Reportage di Vanity Fair del 5 dicembre 2023. Pensiamo a una superficie spessa 30 centimetri che ospita oltre un terzo della biodiversità del Pianeta. E’ una «farmacia gratis», ci nutre e protegge l’ambiente dai dissesti idrogeologici. Eppure, è sempre più erosa dalla cementificazione. Come raccontano le storie di chi, in Liguria e non solo, sta cercando di invertire la rotta.
di Laila Bonazzi- Vedi il reportage anche fotografico da Loano e Borghetto S. Spirito e non solo.
La signora Paola Cenere, 79 anni, zappetta sotto i suoi alberi di limoni, in uno degli ultimi orti rimasti a Loano, provincia di Savona. Quando per sbaglio rompe una radice, annusa il profumo di agrumi. «Il terreno non è più quello di una volta», dice, «quando i miei genitori avevano alberi da pesche e albicocche talmente carichi di frutti che li spedivano a Milano per venderli». È rimasta un po’ stupita quando la fotografa Greta Stella, sua vicina di casa d’infanzia, le ha chiesto di posare per il progetto Cementum, una ricerca visiva sull’impatto del cemento in Liguria e sulle terre che resistono.
Dietro a Paola troneggiano scheletri di palazzi in costruzione, gli ennesimi, con un cantiere che va a singhiozzo. L’orto non lo vende, ribadisce, come non lo hanno venduto i suoi genitori, mentre i cugini hanno preferito liberarsi degli appezzamenti di terra ereditati dai nonni. La sua è una resistenza inconsapevole a un fenomeno che ha un nome preciso: il consumo di suolo, una piaga non solo italiana, ma che da noi è un hobby particolarmente praticato a partire dagli anni ’60.
Se gli alberi, per quanto non stiano messi bene, hanno trovato qualche difensore, così come il mare ha i suoi attivisti, il suolo non vive un momento di grande popolarità. Eppure è come un animale in via d’estinzione, solo meno carino dei cuccioli di tigre. Si è guadagnato una Giornata mondiale dedicata, il 5 dicembre, e in Italia almeno un grande estimatore. Il professor Paolo Pileri, docente di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, è infatti in missione per renderlo «sexy» (ha scritto diversi libri, l’ultimo, per Altreconomia, si intitola proprio L’intelligenza del suolo).
«Non difendiamo ciò che non conosciamo», spiega, «e sul suolo esistono almeno due concetti sbagliati nel sapere comune. Non è una semplice superficie su cui appoggiare le cose, ma ha uno spessore di 30 cm. Camminiamo su qualcosa di vivo, che ospita oltre un terzo della biodiversità del Pianeta. Un cucchiaino di suolo contiene 9 miliardi di unità di vita, di cui ne conosciamo tra il 3 e il 5 per cento». Alcuni di questi sono batteri che ci hanno gentilmente donato antibiotici utilissimi a salvarci la vita in diverse occasioni. Una delle espressioni preferite di Pileri è che il suolo è una «farmacia gratis», ma siccome spesso si trova a dover convincere persone che capiscono meglio la lingua dei soldi, aggiunge che un ettaro di suolo libero e sano vale 70 mila euro per tutti i servizi che ci offre.
Oltre alla ovvia funzione alimentare (il 99 per cento delle calorie che assumiamo arriva dai primi 30 cm di terra), un suolo sano protegge dai dissesti idrogeologici, raccoglie l’acqua, regola le temperature e «stocca una valangata di anidride carbonica», per dirla alla Pileri, ovvero ha un ruolo fondamentale nel contrastare la crisi climatica, perché trattiene l’anidride carbonica delle piante, che la sequestrano dall’atmosfera passandola nel terreno.
Tutti i sindaci d’Italia conoscono Pileri, la grande maggioranza potrebbe avere sulla scrivania una sua lettera che li invita, dati alla mano, a proteggere qualche pezzo di terreno dall’edificazione. Il professore è anche membro del comitato scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’agenzia governativa che ogni anno stila il rapporto sul consumo di suolo in Italia. «Lo leggono in pochi», scherza Pileri. L’ultimo, presentato proprio a Genova un paio di mesi fa, comunica che in un solo anno il consumo di suolo è aumentato del 10,2 per cento: «Gravissimo, soprattutto per i dati riferiti alle aree a pericolosità idraulica e di frana». I numeri aumentano ogni anno. Incredibilmente, persino durante il Covid, quando eravamo tutti chiusi in casa, il consumo di suolo è cresciuto. «Lombardia e Veneto guidano sempre la triste classifica», conclude Pileri, «la Liguria, invece, insieme alle Marche, detiene il primato di cementificazione delle coste, a cui aggiunge una particolare fragilità idrogeologica, come sappiamo».
Gabriele Timossi, 29 anni, è un altro ligure resistente protagonista di Cementum, forse più consapevole della signora Paola. A lei lo accomunano le mani sporche di terra. Vive in collina a Genova, in zona Teglia, tra i due quartieri più cementificati della città, Bolzaneto e Begato. La sua azienda agricola, Monte Galletto, è una specie di oasi: una realtà parallela circondata dai palazzi, a circa venti minuti d’auto dal famoso acquario. Anche nel suo caso, la terra è ereditata, dal nonno e poi dal padre. Il primo, dopo la guerra, è riuscito a vivere dei proventi del lavoro agricolo e degli animali, mentre il secondo ha poi dovuto trovare un altro impiego, senza però lasciare mai questo pezzo di terra, di cui oggi si occupa Gabriele quando non ha i turni di manutentore dei binari dei treni. «Il sogno sarebbe tornare a vivere di questo, vendendo i nostri prodotti e magari aprendo un’attività di ristorazione con la mia ragazza. Ho anche frequentato un corso di pet therapy con i miei asini, sarebbe bello poter offrire questi servizi a bambini e ragazzi disabili», racconta mentre l’asina Camilla si fa grattare la testa come un cagnolino. È la matriarca dei nove ciuchini che oggi vivono con Gabriele.
Teglia è attraversata dal torrente Polcevera, ormai ridotto a un rigagnolo rispetto ad anni fa, e dalle ferite lasciate dalla demolizione delle «dighe», i palazzi popolari del quartiere Diamante: giganti di cemento che tagliavano la vallata per dritto, di cui oggi rimangono solo le fondamenta, in attesa di un progetto di riqualificazione che dovrebbe terminare nel 2025. «Quello che
sorprende», continua Gabriele, «è che il passaggio da collina verde a obbrobrio di cemento è stato rapidissimo, nel giro di 10-20 anni, raccontava sempre mio padre».
I progetti di depavimentazione o decostruzione (ovvero, eliminare cemento ed edifici per tornare alla terra) si possono realizzare, ma il suolo è un elemento fragile e molto lento nel rinnovarsi: impiega centinaia di anni per riformarsi e tornare in salute. Dello stato di benessere del suolo si parla anche alla Cop28 di Dubai (in corso fino al 12 dicembre). A portare avanti le istanze della pelle del Pianeta durante la conferenza è il movimento globale** Salva il suolo**, fondato nel 2022 dallo yogi e leader spirituale indiano Sadhguru. Personaggio che gode del sostegno sia di diverse star hollywoodiane, da Rosario Dawson a Mark Wahlberg, sia di quello di alcune agenzie delle Nazioni Unite, come il Programma alimentare mondiale e la Fao. Il movimento ha grande seguito anche in Italia, data la popolarità di Sadhguru e, forse, data anche un’antica anima contadina che non riusciamo a zittire nemmeno dopo decenni di cementificazione selvaggia.
Salva il suolo denuncia che il 52 per cento dei terreni agricoli mondiali è degradato, ovvero ci restituisce cibi scarsi e poco nutrienti e contribuisce quindi al pericolo di una crisi alimentare globale. L’obiettivo del movimento è garantire un contenuto organico minimo del 3-6 per cento nel suolo agricolo di tutto il mondo. Questo renderebbe il suolo vivo e utilizzabile in modo sostenibile in tutti i terreni agricoli. Forse, tornerebbe anche a far crescere pesche e albicocche
nell’orto della signora Paola a Loano.
Piantare alberi sui tetti o coltivare l’insalata in verticale in un dito d’acqua possono sembrare soluzioni alternative, per poter fare a meno del suolo, ma la realtà è diversa. I giardini urbani diventano un bene sempre più prezioso e lo stereotipo della città- progresso contro la campagna simbolo di arretratezza sta lentamente invertendosi. Siamo persino arrivati a pagare per andare
a camminare barefoot (a piedi nudi) nei boschi e annusare il profumo delle prime gocce di pioggia a terra. Il fenomeno si chiama petricore e, per quanto sembri un’essenza romantica e avvolgente, è molto pragmaticamente un odore derivato dall’azione di alcuni batteri del suolo. Che ce lo producono gratis.
Laila Bonazzi