Genova degli scrittori (prima parte)- Molti sono stati gli scrittori che nelle loro pagine hanno parlato di Genova. Poeti e prosatori che, nei secoli, hanno tratto ispirazione dalla “Superba” o ne hanno subito il fascino.
di Tiziano Franzi
Alcuni sono stati semplicemente di passaggio durante viaggi più lunghi, mentre altri l’hanno scelta come meta di soggiorno. Nel dramma “Il gabbiano”, lo scrittore russo Anton Čechov parla di Genova come “La città più bella del mondo“. Il filosofo tedesco Nietzche sostiene che “Quando uno va a Genova è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé”. L’inglese Charles Dickens (la nipote Sophie Dickens, affermata artista, vive a Pieve di Teco-Im) ne fa una descrizione quasi onirica, e il francese Stendhal lascia consigli pratici per soggiornare in città. Ma ancora Paul Valery, Mary Shelly, drammaturgo russo.
“Era difficile descrivere il sentimento che lo colse alla vista della prima città italiana, la magnifica Genova. Si innalzarono su di lui i suoi campanili policromi, le chiese rigate di marmo bianco e nero e tutto il suo anfiteatro turrito che all’improvviso lo circondò da ogni parte, nella sua raddoppiata bellezza… Non aveva mai visto Genova prima di allora…”.[…]
“Genova è magnifica, moltissime case somigliano piuttosto a palazzi, adorne di quadri dei migliori pittori italiani, però le strade sono così strette che due persone affiancate non riescono a passarci. In compenso, sono lastricate di marmo e molto pulite.”
E ancora: George Byron e altri ancora, fino ai contemporanei. Ma se è vero che le maggiori testimonianze letterarie su Genova risalgono al periodo del grand tour, non mancano illustri esempi in un passato più lontano, a cominciare da Dante e Petrarca.
Nelle pagine che seguono riporterò alcune tra le più significative di esse, seguendone l’ordine cronologico. Quasi in tutte gli autori parlano con entusiasmo e trasporto della città, alcuni (pochi, in verità) ne ricevettero invece un’impressione piuttosto negativa; ma per farsi un’idea di ciò che “la dominante” ha lasciato nella mente di illustri uomini di penna, è giusto conoscere anche questi.
Muhammad al-Idrisi (1099-1164) geografo e viaggiatore arabo. ‘La città pullula di ricchi mercanti che viaggiano per terra e per mare e si avventurano in imprese facili e difficili. I genovesi, dotati di un naviglio formidabile, sono esperti nelle insidie della guerra e nelle arti del governo; tra tutte le genti latine sono quelle che godono di maggior prestigio.
Beniamino di Tudela (1130-1173) geografo ed esploratore spagnolo. “La città è circondata da mura e gli abitanti non sono governati da un re, ma da magistrati che nominano a loro piacimento. Ogni cittadino ha sulla casa una torre, e nei periodi di guerra si combattono fra di loro dall’alto delle torri. Hanno il dominio del mare; costruiscono delle imbarcazioni chiamate galeras e compiono atti di pirateria contro ʾEdom e Išmaʿʾ, dal paese di Javan fino alla Sicilia, ed il bottino dei loro saccheggi lo riportano da ogni parte a Genova. Sono in guerra permanente con i pisani”.
Dante Alighieri (1265-1321) poeta italiano. “Ahi Genovesi, uomini diversi d’ogne costume e pien d’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?” Il “Ghibellin fuggiasco” prende inoltre a modello, dopo averla attraversata entrandovi da Lerici, l’aspra nostra terra, per descrivere la montagna del Purgatorio:
“Tra Lerice e Turbia la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole ed aperta”.
(Canto III del Purgatorio, verso 49-51).
Proseguendo verso Genova Dante s’imbatte infine nella splendida foce del fiume Entella così descritta:
“Intra Siestri e Chiaveri s’adima
una fiumana bella….”
(Canto XIX del Purgatorio, versi 100-101).
Simone Boccanegra(1301-1363) primo e quarto Doge della Repubblica di Genova
“Vieni a mirar la cerula
marina tremolante;
Là Genova torreggia
Sul talamo spumante;
Là i tuoi nemici imperano,
Vincerli indarno speri…
Ripara i tuoi pensieri
Al porto dell’amor”.
Francesco Petrarca (1304-1374) poeta italiano. “A quel tempo eravate il popolo più felice della terra. Il vostro paese pareva un soggiorno celeste così son dipinti gli Elisi. Quale spettacolo dalla parte del mare! Torri che sembrano minacciare il firmamento, poggi coperti di ulivi e melaranci, case marmoree in su le rupi, e deliziosi recessi in tra gli scogli, ove l’arte vincea la natura, e alla cui vista… i naviganti sospendeano il movimento dei remi, tutti intenti a riguardare. Ma chi veniva da terra, meravigliando, vedeva uomini e donne regalmente vestiti, e fino tra boschi e montagne delizie incognite nelle corti reali. All’ingresso della città vostra, pareva mettere piede nel tempio della Felicità e di lei si preferiva ciò che fu detto anticamente di Roma: questa è la città dei Re.” E ancora: “Vedrai una città regale addossata ad una collina alpestre, superba per genti e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare“.
Anselmo Adorno (1424 – 1483) mercante, politico e diplomatico olandese di origine genovese. “Tra le città d’Italia Genova mi è parsa in gran parte la più illustre per taluni aspetti e la più bella, a meno che non mi inganni e non mi tragga in errore l’affetto per l’antico progenitore Opizzino Adorno, che trasse origine da qui. Non mi ricordo di aver visto nessuna città, eccetto Damasco, più piacevole dall’aspetto esteriore: se uno si ferma presso la torre di Capodifaro, considererà la visione della città che gli si offre molto piacevole e mirabile”.
Giovanni Battista Ridolfi (1448-1514) uomo politico e diplomatico fiorentino. “Et da mano manca ha i poggi altissimi, dove sono le mura fate a spinapesce, et è fortissima perché ha le vie molto strette et le case comunemente tutte alte et fa dell’anime 90 mila o più et è benissimo artigianata”.
Jean d’Auton(1466-1528) annalista, religioso e scrittore “… l’abilità nautica di Genova è tenuta in tale reputazione e stima in tutto il mondo che i genovesi sono detti signori del mare”.
Miguel de Cervantes (1547-1616) scrittore, drammaturgo e poeta spagnolo. “Finalmente, morti di sonno, fradici mezzi e con tanto di occhiale, arrivarono alla bellissima e splendida città di Genova; e una volta sbarcati nel suo ben riparato Mandracchio, dopo aver visitato una chiesa, il capitano insieme con tutti i suoi camerati andarono a finire in un osteria dove, con il “gaudeamus” presente, cancellarono dalla memoria tutte le burrasche passate. Lì conobbero la soavità del Trebbiano, la forza del Montefiascone, la robustezza dell’Asprino, la generosità di due vini greci di Somma e di Candia, il valore di quello delle Cinque Terre, la dolcezza e la placidità della signora Vernaccia, la rusticità della Cèntola, senza che in mezzo a tutti questi signori osasse far capolino la volgarità del romanesco. E quando l’oste ebbe compiuto la rassegna di tanti e così diversi vini , si offerse di far comparire lì, senza ricorrere ad alcun trucco e non come se fossero dipinti su d’un foglio, ma reali e sinceri, il Madrigal, il Coca, l’Alaejos e il vino della imperiale più che imperiale città di Ciudadreal, ostello del Dio della risata. E offerse ancora l’Esquivias, l’Alanìs, il Cazalla, il Guadalcanal e il Membrilla, senza dimenticare il Ribadavìa e i Descargamarìa. Insomma l’oste nominò più vini e più ne mise in tavola, di quanti abbia mai potuto averne nelle sue cantine Bacco in persona. Stupirono il buon Tommaso anche i biondi capelli delle genovesi, e il bell’aspetto e la cortesia degli uomini, la bellezza meravigliosa della città, che su per quelle rocce pare che sia fatta di case incastonate come i diamanti nell’oro”.
“Sui marciapiedi di San Francesco s’era riunito un crocchio di Genovesi; e, mentre egli (Tommaso Rotella) passava di lì, uno di loro lo chiamò dicendo: “Venga qua, signor Invetriata, e ci conti qualche cosa”. E rispose: “Niente affatto, se conto qualche cosa me lo portate a Genova”.
Lope de Vega (1562-1635) scrittore, poeta e drammaturgo spagnolo. “E tu, Genova, gloriosa te ne stai. Oggi la tua repubblica si adorni di nuovi, vivaci colori, perché, fra i tanti tuoi eroici e intraprendenti capitani, Colombo è fra i migliori. Ora il mai visto orizzonte degli Indiani d’Occidente, si può ammirare qui, in Spagna, come dalla sommità d’un’alta montagna”.
Fynes Moryson (1566-1630) esploratore e scrittore inglese.
“All’entrata di Genova scorgemmo due palazzi signorili, uno di Giorgio d’Auria, l’altro di un signore chiamato Cebà. Mentre ci si avviava dentro la città e prima di entrarne alle porte v’è il sontuoso palazzo di Andrea d’Auria. L’edificio stesso, il giardino, le scale digradanti al mare, la sala dei banchetti, e diverse pinacoteche sono di magnificenza regale. Non lungi da lì, a una parete c’è una statua eretta ad Andrea Doria, l’ora defunto ammiraglio della flotta ispana… In persona io vidi il palazzo di Gian Battista d’Auria la cui dimora era assai maestosa e il giardino non solo assai piacevole ma adorno di statue e di fontane. Genova s’è fortificata verso il mare con ogni e verso terra sia attraverso la natura che l’arte essendo l’accesso alla città uno solo e impervio. Le strade sono strette, i palazzi eretti magnificamente, con marmo e le altre costruzioni di pietra libera, a cinque o sei piani e le finestre sono vetrate cosa rarissima in Italia. Le vie sono lastricate con silice e le case dei sobborghi sono quasi belle come quelle cittadine. Verso le isole della Corsica e della Sardegna nel mare genovese si pescano coralli… Ora proprio in pieno dicembre i mercati erano pieni di fiori estivi, erbe e frutti. Si dice proverbialmente di questa città: “Montagne senza legni, mare senza pesci, Huomini senza fede, Donne senza vergogna, Mori Bianchi, Genova Superba”… “Gli uomini genovesi, nel loro festeggiare, danzare e in una libera conversazione e le donne nei loro abbigliamenti si avvicinano più ai francesi che agli italiani”.
John Evelyn (1620-1706) scrittore e viaggiatore inglese. “La città è costruita all’estremità di una collina, il cui dislivello è molto ripido, alto e roccioso: così, se la si guarda dalla Lanterna o dal Molo con lo sguardo rivolto verso le colline circostanti, la città ha la forma di un anfiteatro. Le strade sono così strette e i palazzi così alti uno sopra l’altro, come i posti di un nostro teatro: ma a causa del meraviglioso materiale con cui sono costruiti, per la bellezza e la loro posizione, non si è mai vista una scenografia artificiale altrettanto splendida; non esiste sicuramente un altro luogo nel mondo, ricco di Palazzi così ben disegnati e posizionati; si può facilmente concludere che quel grande volume composto di grandi fogli, che il grande Virtuoso e Pittore Paolo Rubens, ha pubblicato, contiene solamente (i prospetti dei palazzi) una strada e di due o tre chiese. Il primo palazzo degno di nota che andammo a visitare fu quello di Geronimo di Negro, e per raggiungerlo dovemmo attraversare il porto con una barca. Questo Palazzo Di Negro (oggi Villa Rosazza) è ricco di quadri più preziosi e di altre straordinarie collezioni e arredamenti. Ma non v’è nulla che mi deliziasse più del parco, un giardino collinoso, con un boschetto di alberi maestosi, popolato di pecore, pastori e animali selvatici, intagliati nella pietra grigia, da apparire così reali in mezzo alle fontane, rocce e a un laghetto, che gettando il tuo sguardo in una direzione potresti immaginarti immerso in una campagna selvaggia e silenziosa, ai due lati nel cuore di una grande città e alle spalle nel mezzo del mare. E ciò che è più ammirevole è che tutto questo si trova all’interno di un terreno ampio appena un acro, il più delizioso e stupefacente del mondo intero.
In questa casa notai per la prima volta i pavimenti di stucco rosso, che sono fatti in maniera così resistente e così ben lucidati, che talvolta uno li potrebbe scambiare per pezzi di porfido…Vi sono in questa città innumerevoli altri palazzi di particolare interesse, poiché i nobili sono incredibilmente ricchi, benché come i loro vicini Olandesi, non possiedono proprietà molto grandi su cui estendersi; perciò collezionano quadri e tappezzerie, case di marmo e ricchi mobi.”
Giovanni Battista Pastorini (1650-1732) poeta e presbitero italiano.
“Genova mia, se con asciutto ciglio
Lacero e guasto il tuo bel corpo io miro
Non è poca pietà d’ingrato figlio
Ma ribello mi sembra ogni sospiro.
La maestà di tue ruine ammiro,
trofei della costanza e del consiglio;
ovunque io volgo il passo o l’guardo io giro,
incontro il tuo valor nel tuo periglio.
Più val d’ogni vittoria un bel soffrire,
e contro ai fieri alta vittoria fai
con il vederti distrutta, e nol sentire.
Anzi girar la libertà mirai,
e baciar lieta ogni ruina e dire:
ruine si, ma servitù non mai”.
George Berkeley (1685 – 1753) filosofo, teologo e vescovo anglicano irlandese. “Sono rimasto quasi un mese a Parigi, otto giorni a Lione, undici a Torino e ora sono a Genova da circa tre settimane… Nessuna città mi è piaciuta più di questa. Le chiese, i palazzi, per la verità anche le comuni case d’abitazione, sono splendidi. Ma c’è un difetto, la maggior parte delle strade sono molto anguste”…
Charles Louis Montesquieu (1689-1755) scrittore e filosofo francese. “Genovesi non sono affatto socievoli; e questo carattere deriva piuttosto dalla loro estrema avarizia che non da un’indole forastica: perché non potete credere fino a che punto arriva la parsimonia di quei principi. Non c’è niente di più bugiardo dei loro palazzi. Di fuori, una casa superba, e dentro una vecchia serva che fila. Se nelle case più illustri vedete un paggio, è perché non ci sono domestici. Invitare qualcuno a pranzo è a Genova una cosa inaudita…
… Quei bei palazzi sono in realtà, fino al terzo piano, magazzini per le merci. Tutti esercitano il commercio, e il primo mercante è il Doge. Tutto questo rende gli animi della gente assai bassi, anche se molto vani. Hanno palazzi non perché spendano, ma perché il luogo fornisce loro il marmo. Come ad Angers, dove tutte le case sono coperte di ardesia. Hanno tuttavia dei piccoli casini lungo il mare, abbastanza belli; ma la bellezza è dovuta alla posizione e al mare, che non costano nulla. I Genovesi di oggi sono tardi quanto gli antichi Liguri. Non voglio dire con questo che non intendano i loro affari: l’interesse apre gli occhi a tutti … … C’è una cosa ancora: che i Genovesi non si raffinano in nessun modo: sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati inviati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima”.
E ancora: “C’è sempre un nobile Genovese in viaggio per chiedere perdono a qualche sovrano delle sciocchezze che fa la sua repubblica”.[…]. “Non c’è stato in Europa che sia stato sottoposto a tanti soprusi come quello di Genova, e che si sia comportato con tanta bassezza nei vari intrighi in cui sia venuto a trovarsi” […]. “I Genovesi sono molto paurosi, anche se orgogliosissimi. Le signore sono molto altezzose… … Ed io dicevo che mettere le signore di Genova al rango delle principesse di Francia era come mettere dei pipistrelli sullo stesso piano delle aquile”. […]
“Io sono stato otto giorni a Genova e mi sono annoiato a morte: è la Narbonne d’Italia. Non vi è nulla da vedere salvo un bel porto, ma assai pericoloso; case costruite in marmo perché la pietra è troppo cara; e degli ebrei che vanno a Messa”… […]
“Non è una gran fortuna abitare in questa città. Per prima cosa, il popolo è oppresso da monopoli sul pane, sul vino e su tutti i generi alimentari. È la Repubblica stessa che vende questi generi. La punizione dei crimini è così mal organizzata che risulta minor disgrazia aver ucciso un uomo che aver frodato su un’imposta”.
Carlo Goldoni (1707-1794) scrittore e commediografo italiano. “… Si trattava di andare a vedere due tra le più belle città d’Italia… E avevo le spese pagate (…). Il viaggio fu felice, sempre bel tempo; traversando quell’alta montagna che si chiama la Bocchetta (…). Traversato il ricchissimo e deliziosissimo villaggio di Sampierdarena, scorgemmo Genova dalla parte del mare. Che incantevole e meraviglioso spettacolo! È un anfiteatro semicircolare, che da una parte forma il vasto bacino del porto, e dall’altra si alza gradatamente sul pendio della montagna, con immense costruzioni che da lontano sembrano poste le une sopra le altre e terminano con terrazze, con balaustrate, o con giardini che fanno da tetto alle varie abitazioni. Davanti a queste file di palazzi, di dimore nobiliari e borghesi, gli uni incrostati di marmi, gli altri decorati di pitture, si vedono i due moli che formano l’imboccatura del porto; opera degna dei romani, perché i genovesi, nonostante la violenza e la profondità del mare, vinsero la natura che si opponeva al loro stabilimento. Scendendo dalla parte della Lanterna per raggiungere la porta di San Tommaso vedemmo l’immenso Palazzo Doria, dove tre principi sovrani furono ospitati contemporaneamente; poi andammo alla locanda di Santa Marta, aspettando l’alloggio che ci era destinato”.[…]
“… che in Italia è chiamata lotto di Genova, e a Parigi la lotteria reale di Francia, non era ancora stata introdotta a Venezia. C’erano però dei ricevitori clandestini che accettavano giocate per Genova e io avevo in tasca una ricevuta per una giocata che avevo fatto a Venezia. Questa lotteria è stata inventata a Genova, la prima idea fu fornita dal caso. I genovesi tirano a sorte due volte l’anno i cinque senatori che devono sostituire gli uscenti. A Genova si conoscono tutti i nomi che sono nell’urna e che possono essere tirati fuori: i cittadini cominciarono a dire tra loro: “Scommetto che nella prossima estrazione uscirà il tale”; e un altro diceva: “Io scommetto per il talaltro”; e la scommessa era pari (…). Oggi questa lotteria di Genova è diventata pressoché universale (…). È una bella rendita per il governo, un’occupazione per gli sfaccendati, e una speranza per i disgraziati. Quanto a me, questa volta mi parve piacevolissima, ci guadagnai un ambo di cento pistole che mi fece assai contento”.
E ancora: “A Genova ebbi una fortuna assai più considerevole, e che fece l’incanto della mia vita: sposai una giovane savia, garbata, graziosa, che mi compensò dei tanti brutti scherzi fattimi dalle donne, e che mi riconciliò con il bel sesso. Sì, caro lettore, mi sono sposato, ed ecco come. Il direttore ed io avevamo alloggio in una casa attigua al teatro. Avevo visto alle finestre dirimpetto alle mie una giovane che mi pareva bellina e avevo voglia di conoscerla. Un giorno che era sola la salutai teneramente; lei mi fece una riverenza e scomparve subito, né più si lasciò vedere. Eccomi punto dalla curiosità e nell’amor proprio cerco di sapere chi sta di casa dirimpetto al mio alloggio: è il signor Connio, notaio del collegio di Genova, uno dei quattro deputati al Banco di San Giorgio (…)”. Goldoni cerca di sapere che tipo è il suo futuro suocero. Va a cercarlo al Banco di San Giorgio e lo trova… occupatissimo. Fa la coda e finalmente riesce a parlargli. L’accoglienza di Conio è molto cordiale, al punto che lo invita a uscire con lui e gli propone di andare insieme a prendere un caffè. Appreso che Goldoni si occupa di teatro, gli chiede che parti sostiene recitando e, naturalmente, viene così corretto: “Gli dissi chi ero e che cosa facevo; lui si scusò, gli piaceva il teatro, ci andava spesso, aveva visto i miei lavori, era felice di aver fatto la mia conoscenza, e così io di aver fatto la sua.
Eccoci amici; lui veniva da me, io andavo da lui; vedevo la signorina Connio, ogni giorno di più mi pareva piena di grazie e di virtù. In capo a un mese domandai al Connio la mano di sua figlia”. Non ci furono difficoltà. Anzi il Connio stesso dichiarò che non temeva un rifiuto da parte della ragazza e si disse favorevole alle nozze. Però chiese tempo e, ottenutolo, cercò informazioni sul conto del Goldoni, chiedendole per iscritto soddisfazione senza che fosse seguita da un dispiacere? a prima notte di matrimonio ecco che mi piglia la febbre, e il vaiuolo che già avevo avuto a Rimini da ragazzo viene ad attaccarmi per la secondo volta. Pazienza! Per fortuna non era pericoloso, e non divenni più brutto di quello che già ero. La mia sposina pianse molto al mio capezzale; era la mia consolazione e tale è sempre stata. Finalmente partimmo, la mia sposa ed io, per Venezia ai primi di settembre. Cielo! Quante lacrime sparse, che crudele separazione per mia moglie! Doveva lasciare di colpo padre, madre, fratelli, sorelle, zii e zie…Ma se ne andava con suo marito”.
E ancora: “Passammo otto giorni allegrissimi nella patria di mia moglie, ma le lacrime e i singhiozzi non finivan più al momento della partenza; la separazione era tanto più dolorosa in quanto i parenti disperavano di rivederci. Promettevo di ritornare in capo a due anni; non ci credevano. Finalmente, tra addii, abbracci, pianti e grida ci imbarcammo sulla feluca del corriere di Francia, e facemmo vela per Antibes, costeggiando quella che gli italiani chiamano riviera di Genova”.
Carlantonio Pilati (1733-1802) giurista e storico italiano. “Per comprendere ciò che produce la libertà, è necessario di andare a Genova; tutto colà annunzia l’abbondanza e la ricchezza. Il commercio è l’anima di questo popolo industrioso. I nobili stessi non si vergognano di esercitarlo in ambe le riviere di ponente e di levante, che ho percorso in tutta la loro estensione, camminando non di rado colle mani e coi piedi… I genovesi e gli Olandesi sono i banchieri di tutti i principi d’Europa, che abbisognano di denaro”
Charles Dupaty (1746-1788) giurista e scrittore francese. “Se si vuol vedere la più bella strada che esista nel mondo intero, bisogna vedere a Genova Strada Nuova. Su due linee molto prolungate e su un pavimento di porfido, numerosi palazzi fanno a gara per ricchezza, altezza, massa, ostentano i loro porticati, le loro facciate, i loro peristili brillano di stucco bianco, nero, di mille colori. Questi palazzi, dall’esterno, sono dei quadri”.
Anna Tyszkiewicz, nota anche come Anna Potocka (1776 – 1867) contessa e scrittrice polacca. “Genova dovrebbe fungere d’intermediaria tra la Germania e l’Italia; è un passaggio dall’ideale al reale, da una vita d’immaginazione al benessere fisico. Non è più lo sfacelo e la negligenza di cui si è stati testimoni in molte parti d’Italia: tutto è pulito e ben costruito. Ma nulla è pittoresco, e gli occhi, ancora pieni dell’armonia di un colorito indefinibile e del tutto particolare al Sud, sono sgradevolmente colpiti alla vista dei colori sgargianti di cui ci si serve per dipingere le case, molto spesso variopinte di rosa, di verde, di giallo e di un certo bruno cannella dagli effetti orribili. Alla periferia, le case di campagna sono talmente fitte da formare una specie di sobborgo verdeggiante: tutto annuncia l’opulenza e la ricchezza di una città commerciale.
Genova la Superba è comparabile a una bella donna sprovvista di fisionomia: la si ammira ma più la si guarda, meno piace. Sarebbe difficile dare la spiegazione di questa impressione; la città è bella, i palazzi magnifici, il sito, senza essere pittoresco, è per lo meno rimarchevole, vi è molto movimento: ma è una vivacità puramente commerciale, non è più il regno dell’immaginazione e delle arti, tutto è calcolato e rivolto all’aspetto pratico della vita”.
Stendhal (Marie Henry Bayle) -1783-1842- scrittore francese. «Si potrebbe andare a Genova con la diligenza, ma è molto meglio prendere un vetturino, c’è il vantaggio di vedere da vicino quattro o cinque italiani e di conoscerli più a fondo di quanto non si farebbe con cinquanta visite… Durante il viaggio la scelta dell’albergo spetta al vetturino».[…]
«la città è mirabilmente situata ad anfiteatro sul mare. Fra la montagna, alta quattro volte Montmartre e il mare non c’è stato spazio che per tre strade orizzontali: una a otto piedi di larghezza ed è quella del grande commercio dove si trova del buon caffè; l’altra, dietro il porto, è riservata ai marinai; la terza, quella più vicina alla montagna e che porta successivamente i nomi di Via Balbi, Via Nuova e Nuovissima, è una delle più belle strade del mondo, ardita, piena di vuoti e di colonne che ricorda gli scenari della Scala di Milano ».
«Genova possiede un gabinetto letterario dove si leggono i giornali; cosa davvero sorprendente». Il racconto della sua visita a Genova termina con una considerazione molto acuta sull’essenza dei genovesi: «credevo che i genovesi amassero soltanto il denaro; amano anche, mi dicono, la loro indipendenza. Ciò che mi ha fatto nascere questa riflessione politica, è che sono stati costretti a dare il nome di Carlo Felice al bel teatro che si sono costruiti. Hanno comperato e demolito molte case per costruire una piazza davanti al teatro e una strada che continua la bella strada dai tre nomi: Balbi, Nuova e Nuovissima».
Washington Irvin (1783 – 1859) scrittore americano. “Quando attraversai Strada Balbi e Strada Nuova, quelle strade tutte palagi, arrestando con istupore lo sguardo sul lusso d’architettura che si estendea per ogni parte d’intorno a me; e quando su l’imbrunire del giorno mi trovai passeggiando fra una bella e giuliva calca di gente che andava a diporto lungo i viali cui fa ombra un curvilineo filare di alberi su la piazza dell’Acqua Verde, o fra i colonnati e i terrazzi de’ maestosi giardini Doria, io pensai ch’uomo non potesse altrove, fuorché in Genova, esser beato”.
Heinrich Heine (1797-1856) poeta, scrittore e critico letterario tedesco.“Questa città antica senza antichità, raccolta senza intimità e sudicia oltre ogni limite. È costruita su una roccia, ai piedi di un anfiteatro di montagne che quasi abbracciano il più bello dei golfi. I genovesi hanno ricevuto dalla natura il porto migliore e più sicuro. Poichè, come ho detto, tutta la città è costruita su un unico blocco di roccia, i Genovesi per sfruttare lo spazio, hanno costruito case altissime e strade strettissime, cosicché quelle sono quasi tutte buie, e solo in due di queste può passare una carrozza”.
E ancora: “Vista dal mare, specialmente verso sera, la città sembra più bella. Giace sulla riva come lo scheletro imbiancato di un animale gigantesco vomitato dal mare, formiche nere che si chiamano Genovesi, vi strisciano sopra, onde azzurre lo bagnano e il loro sciacquio sembra una ninna nanna; la luna, occhio pallido della notte, guarda dall’alto malinconica”.
Questa è la nenia più dolce che tu possa sentire….[…]
“Non lontano da Genova, sulla cima dell’Appennino, si vede già il mare. Fra i verdi cocuzzoli delle montagne compaiono i flutti azzurri, e le navi che si scorgono qua e là sembrano voler salire sui monti a vele spiegate. Se però si gode questa vista al crepuscolo, quando gli ultimi raggi di sole iniziano il loro mirabile gioco con le prime ombre della sera e tutti i colori e tutte le forme si intrecciano nebulosamente, allora par d’essere veramente in una fiaba, la carrozza scende stridendo, le immagini più dolci e sonnecchianti nell’anima vengono bruscamente scosse e tornano ad appisolarsi, e infine si sogna d’essere a Genova”.
Mary Shelley (1797-1851) scrittrice britannica. “Genova! La mia città natale – città gloriosa! Volgendo lo sguardo alle onde azzurre del Mediterraneo – non ti ricordi di me nella mia giovinezza, quando le tue scogliere e i promontori, il tuo cielo luminoso e gli allegri vigneti, erano il mio mondo?”
Jules Michelet (1798 – 1874) storico francese “Disdegnando la terra, che ignorava e disprezzava, questa città ha ammucchiato sullo stretto lembo, tra mare e monte, di gradino in gradino, come una titanica scalata di marmorei palazzi, che, da lontano, appaiono gli uni sugli altri. Questi piani stupendi, intersecati da aranceti, da terrazze, colpiscono e sorprendono prima ancora di affascinare. Perché? Si partecipa alla fatica di un sì grande sforzo; si avverte troppo sensibilmente che un tale popolo, poco amante della natura, non lo ha compiuto per semplice divertimento. I palazzi sono fortezze, in basso tutti difesi da inferriate, chiusi da porte di ferro massiccio come quelle di una città, che stanno a difesa dei forzieri. Le terrazze pensili, che si sforzano di salire sempre più in alto, di guardare al di sopra dei vicini, sono degli osservatorii, da dove il capitalista osservava le sue navi sul mare, e l’armatore seguiva con gli occhi i suoi corsari”.
Gustave Flaubert (1821-1880). Scrittore francese. “Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia!” “Ho visto una bellissima strada, la via Aurelia, ed ora sono in una bella città, una vera bella città, Genova. Cammino sul marmo, tutto è di marmo: scale, balconi, palazzi. I palazzi si toccano tanto sono vicini e, passando dalla strada, si vedono i soffitti patrizi tutti dipinti e dorati. Vado a visitare le chiese, sento cantare suonare l’organo, guardo i monaci, osservo i paramenti sacri, gli altari, le statue; in altri momenti (ma non so bene quali) forse avrei riflettuto di più e guardato di meno. Invece qui spalanco gli occhi su tutto, ingenuamente, semplicemente, e forse è molto meglio”.
“Da Voltri a Genova si vedono sempre case, tutto annuncia una grande città. Presto il porto appare e si vede la bella città seduta ai piedi delle montagne. Il faro della Lanterna, come un minareto, dà all’insieme qualche cosa di orientale e si pensa a Costantinopoli”.
Pio Baroja (1872 – 1956) scrittore spagnolo. “Genova non mi entusiasmò: se si escludono il porto ed alcuni viali moderni, le stradine anguste e buie erano piuttosto maleodoranti, piene di casupole e negozietti fra i palazzi marmorei. Neppure la popolazione mi piacque gran ché. È come un formicaio convulso: vecchie nere, donne molli e grasse, ragazze agili e graziose, marinai dalla faccia scura e gli occhi azzurri, operai e soldati. L’ambiente è minaccioso e cupo; anche a Napoli vi è un vermiciaio del genere, ma là sembra muoversi di più al sole, mentre quello di Genova si agita in stradicciole con alte case. E poi a Napoli la gente che discute sembra che canti, mentre a Genova pare sempre che bisticci. Si dice che Genova sia una città magnifica, adornata da palazzi di marmo e che sia denominata Genova la Superba. A me sembrò un luogo dalle vie strette e ben poco attraente. Può darsi che osservando strada per strada e casa per casa si trovino edifici, chiese e palazzi, ma passeggiando per le viuzze non si prova nessuna sensazione di grandezza né di magnificenza. […] Nei quattro o cinque giorni che rimasi mi parve una città oscura e tetra.”
Honoré de Balzac (1799-1850) scrittore e drammaturgo francese. “Se la mezzanotte è bella da qualche parte lo è sicuramente a Genova, quando la pioggia è caduta come vi cade lì, a torrenti, per tutta la mattina; quando la purezza del mare lotta con la purezza del cielo…
… quando le stelle brillano, quando le onde del Mediterraneo si seguono come le confidenze di una donna”.
Alexandre Dumas (1802-1870) scrittore e drammaturgo francese. “Genova viene, per così dire, incontro al viaggiatore … Una città che s’è data da sola il soprannome di “Superba“ e che da sei o sette leghe già si scorge all’orizzonte, distesa in fondo al suo golfo con la noncurante maestà d’una regina … Quale fu la causa del lusso quasi incomprensibile di palazzi che il viaggiatore trova sparsi sulla sua strada con la stessa profusione delle villette nei dintorni di Marsiglia? Furono le leggi sumptuarie della repubblica [di Genova] che proibivano di dar feste, di abbigliarsi di velluti e di broccati e di portar diamanti; tali leggi non si estendevano oltre le mura della Capitale e perciò il lusso di quei turbolenti ed orgogliosi repubblicani si era rifugiato in campagna. In data 28 maggio 1860, il cinquantottenne Alexandre Dumas, da Genova – dove era giunto dodici giorni prima a bordo della sua goletta “Emma” -, annotava in una pagina di diario che poi avrebbe riportato nel volume Les garibaldiens: “Avevo appena messo la parola fine alle mie Memorie di Garibaldi; e quando dico “fine” è chiaro che alludo solo alla prima parte. Infatti, con l’andatura che ha preso, il mio eroe promette di fornirmi materia per una lunga serie di volumi! Appena sbarcato, appresi che Garibaldi era salpato alla volta della Sicilia nella notte tra il 5 e il 6 maggio: prima di partire aveva lasciato degli appunti per me all’illustre storico Vecchi, nostro comune amico, e aveva pregato Bertani, Sacchi e Medici di darmi a voce altri particolari che non aveva avuto il tempo di dettare. Ecco perché mi trovo da dodici giorni all’Hotel de France, dove lavoro sedici ore su ventiquattro; il che, del resto, non si discosta molto dalle mie abitudini”.
George Sand (1804-1876) drammaturga e scrittrice francese. “Bisognerebbe dedicare una giornata a ognuna di queste case di stile diverso dentro e fuori. Questa varietà colpisce, abbaglia, diverte e affatica. Ci sono molti marmi, molti affreschi, molte dorature, e tutto questo deve essere costato molti soldi. All’esterno sono piccole e graziose. Dentro le stanze sono ampie, e ci si stupisce che riescano a stare in palazzi che sembrano occupare tanto poco spazio”Più lontano ci sono delle belle passeggiate fiancheggiate da brutte casette, da ricche chiese piene di oggetti preziosi e costosi; e poi dei sentieri scoscesi, costeggiati da orribili casermoni, passaggi scuri che all’improvviso si aprono su verzure abbaglianti; poi la roccia a picco dietro e davanti a sé; poi il mare visto dall’alto e sempre bello; fortificazioni gigantesche, interminabili; giardini sui tetti; ville buttate a caso sulle colline circostanti, profusione di casamenti chiassosi che, visti da lontano, rovinano il quadro naturale della città; insomma, è incoerente: non è una città, è un ammasso di nidi che ogni tipo di uccello è venuto a costruire qui, facendo ognuno di testa sua e appropriandosi del luogo e dei materiali che più gli piacciono. Se non sapessi di essere in Italia, non farei fatica a credere che è tutt’altro luogo da ciò che mi aspettavo. Non bisogna pensarci, piuttosto arrendersi a questa influenza di disordine e capriccio che a prima vista fa impazzire”.
Ma alla fine dei conti Genova non doveva poi esserle così dispiaciuta se decise di trascorrervi qualche giorno in compagnia del suo amore, il celebre compositore polacco: “Vedendo Chopin rinascere con la primavera e non più bisognoso di cure intense, approvò il progetto di andare a passare qualche giorno a Genova. Fu un piacere per me rivedere con Maurice tutti i bei palazzi e i bei quadri di questa città affascinante”.
Hans Christian Andersen (1805-1875) scrittore e poeta danese
“Per la prima giornata, il viaggio da Genova verso sud, lungo il mare, è uno dei più belli che si possano fare. Genova poi sorge sulle colline, in mezzo ad oliveti verdi-azzurri. Nei giardini crescevano aranci e melograni, e i lucenti limoni verde pallido facevano pensare alla primavera, proprio allora che noi scandinavi ci approssimiamo all’inverno. I temi degni d’un quadro succedevano l’uno all’altro; per me tutto era nuovo e indimenticabile, e vedo ancora adesso gli antichi ponti ricoperti d’edera, i cappuccini per la strada e le schiere di pescatori genovesi con i berretti rossi in testa. La costa era tutto uno splendore, con le belle ville e il mare costellato di velieri e vapori dai camini fumanti”.
Nikolaj Vasil’evič Gogol’ (1809 – 1852) scrittore e “Genova, una delle città più belle che abbia mai veduto. Alcuni suoi edifici erano in marmo bellissimo e avevano un che di assai nobile, molti poi avevano davanti delle fontane di foggia oltremodo bizzarra. Le chiese erano ricche e sontuose, con stravaganti decori sia all’interno che all’esterno. Ma ai miei occhi tutta quell’imponenza era rovinata dagli schiavi ai remi delle galee, le cui condizioni lì e in altre parti dell’Italia sono davvero pietose e miserabili”.
Alfred de Musset (1810–1857) poeta e scrittore francese. “Genova è molto bella con le sue case dipinte, i suoi giardini verdi a spalliera e gli Appennini dietro. Ma quanto rumore! Che moltitudine! Su tre uomini che passano per le strade, ci sono un monaco e un soldato”.
Charles Dickens (1812-1870) scrittore e giornalista inglese. “Chi vuole vedere quanto è bella la campagna negli immediati dintorni di Genova deve salire, in una giornata serena, in cime al monte Faccio (Fasce) o, almeno, fare una cavalcata intorno alle mura della città che è un’impresa molto più facile da compiere. Non c’è panorama più bello e più vario delle mutevoli vedute del porto e delle valli dei due fiumi, la Polcevera e il Bisagno, da quelle alture lungo le quali sono costruite le mura, poderosamente fortificate, come una piccola grande muraglia cinese”.
“Il Peschiere è tenuto in gran considerazione per la sua salubrità: è situato nel mezzo del più splendido panorama, entro le mura di Genova, nel cuore di tutte le passeggiate della Collina, circondato dai più deliziosi giardini (pieni di fontane, alberi di arancio, e ogni sorta di piacevolezza) che tu possa immaginare […]. All’interno, è tutto dipinto, muri e soffitti, in ogni centimetro, nel più sfarzoso dei modi. Vi sono dieci stanze per piano: solo poche sono più piccole delle più grandi stanze d’abitazione del palazzo di Hampton Court, e una è sicuramente altrettanto larga e lunga del Saloon del Teatro di Drury Lane, con una gran copertura a volta più alta di quella della Galleria Waterloo nel Castello di Windsor, anzi, a pensarci bene, molto più alta”.
“La casa in cui abitiamo non ha nulla da invidiare a un Palazzo delle fiabe”. “Mi sono guardato attorno e credo d’aver concluso un accordo per una sistemazione alle Peschiere: spero di prendere possesso di quel Palazzo il primo d’ottobre. Ho a disposizione l’intero edificio, tranne il Piano Terra. Non so se abbiate mai visto le stanze. Sono davvero splendide, e ogni millimetro delle pareti è affrescato. I Giardini sono anch’essi bellissimi”.
“Non c’è in Italia, dicono (e io ci credo), un’abitazione più piacevole di Palazzo Peschiere […] Si trova su un’altura all’interno delle mura di genova ma appartato dalla città: è circondato da bei giardini interni, abbelliti con statue, vasi, fontane, bacini marmorei, terrazze, viali di aranci e di limoni, boschetti di rose e di camelie. Tutti gli appartamenti sono belli per proporzioni e decorazioni; ma il grande vestibolo, alto una cinquantina di piedi, con tre grandi finestre sul fondo, che guardano sull’intera città di Genova, il porto e il mare che la circonda, offre uno dei più deliziosi ed affascinanti panorami del mondo. Sarebbe difficile immaginare una dimora più gradevole e comoda di quella che offrono le grandi stanze, all’interno; e certamente niente di più delizioso potrebbe essere immaginato dello scenario fuori, alla luce del sole o al chiaro di luna. Somiglia più ad un palazzo incantato in una novella orientale che ad una sobria e grave dimora”.
“Quanto ai palazzi, nessuno uguaglia le Peschiere per architetture, collocazione, giardini o stanze”. “Che si possa vagare di stanza in stanza senza mai stancarsi di osservare le decorazioni fantastiche sui muri e sui soffitti, così vivaci nella loro freschezza di colori come se fossero stati dipinti ieri; o come un piano, o anche il grande ingresso su cui si aprono altre otto stanze, sia una spaziosa passeggiata; o come ci siano corridoi e camere da letto che non usiamo e che raramente visitiamo e delle quali a malapena ritroviamo la strada; o che ci sia una veduta diversa per ognuna delle quattro facciate dell’edificio, poco importa. Ma quel panorama del vestibolo è come una visione per me”.
E ancora: “Non dimenticherò mai, finché vivrò, le mie prime impressioni mentre avanzavo per le vie di Genova, dopo aver contemplato la splendida Vista della città, per un’ora intera, con un telescopio, dal ponte del vapore. Pensavo che fra tutte le più ammuffite, desolate, sonnolente, luride, abbandonate, immobili città del mondo intero, dimenticate da Dio, nessuna la potesse eguagliare. Mi pareva di essere giunto dove tutto finisce, dove non vi è più progresso, movimento, sviluppo, o possibilità di migliorare oltre. Tutto sembrava essersi fermato da secoli, per non riscuotersi mai più, restando immobile sotto il sole in attesa del giorno del Giudizio.
Adesso, invece, mi attira molto andarvi a camminare o girovagare, quando mi ci reco, in una specie di stato sognante, che è anche estremamente distensivo. Mi sembra di pensare, ma non so a che cosa, non ne ho la minima coscienza. Posso sedermi in una chiesa, o fermarmi alla fine di uno stretto Vico, zigzagando come una lurida biscia verso la parte alta, senza sentire il minimo desiderio per alcun altro tipo di divertimento. Non diversamente mi stendo sugli scogli la sera, fissando l’acqua azzurra senza ritegno, o giro per gli stretti vicoli e guardo le lucertole inseguirsi per i muri (così leggere e rapide che mi sembrano sempre ombre di qualcos’altro che passi sulle pietre) e sparire nei loro buchi così all’improvviso da lasciare pezzetti di coda di fuori, senza che se ne rendano conto…
… Non immaginavo, quel giorno, che sarei mai arrivato ad avere un legame persino con le pietre della strada di Genova e che avrei ripensato alla città con affetto, perché connessa con tante ore di felicità e di quiete!”.
“È un posto che “cresce dentro di voi” giorno per giorno. Sembra sempre che vi sia qualcosa da scoprirvi. Potete smarrire il vostro cammino (che cosa gradevole è, quando siete senza meta!) venti volte al giorno, se vi aggrada; e ritrovarlo tra le più sorprendenti ed inaspettate difficoltà. Abbonda dei più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose vi si parano davanti allo sguardo ad ogni
angolo“.
Aleksandr Ivanovič Gerzen (1812 – 1870) scrittore e filosofo russo. “Mi trovai a Genova insieme con certi americani che avevano attraversato l’Oceano da pochissimo tempo. Genova li colpì. Vedevano coi loro occhi tutto quel che avevano letto sul vecchio mondo e non potevano saziarsi di contemplare le vie medievali, ripide, strette, buie, l’insolita altezza delle case, le fortificazioni e i viadotti semi diroccati, ecc.
Entrammo nell’atrio di un palazzo. Un grido di ammirazione si sprigionò dal petto di uno di essi: «Come visse questa gente! – ripeteva, – che dimensioni, che bellezza! No, da noi non c’è nulla di simile!» Ed era pronto ad arrossire per la sua America. Gettammo un’occhiata nell’interno d’un vasto salone: ritratti degli antichi padroni, quadri, pareti scolorite, vecchi mobili, vecchi stemmi, aria morta, vuoto… e il vecchio custode con la cuffia di maglia nera, in logora giacchetta nera, col mazzo delle chiavi… tutto diceva che quella non era più una casa, ma una rarità, un sarcofago, il vestigio opulento d’una vita passata. – Sì, – dissi nell’uscire agli americani, – avete completamente ragione, questa gente visse bene”.
E ancora: ” I genovesi è difficile osservarli: vi guizzano di continuo davanti agli occhi, corrono, si affaccendano, scorrazzano di qua e di là, si affrettano. I vicoli verso il mare brulicano di gente, ma quelli che stanno fermi non sono genovesi, sono marinai di tutti i mari e di tutti gli oceani, piloti, capitani. Qui una campana, là un’altra campana: Partenza! Partenza! Una parte del formicaio si dà da fare, gli uni caricano, gli altri scaricano.
Richard Wagner (1813-1883) compositore e poeta tedesco. “Io non ho visto nulla come questa Genova! È qualcosa di indescrivilmente bello, grandioso, caratteristico: Parigi e Londra al confronto con questa divina città scompaiono come semplici agglomerati di case e di strade senza alcuna forma. Davvero non saprei cominciare per darti l’impressione che mi ha fatto e continua a farmi tutto ciò: io ho riso come un fanciullo e non potevo nascondere la mia gioia”.
E ancora: “… Genova. Qui mi parve veramente che l’agognato miracolo stesse per compiersi. Ancora oggi la splendida impressione di questa città combatte in me la nostalgia della rimanente Italia. Passai alcuni giorni di vera ebbrezza; ma fu certamente la mia grande solitudine in mezzo a queste impressioni che ben presto mi fece sentire l’estraneità di questo mondo, in cui mai mi sarei potuto sentire come in casa mia. Incapace di visitare secondo un piano regolare i tesori artistici della città, mi abbandonai senza guida ad una specie di sentimento musicale del nuovo ambiente in cui mi trovavo, e cercai prima di tutto il punto in cui avrei potuto fissarmi e godere tranquillamente delle mie impressioni.
Herman Melville (1819-1891)scrittore, poeta e saggista statunitense. Sabato: “Alle dieci preso il treno per Genova, più di cento miglia. Piacevole per qualche tempo. Attraversata una contrada piacevole. Molto popolosa e intensamente coltivata. Ci avviciniamo agli Appennini, paesaggio stupendo. Strade costruite con grande abilità e alto costo. Numerosi finché arriva il grande tunnel – lungo due miglia – Arrivato a Genova con la pioggia alle tre del pomeriggio. La valigia è caduta dalle spalle di un facchino maldestro ho avuto paura di guardare cos’era successo agli oggetti di Kate. Sono sceso all’Hotel Feder sul lungomare. Passeggiato per la Strada Nuova. I palazzi son meno belli di quelli di Roma, Firenze e Venezia. Una caratteristica sono i dipinti di architetture invece che della realtà. Ogni sorta di e di elaborata architettura è rappresentata negli affreschi – Il detto di Machiavelli secondo il quale l’apparenza della virtù può essere vantaggiosa quando la realtà lo sarebbe meno – Strade come quelle di Edimburgo, soltanto più erte e aggrovigliate. Mi sono arrampicato per una di esse per via del paesaggio – mangiato alla table d’hotel. Bella sala. L’hotel occupa un antico palazzo. A sera a spasso lungo la passeggiata presso il porto. Hotel di molti piani. La torre dell’Hotel Croce di Malta. Vista sulle colline in lontananza”
Domenica: “Fatto colazione al caffè. Cioccolata. Alla passeggiata pubblica sui bastioni. Si guarda all’ingiù. Soldati. Una brigata di uomini tutt’altro che eleganti. Alla Cattedrale. Marmi bianchi e neri in disposizione alternata. Il bassorilievo a “graticola” – bello l’interno. Torre. Il Palazzo Ducale. Tutti in piazza. Schiere di donne. L’acconciatura genovese. Ondine e fanciulle. Semplice e grazioso. Ricetta per rendere attraente una donna senza particolari doti. Preso l’omnibus (2 soldi) fino all’estremità del porto. Il faro (alto 300 piedi). Ci son salito. Vista superba. La costa verso il sud. Un promontorio. Tutta Genova e le sue fortezze, la loro esterna solitudine. La desolazione, l’aspetto selvaggio delle valli che intercorrono sembrano fare di Genova la capitale e il campo fortificato di Satana; fortificato contro gli Arcangeli. Le nuvole che si addensano sui bastioni sembrano immaginarie. Sono andato sulla parte orientale del porto e ho cominciato il giro della terza linea di fortificazioni. I bastioni guardano a picco sul mare aperto, arcate lanciate sugli scoscendimenti. Bei paesaggi di parti della città. Su e su. Penitenziario per galeotti. Le grate si aprono sulla vista del mare – sull’infinita libertà. ho continuato sempre il giro. Bloccato. Andato alla passeggiata pubblica. Mi sono arrampicato per un sentiero scosceso fino a una chiesetta (bella vista del mare dal portico). Di là più in alto e sono giunto ai bastioni. Magnifica veduta della valle profonda che sta dall’altra parte – di Genova e del mare. Su e su, sempre più bello, fino a che ho raggiunto la vetta. Ho visto le due vallate intorno e il crinale nel quale si congiungono per formare il sito delle fortezze più alte. grande popolosità di queste vallate. Solitudine di alcune delle fortezze più in alto. i terreni inclusi nella terza linea di fortificazione. Vallette scoscese prive di vegetazione. Polveriere solitarie. Desolato come una valletta dell’altopiano di Scozia. Disceso con grande fatica attraverso un sentiero irregolare e giunto presso il Palazzo Doria. Un greco vicino a me. Di fronte a me delle persone che ridono sguaiatamente. Passeggiata al porto. Mi sono fermato con il greco al caffè-giardino. Bel posto con fontane, archi eccetera. A letto alle otto e mezzo. Per tutto il giorno sembrava che stesse per piovere, ma ha tenuto”. Lunedì. – Cioccolata al caffè. Antico muro della dogana. Ho visitato i palazzi. Stile differente da quelli di Roma. Grandi atrii che precedono i cortili. Ma vedi la guida. Mi hanno mostrato in gran fretta alcuni palazzi, il Palazzo rosso in particolare. Vento forte. Presto in albergo, risultato dello sforzo di ieri.
A pranzo ho incontrato il Commissario del ” Constitution”. A letto alle otto”. Martedì – Ho preso il treno alle sei antimeridiane diretto ad Arona sul Lago Maggiore. Ho incontrato il tenente Fauntleroy alla stazione. Piacevole viaggio attraverso un paese nuovo. Alle due del pomeriggio imbarcato ad Arona su un piccolo vapore[…]”.
Tiziano Franzi