sulla base di una cronaca trecentesca che oggi si riconosce compilata sulla base di documenti autentici, donato ai monaci benedettini.
In una antichissima “Cronaca” si trascrive la tradizione secondo la quale l’apostolo Pietro, proveniente da Antiochia, per sfuggire alla persecuzione di Nerone si rifugiasse sul monte che prenderà poi il suo nome, dove fonda la prima chiesa in territorio italiano (a questa storia, mancano ad oggi riscontri storici o archeologici).
La storia dell’abbazia di San Pietro ai Monti s’intreccia con quella del monastero sito sull’isola Gallinara. Infatti, i due monasteri, professanti la stessa Regola benedettina, applicheranno la propria influenza, uno verso la zona orientale, l’altro verso la zona occidentale. L’abbazia di San Martino e Santa Maria sull’Isola Gallinara rivolse il suo interesse verso la Provenza e la Catalogna, mentre l’abbazia di San Pietro ai Monti, vista la sua posizione montana, s’interessò maggiormente dei territori posti verso le valli piemontesi.
Dopo il riordino dei territori effettuato dal Re d’Italia, Berengario, nel 1075, Diodato vescovo di Albenga, dell’Ordine dei Certosini, concede nuovamente ai benedettini dell’abbazia (29 giugno 1076) i territori di Conscente, di Caliciana o Calice, di Bardineto, di Toirano, di Loano e di Borgio con l’aggiunta di un mulino. La donazione è trascritta da Semeria in Secoli Cristiani della Liguria, ossia Storia della Metropolitana di Genova, delle Diocesi di Sarzana, di Brugnato, Savona, Noli, Albenga e Ventimiglia, del 1843 (1).
Come detto, la posizione favorevole del cenobio, per il passaggio di pellegrini e per l’ubicazione sulla Via del Sale le ha concesso un ruolo di primaria importanza nell’economia del territorio. Nei secoli XI e XII il monastero aveva dipendenze, chiese ospizi e grange, vasti possedimenti terrieri valutabili in decine di migliaia di ettari e centinaia di servi. Il territorio gestito direttamente dai servi dell’abbazia aveva il suo confine col torrente Nimbalto di Loano, come indicato in un documento del 1312 firmato da Raffo Doria (2) e (3).
Donazioni territoriali e decreti dei Vescovili di Albenga, nel corso dei due secoli successivi, ad accrescere l’importanza religiosa e soprattutto territoriale dell’abbazia benedettina, ordine che vi dimora stabilmente fino al 1313. L’abbazia vantava proprietà in Calizzano, Bardineto, Murialdo, Massimino, Nucetto, Battifollo, Bagnasco, Malpotremo, Camerana, Dolcedo, Triora, Toirano, Capo D’Anzio, Caprazoppa, Loano, Borgio Verezzi, Pietra Ligure, Albenga, Val Neva, Conscente, Garessio, Valle d’Arroscia, Alto, Mombasiglio.
Una serie di avvenimenti ci illuminano circa la debolezza spirituale all’interno del monastero, che sembra più un feudo in conflitto con il vescovato, più che un luogo di ritiro spirituale: è iniziata la parabola discendente dei benedettini. Nel 1308 il vescovo ricorre al pontefice Bonifacio VIII, che accetta la richiesta di soppressione del cenobio per grave decadenza e il 16 ottobre 1308 il vescovo lo avoca alla Mensa vescovile di Albenga. Il 5 aprile 1315 il vescovo Emanuele Spinola consegna al priore della Certosa di Casotto (4), Nicolino Incerio da Mondovì, l’abbazia in decadenza. Le condizioni della cessione contemplano la sua ricostruzione, la celebrazione regolare dei riti, la presenza in loco di un priore e di un numero adeguato di monaci.
Nel 1495 le difficoltà amministrative e la necessità di controllare le proprietà a valle spingono i monaci a trasferirsi accanto al borgo, dove sorge una nuova certosa, oggi distrutta. Le motivazioni che spinsero i certosini ad abbandonare il monastero sul Monte San Pietro, anche per la presenza di una loro cartiera e di un oleificio nei pressi di Toirano, con abbandono dei luoghi montani.
La nuova Certosa si svilupperà su un’area di circa 3000 metri quadrati, all’interno della quale sarà innalzata una chiesa di ben 36 metri di lunghezza per 8 di larghezza, con annesso campanile di 63 m. Le motivazioni addotte dai monaci le troviamo nella Cronaca riportata da Gerolamo Rossi nel Chronicon veteris monasteri S. Petri de Varatella.
Nel 1525 alcuni monaci torneranno ad abitarla per sfuggire alla peste, ma le difficoltà di accesso li spingeranno ad abbandonare il monastero ancora una volta. Poi, l’edificio sulla sommità del monte subirà un lento e progressivo abbandono; soltanto una volta all’anno, il 1° agosto nel giorno di San Pietro in Vincoli, rimase la tradizione di ritornare nell’antica chiesa e compiervi così un pellegrinaggio. Oggi questa festa viene celebrata il 1° Maggio, e ogni cinque anni si svolge la tradizionale processione dal Borgo di Toirano alla sommità del monte.
Oggi la chiesa è una piccola ed austera costruzione, con il profilo del tetto a capanna. L’interno è a navata unica, con un solo affresco: un trittico costituito da tre affreschi incorniciati da tre archi. A sinistra abbiamo san Desiderio martire, vescovo di Langres, in qualità di fondatore reca un dono rappresentato da un cofanetto a forma di basilica. A destra inginocchiato san Brunone, fondatore dell’ordine Certosino ed in piedi san Benedetto, fondatore dell’ordine omonimo. Entrambi questi affreschi non sono gli originali, in quanto durante l’intervento di spostamento del muro nell’attuale posizione essi sono andati distrutti. Il solo affresco rimasto intatto e successivamente restaurato (negli Anni ’80) è quello centrale, che rappresenta San Pietro benedicente con il triregno, affiancato da due angeli con le insegne pontificie, il pastorale e le chiavi.
Per quanto riguarda l’affresco rappresentante San Pietro benedicente in cattedra, possiamo attribuirgli con certezza una datazione antecedente al 1495: da più documenti è accertata la data nella quale i monaci abbandonarono il cenobio posto sul Monte Varatella per insediarsi più a valle. Una ulteriore informazione storica e artistica per la datazione dell’opera ci giunge dal canonico Gio. Ambrogio Paneri che, nel 1624, scrive: ”l’antica effige di San Pietro in cattedra sedente, …, ché può dirsi divinamente per molte centinaia d’anni intatta si conserva…” (5).
Sulla parete destra in prossimità dell’ingresso abbiamo una porta che conduce alla legnaia, mentre in posizione più avanzata possiamo identificare i segni di una precedente porta d’acceso posta sul lato lungo occidentale della basilica. Questa precedente apertura si raggiunge dall’esterno attraverso un porticato con volte a crociera e una scalinata; presumibilmente era l’antico l’ingresso dell’abbazia. Dalla legnaia attraverso una piccola apertura si sale a un vano posto al piano superiore. Per tradizione questo vano è chiamato “la stanza del vescovo”. Nel sottotetto dell’attuale legnaia vi sono pareti divisorie in muratura che non hanno alcuna utilità architettonica, la cui funzione lascia spazio a varie e incerte interpretazioni.
L’unica decorazione esterna è rappresentata dalla meridiana adiacente al portico della stalla. Vicino si trova il pozzo con un parapetto scolpito in un unico blocco di pietra.
L’antica abbazia è raggiungibile attraverso diversi sentieri, ma il più suggestivo si snoda sui 4 km. del percorso processionale. Si parte dalla chiesa parrocchiale di San Martino, si entra nella Contrada della Braida, dove si incontra la chiesa della Madonna delle Grazie e del SS. Nome di Gesù, un tempo vicariato domenicano. Si oltrepassano i mulini in direzione della Certosa, fino alla località Vigne; quindi, i resti della chiesetta di San Paolo e si imbocca il sentiero “ca du prau”. Il sentiero sale con pendenza regolare fino alla chiesa ottocentesca di San Pietrino (477 m.). Si raggiunge un ripiano denominato Castellaro, che rimanda ad antiche fondazioni, con i ruderi della Case Fossae.
Dopo la congiunzione con il sentiero proveniente da Boissano, si scopre il masso erratico chiamato Pietra del Gallo (come non pensare all’episodio evangelico del tradimento notturno di Pietro?). Il sentiero si fa erto, fra dirupi e rocce, ed eccoci alla “burdunaira”: il sentiero si stringe fra le rocce, qui il viandante doveva pagare il pedaggio per raggiungere il monastero. Nei giorni sereni, la vista dall’alto ripaga la fatica dell’ascensione: da qui la vista spazia dal Ponente al Golfo di Genova, dalle montagne liguri alla Toscana e fino alla Corsica.
Ezio Marinoni
Note
- Il documento originale viene trovato dall’archeologo Felice Isnardi nell’Archivio Capitolare di Albenga e pubblicato dal medesimo nel n. 73 della “Gazzetta Piemontese”, edita il 30 marzo 1838.
- Scarse le notizie su questo personaggio. Raffo Doria, figlio di Oberto, è vissuto cavallo del 1300.
- Tra i diversi possedimenti del monastero, vi erano il priorato di Borgio Verezzi, in un primo tempo intitolato a san Pietro, attualmente Santuario della Madonna del Buon Consiglio; l’ospedale di Santo Spirito sul capo omonimo; l’ospedale di San Nicolò a Pietra Ligure; un priorato ad Albenga, anch’esso intitolato a san Pietro, non lontano dall’attuale chiesa di Pontelungo. Inoltre, da testimonianze documentarie possiamo inserire anche il monastero di San Giovanni di Loano, appartenuto alle benedettine e soppresso nel 1260 per ordine di Papa Alessandro IV dal Vescovo di Albenga Lanfranco, per grave decadenza morale e religiosa.
- L’Ordine Certosino nasce dalla volontà del suo fondatore, san Bruno di Colonia detto anche san Brunone, di ritirarsi in solitudine per pregare, spogliandosi di tutti gli averi. La Certosa di Casotto è riconosciuta come la prima fondazione certosina in Italia.
- L’opera Sacro e vago giardinello è il resoconto della visita pastorale di Monsignor Pier Francesco Costa, Vescovo di Albenga dal 29 aprile 1624 al 14 marzo 1655, deceduto
TOIRANO- IL NATALE DELLE SPELEOLOGO