Il caruggio: storia di un nome. Il centro storico di qualunque paese della Liguria nasconde nel proprio intrico di strade alcuni passaggi talmente stretti dove, a volte, ci passa a stento una persona: sono i caruggi.
di Tiziano Franzi
C’è disputa tra i linguisti sull’esatta scrittura del vocabolo: carruggio o caruggio? Benché entrambe le forme siano attestate nei dizionari della lingua ligure (lingua e non dialetto!), oggi si preferisci la forma “caruggio“. Tale nome (traducibile in “vicolo“) proviene probabilmente dal termine latino “quadrivium“, cioè incrocio di quattro strade, con un riferimento ai tanti dedali di vie che si incrociano.
Secondo altri, il termine sarebbe invece di origine araba e deriverebbe dalla parola “kharuj“, “uscita“, in riferimento al fatto che i carruggi conducono verso il porto di Genova. Qualunque sia l’origine della parola, queste vie strette rappresentano comunque il cuore della città di Genova soprattutto, m anche di molte altre località liguri che presentano un centro storico d’origine antica.
Storia e toponomastica- I caruggi, infatti, hanno origine medievale e su di essi si fondava il reticolo stradale genovese, controllato dalle potenti famiglie mercantili cittadine. Spesso gli edifici ai lati del carruggio si affacciavano sullo stesso con un portico, che benché fosse di uso pubblico, era costruito autonomamente dal proprietario di ciascun edificio, come si può vedere dal fatto che lo stile di ciascun pezzo di portico muta spostandosi da un palazzo all’altro. La sua conformazione è stata definita tra l’anno mille e il milletrecento, quando un insieme di famiglie che aveva trovato la propria fortuna economica nel commercio marittimo, costruì la città proteggendosi con alte mura e con un arsenale interno. Tutto il centro storico coincide con la cittadella medievale e custodisce una storia antica e affascinante scritta nei secoli. Le strade sono molto strette e si incrociano continuamente per poi aprirsi in modo inaspettato con uno squarcio su piazze più piccole, dalle quali poi si dipanano ulteriori vicoli che offrono scorsi unici ed emozionanti. Lo spirito di Genova risiede proprio nei vicoli, dove si mischiano, da sempre, odori, sapori, lingue e culture diverse.
In alcuni casi, successivamente, per esempio a Genova, i privati finirono per murare i portici, sottraendoli all’uso pubblico, e trasformandoli in magazzini e negozi.
Nella toponomastica ufficiale il vocabolo caruggio è normalmente tradotto in italiano secondo i casi con vicolo ( o vico) per quelli più piccoli o via per quelli più grandi. Il più importante di Genova, anticamente, era il “Caruggio Dritto” (Caruggiu Drittu): si tratta della via principale e più elegante del centro storico, il termine deriverebbe dal Carrubeus rectus, Vico Dritto o Via Retta, che portava all’antica Piazza Ponticello (Pontixello), cancellata a seguito dell’attuazione del piano regolatore del 1934 a compimento della ristrutturazione dell’antico quartiere di Borgo Lanaiuoli e della zona di Ravecca, adiacente al Piano di Sant’Andrea.
Molti caruggi hanno nomi pittoreschi, che ricordano la principale attività mercantile o produttiva che vi si svolgeva, o altre caratteristiche ancora. Ecco allora, a Genova, Vico chiuso della Rana, Vico Cicala, Vico degli Stoppieri, Vico Boccadoro, Vico delle Pietre preziose, Vico della Pace, Vico chiuso del Leone, Vico Macellari, Vico Santo Sepolcro, Vico Cavigliere e Vico dell’Olio. Esiste anche un Vico dell’Amor Perfetto, nome poetico che però era dato ironicamente al luogo in cui fino al 1958, prima che entrasse in vigore la Legge Merlin, nei caruggi genovesi avevano sede le più popolari e frequentate case di tolleranza.
Negli stessi carruggi, accanto alle potenti famiglie dei mercanti che hanno arricchito la città, facendone una potenza amata e temuta, e che abitavano alti e lussuosi palazzi , vivevano i popolani. Questi abitavano in luoghi non salubri ove intere famiglie occupavano spazi piccolissimi e in cui la luce del sole non riusciva a penetrare a causa delle strade troppo strette.
Il vicolo più stretto di Genova sembra essere il Vico della luna, con i suoi 108 cm di larghezza costanti. Il suo nome, appunto, è dovuto al fatto che la luce del sole non riesca mai a filtrare tra i due palazzi, che in cima sembrano quasi toccarsi.
Altri invece indicano come caruggio più stretto di Genova Vico delle Monachette in zona Pre’. Eppure a Varazze ce n’è uno, vico Quintana, ancora stretto : la sua larghezza va da1, 20 m. all’ingresso e all’uscita e0,60 m. nella parte più stretta; in dialetto locale è chiamato anche “spunciacü”, perché per passarci, bisogna spingersi con il sedere.
La crêuza o (creusa -crœza)
Distinta dal caruggio, che è una via o vicolo cittadino, viene definita crêuza (spesso crosa in italiano) una mulattiera, scalinata o ancora piccola discesa che dalle alture collinari scende ripidamente a valle.
Se situata nei pressi del mare, spesso in prossimità di trivi (incroci di tre strade) la crêuza diventa una Crêuza de mâ, così come è stata cantata da Fabrizio De André nel brano intitolato, appunto, “Creuza de mâ” (il popolare cantautore aveva precedentemente avuto occasione di dedicare una sua canzone ad uno dei principali caruggi di Genova: la via del Campo che congiunge piazza Fossatello alla via e al quartiere di Pré).
Etimologia e caratteristiche- Il nome Creusa deriverebbe dal celtico croesio, croesus, “buon sangue”, la maggior parte delle creuse genovesi e liguri infatti, è formata da un lastricato centrale di mattoni rossi fiancheggiati da ciottolati ai lati, possibile similitudine di un fiume di sangue, o dal latino medioevale crosus, di etimo incerto (forse relitto antico ligure o gallico), come l’aggettivo francese creux (antico francese crues) e il provenzale cros, “cavo” (cfr. anche il lombardo croeus, “torrente”, “letto incavato di un torrente”e il piemontese creus e ancreus, sinonimo della parola përfond, profondo).
La creusa, tipica struttura viaria suburbana e raramente urbana, ha precise caratteristiche: la principale è quella di percorrere le colline se possibile sul crinale e spesso con la massima pendenza, piuttosto che negli avvallamenti, ciò è voluto a minimizzare l’impatto di compluvio della pioggia, limitando le opere relative; essendo soleggiata è inoltre evitata, o limitata, la permanenza di umidità neve e ghiaccio che negli avvallamenti possono permanere ed essere molto pericolosi, data la possibilità climatica della regione di avere repentini passaggi dal caldo al freddo in poco tempo, in caso di passaggio del vento ai quadranti settentrionali. È quindi privilegiata la conservazione della percorribilità in ogni condizione piuttosto che facilità di percorso. La pavimentazione tipicamente è data da mattoni al centro e ciottoli tondi ai lati, il profilo è decisamente convesso per il drenaggio laterale, anche del pericolosissimo ghiaccio incastrato tra i mattoni; può essere articolata in lunghi e bassi gradoni, definiti da blocchetti in pietra, nei tratti a maggior pendenza. Le creuse, così come le coltivazioni a terrazza (le cosiddette fasce) caratterizzano il paesaggio di tutta la Liguria, sia quelle che si affaccia sul mare, più conosciuto e pubblicizzato, sia quello dell’entroterra, meno famoso ma non per questo meno caratteristico e bello, spesso cantato da famosi poeti e cantautori, come Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, Dino Campana e Fabrizio De Andrè.
Fabrizio de André e la “Crêuza de mâ“- Il titolo della canzone riprende un termine che significa – semplificando – “mulattiera di mare”, ovvero quella stradina che, appunto, portava verso il mare, sebbene anche sul termine e sul reale significato del termine “Crêuza” ci siano svariate interpretazioni. L’attacco, ormai divenuto riconoscibilissimo, ha portato all’orecchio di milioni di persone la Gaida macedone, una sorta di cornamusa che dà il la alla canzone. “Crêuza de mâ” è un’introduzione a quest’album che appunto usa una lingua e temi di mare: “[Queste canzoni] le ho scritte per molti motivi, fra cui riconoscermi in una etnìa in un universo più vasto, quello del Mar Mediterraneo”, ha dichiarato Fabrizio de André. E infatti il mare e i pescatori, in particolare, sono i protagonisti di questa canzone: “Ombre di facce, facce di marinai da dove venite dov’è che andate” canta De Andrè che racconta di come questi marinai, tornati dal mare vanno ad “asciugare le ossa dall’Andrea”, in questa taverna in cui troveranno “Gente de Lûgan facce da mandillä” (“Gente di Lugano, facce da tagliaborse”), ma anche “Figge de famiggia udù de bun Che ti peu ammiàle senza u gundun” (“ragazze di famiglia, odore di buono che puoi guardarle senza preservativo”). La strofa successiva, invece, parla di ciò che si mangia alla locanda, ovvero “frittûa de pigneu giancu de Purtufin çervelle de bae ‘nt’u meximu vin lasagne da fiddià ai quattru tucchi paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi” (“frittura di pesciolini, bianco di Portofino, cervelli di agnello nello stesso vino lasagne da tagliare ai quattro sughi pasticcio in agrodolce di gatto”).
Eccone il testo completo-
Umbre de muri muri de mainé
Dunde ne vegnì duve l’è ch’ané
Da ‘n scitu duve a lûn-a a se mustra nûa
E a nuette a n’à puntou u cutellu ä gua
E a muntä l’àse gh’è restou Diu
U Diàu l’è in çë e u s’è gh’è faetu u nìu
Ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
A a funtan-a di cumbi ‘nta cä de pria
E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
Int’à cä du Dria che u nu l’è mainà
Gente de Lûgan facce da mandillä
Qui che du luassu preferiscian l’ä
Figge de famiggia udù de bun
Che ti peu ammiàle senza u gundun
E a ‘ste panse veue cose che daià
Cose da beive, cose da mangiä
Frittûa de pigneu giancu de Purtufin
Çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
Lasagne da fiddià ai quattru tucchi
Paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
Emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
Finché u matin crescià da puéilu rechéugge
Frè di ganeuffeni e dè figge
Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
Che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na crêuza de mä
Non è un caso che la canzone che dà il nome all’album sia diventata anche quella che ha accompagnato l’inaugurazione, a Genova, del nuovo Ponte Morandi, il ponte “Genova San Giorgio”, perché di quella città non solo usa la lingua, ma ne racconta la vita, usandone anche le voci reali, inserite proprio all’interno dello storytelling. Per l’occasione ne è stata fatta una versione nuova, ideata da Dori Ghezzi, insieme a Sony Music, Nuvole Production, Fondazione Fabrizio De André Onlus, Mauro Pagani e Stefano Barzan. Una nuova versione nata con la collaborazione di 18 artisti: Mina, Zucchero, Diodato, Gianna Nannini, Mauro Pagani, Giua, Vinicio Capossela, Vasco Rossi, Paolo Fresu, Vittorio De Scalzi, Jack Savoretti, Antonella Ruggiero, Francesco Guccini, Ivano Fossati, Ornella Vanoni, Giuliano Sangiorgi, Cristiano De André, Sananda Maitreya.
“La possibilità di realizzare una nuova versione di Crêuza de mä, per l’inaugurazione del Ponte mi ha coinvolta in modo particolare e insieme a me ha appassionato la maggior parte dei più bravi cantanti italiani, purtroppo non è stato possibile far partecipare tutti – ha spiegato Dori Ghezzi, artista e presidente della Fondazione Fabrizio De André Onlus – Voglio ringraziarli tutti per la passione messa in questo lavoro e anche per l’amore dimostrato nei confronti di Fabrizio”.
Chi vuole ascoltarne l’interpretazione di Faber (con il figlio Cristiano) nel video di un concerto dal vivo:
https://www.youtube.com/watch?v=78YNQ7zzxvQ
E di seguito il link per vedere e ascoltare la nuova versione voluta da Dori Ghezzi:
Tiziano Franzi