Crisi climatica e vegetazione. In questi tempi di crisi climatica (la definizione di “cambiamento climatico” è errata perché troppo riduttiva).
di Tiziano Franzi
Ci si pone il problema – tra molti altri – del miglioramento della vivibilità negli agglomerati urbani, dove la cementificazione ha reso quasi invivibile la vita quotidiana nei mesi esiti, a causa dell’aumento costante delle temperature.
Per questo, una delle soluzioni possibili è quella di aumentare considerevolmente il numero di alberi nel tessuto urbano, preferendo quelli a latifoglia, al fine di migliorare la circolazione della CO2, l’ossigenazione dell’ambiente e la vivibilità da parte dei cittadini.
La situazione climatica nel Mar Mediterraneo
Ma mentre ci si preoccupa- giustamente- di ciò che avviene sul suolo, molto meno si fa per ciò che accade nei mari, particolarmente in quello delle nostre coste.
Il mare Mediterraneo è sostanzialmente un mare chiuso, le cui acque confluiscono dallo stretto di Gibilterra. Qui il fondale marino presenta un brusco innalzamento, facendo dello stretto un vero e proprio sbarramento idrico, con conseguente influenza sulla temperatura delle acque.
La temperatura del Mar Mediterraneo è influenzata da una serie di fattori, tra cui la latitudine, la profondità, le correnti marine e il clima. La temperatura media della superficie del mare è di circa 14 °C, ma può variare notevolmente a seconda della stagione e della zona.
Nel periodo estivo, la temperatura del Mar Mediterraneo può raggiungere i 25-27 °C, con punte anche di 30 °C. Le zone più calde sono il Mar Tirreno, il Mar Ionio e il Mar Mediterraneo centrale. Le zone più fresche sono il Mar Adriatico e il Mar Egeo.
Il problema del surriscaldamento delle acque superficiali del Mar Mediterraneo è una delle principali concause non solo dell’innalzamento della temperatura sulla terraferma, con punte ogni anno sempre più elevate, ma anche della modificazione progressiva della flora e della fauna marina mediterranea. Afferma a questo proposito il climatologo del Cnr Massimiliano Pasqui: «Le temperature delle acque superiori sono cresciute di oltre di tre gradi. Questi fenomeni ci sono sempre stati, ma è cambiata la loro l’intensità e di conseguenze dei temporali ad essi associati. Sul Tirreno settentrionale in superficie il mare ha temperature oltre i 27 gradi. In pratica di 3-4 gradi sopra la media del periodo. Anche se può sembrare poco, dal punto di vista dell’energia sprigionata è tanto. Sono temperature da mari tropicali. Per dire: ai Caraibi siamo sui 30 gradi e il trend di crescita delle temperature negli ultimi 20 anni è paurosamente chiaro. »
Le variazioni di temperatura del Mar Mediterraneo sono dovute a una serie di fattori, tra cui:
-
La latitudine: le zone più meridionali del Mar Mediterraneo sono più calde delle zone più settentrionali.
-
La profondità: le zone più profonde del Mar Mediterraneo sono più fredde delle zone più superficiali.
-
Le correnti marine: le correnti calde provenienti dal Mar Rosso e dall’Oceano Atlantico riscaldano le acque del Mar Mediterraneo.
-
Il clima: il clima mediterraneo è caratterizzato da estati calde e secche e inverni miti e piovosi.
Le variazioni di temperatura del Mar Mediterraneo possono avere un impatto significativo sulla vita marina, sulle attività economiche e sul turismo. Ad esempio, un aumento della temperatura del mare può causare lo stress e la morte di alcune specie marine, come i
coralli. Inoltre, un aumento della temperatura del mare può rendere più
difficile la navigazione e può aumentare il rischio di incendi boschivi.È importante monitorare le variazioni di temperatura del Mar Mediterraneo e adottare misure per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
Il Mar Mediterraneo è connesso con l’Oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra che ha una profondità media di 300 m e che raggiunge una profondità massima di 900 m. Attualmente lo stretto di Gibilterra consente uno scambio idrico continuo tra il bacino del Mediterraneo e l’oceano.
Se il circolo delle acque del Mare Mediterraneo non viene modificato da interventi artificiali da parte dell’uomo (come sta accadendo) l’acqua più fredda (circa 12 °) entra da Gibilterra negli strati profondi , mentre quella più calda ne fuoriesce negli strati più alti (ciò che è caldo tende a salire rispetto a ciò che è freddo).
Le correnti superficiali mediterranee si originano tutte dall’afflusso di acqua atlantica e seguono in prevalenza gli andamenti di tipo ciclonico, cioè antiorario. L’acqua atlantica, più fredda ma meno salata (motivo per cui rimane in superficie) entra nel Mediterraneo dopo aver lambito le coste del Marocco. Una volta varcato lo stretto di Gibilterra viene spinta a sud e segue prevalentemente la costa nordafricana dando origine alla corrente algerina, ma una parte della massa d’acqua, scontrandosi con la corrente anticiclonica del mare di Alborán, si biforca verso nord in direzione delle isole Baleari.
La corrente algerina, nel prosieguo del suo corso, si biforca nuovamente: una parte prosegue verso il canale di Sicilia, un’altra invece risale verso la Corsica e unendosi alla parte che fin dall’inizio si era diretta verso le Baleari dà origine alla corrente ligure provenzale catalana che scorre verso ovest lambendo le coste liguri, francesi e catalane e attraversando il Golfo del Leone. I bassi fondali del canale di Sicilia fanno sì che la corrente algerina si biforchi nuovamente, una parte risale infatti verso il Tirreno dando origine a una corrente ciclonica che in parte lambisce le coste liguri e si riunisce con la corrente ligure-provenzale catalana.
La parte di corrente algerina che riesce a valicare il canale di Sicilia attraversa dapprima un’area prospiciente le coste della Tunisia e della Libia caratterizzata da correnti anticicloniche (il Golfo della Sirte) e poi forma la corrente africana che scorre lungo il mare di Levante dando origine alla corrente dell’Asia Minore che lambisce la costa Turca fino a Rodi. Nell’Adriatico, nello Ionio e nell’Egeo vi sono altre correnti minori di tipo ciclonico. Oltre alle citate correnti costiere vi è la corrente centro-mediterranea che scorre sopra la dorsale mediterranea in direzione Creta e Cipro.
La corrente intermedia, costituita dallo strato d’acqua compreso fra i 200 e i 500 metri è interessato da un movimento in senso opposto a quello delle correnti di superficie. Origina infatti dal mar di Levante, il tratto di Mediterraneo con i più elevati valori di salinità, (si raggiunge qui il 39,1 per mille di salinità). D’inverno, con il calo della temperatura, si ha un aumento della densità dello strato superficiale che “comprime” lo strato d’acqua inferiore dando origine alla corrente intermedia.
Questa corrente è divisa in un ramo principale che percorre l’intero Mediterraneo e due rami secondari che attraversano l’uno il Golfo della Sirte e l’altro, più cospicuo, lo Ionio fino a entrare nell’Adriatico dove incontra le fredde acque invernali per poi uscire nuovamente dallo stretto di Otranto.
Il ramo principale si dirige invece verso il canale di Sicilia dove, a causa dei fondali bassi e della portata della corrente di superficie, deve dividersi in due stretti passaggi laterali situati a quote diverse. L’acqua proveniente dal più settentrionale si dirige verso il Tirreno dove fa un lungo giro antiorario e in gran parte esce per ricongiungersi con il ramo secondario e risalire verso la Sardegna per poi seguire la costa francese e spagnola e uscire dallo Stretto di Gibilterra. Dalle analisi degli oceanografi pare che una goccia d’acqua entrata dallo stretto di Gibilterra impieghi circa 150 anni per compiere tutto il “giro” e ritornare, profondamente modificata nella composizione, all’oceano Atlantico.
Le correnti di profondità interessano due aree del Mediterraneo: il bacino ligure provenzale e lo Ionio. In entrambi i casi le correnti originano nella stagione invernale in seguito a un rapido raffreddamento delle acque provocato dal vento. Nel primo caso il maestrale raffredda rapidamente le acque al centro del Golfo del Leone. In seguito all’aumento di densità l’acqua si dirige verso il fondo, sino ai 2000 metri di profondità, contribuendo al lento ricambio delle acque profonde. Nel bacino orientale è la Bora che, abbassando la temperatura delle acque nel mare Adriatico, origina una corrente diretta verso sud che si inabissa oltre il canale di Otranto e contribuisce al ricambio delle acque profonde dello Ionio.
Su questo positivo flusso ciclico delle correnti nel Mediterraneo intervengono elementi geografici, floristici e faunistici . Cos’ i cosiddetti “canyon” sottomarini ne accelerano la velocità, così come la presenza di molti animali marini, fra cui il calamaro che, con il suo caratteristico movimento dal basso all’altro e viceversa è un formidabile “ascensore” dell’acqua in cui vive.
Ma per la vita in mare sono molto importanti anche le piante acquatiche e, in particolare, la posidonia.
La posidonia e i suoi effetti benefici sul clima
Nell’ecosistema costiero del mar Mediterraneo un ruolo fondamentale è svolto dalla Posidonia oceanica.
Grazie al suo sviluppo fogliare essa produce un’alta quantità di ossigeno, fino a 20 litri al giorno per ogni metro quadrato di prateria. Contribuisce inoltre al consolidamento dei fondali e delle spiagge, proteggendole dalla erosione. Ma soprattutto le sue praterie marine sono l’ambiente ideale per la crescita di pesci, crostacei e altre forme di vita, costituendo una vera e propria nursery delle specie ittiche.Le praterie sommerse di Posidonia oceanica , infatti, rivestono un importante ruolo di protezione delle coste dall’erosione, stabilizzazione e consolidamento dei fondali, ossigenazione delle acque, produzione ed esportazione di grandi quantità di materia vegetale. Inoltre, la notevole sensibilità di questa pianta marina ad ogni perturbazione naturale o artificiale, la rende un ottimo indicatore biologico per determinare le qualità delle acque marine costiere.
La Liguria possiede oltre 350 km di costa, su cui insistono un denso insediamento abitativo e produttivo, nonché una diffusa portualità. L’ambiente marino costiero ligure è caratterizzato da un litorale molto vario che ospita ambienti meritevoli di salvaguardia e una preziosa biodiversità, dalle praterie di Posidonia oceanica al coralligeno, senza dimenticare il prospiciente Santuario dei Cetacei.
L’Arpal (Agenzia regionale per la protezione ambientale) effettua il monitoraggio dell’ambiente marino costiero ligure dal 2001.
In ogni corpo idrico sono posizionate le stazioni di misura e di campionamento di acque, sedimento, fitoplancton, macroinvertebrati e, dove presenti, macroalghe delle coste rocciose e Posidonia oceanica, per un totale di più di 180 punti di campionamento.
CORPO IDRICO Elementi FISICO-CHIMICI IDRO MORFOLOGICI
FITO PLANCTON
MACRO ALGHE
POSIDONIA
MACRO INVERTEBRATI
1 Capo Mortola X
X
X
X
2 Ventimiglia-Bordighera X
X
X
X
3 Sanremo X
X
X
X
4 Santo Stefano al mare X
X
X
X
5 Imperia X
X
X
X
6 Diano Marina – Andora X
X
X
X
7 Laigueglia-Albenga X
X
X
X
8 Ceriale-Finale X
X
X
X
9 Noli-Bergeggi X
X
X
X
10 Vado Ligure X
X
X
X
11 Savona X
X
X
X
12 Varazze-Arenzano X
X
X
X
13 Genova Voltri X
X
X
X
14 Genova Polcevera X
X
X
X
15 Genova Bisagno X
X
X
X
16 Genova – Camogli X
X
X
X
17 Portofino X
X
X
X
18 Portofino-Zoagli X
X
X
X
19 Chiavari – Sestri Levante X
X
X
X
20 Sestri Levante – Riva Trigoso X
X
X
X
21 Moneglia-Levanto X
X
X
X
22 Punta Mesco X
X
X
X
23 Cinque Terre X
X
X
X
24 Portovenere X
X
X
X
25 Golfo la Spezia X
X
X
X
26 Foce Magra X
X
X
X
Arpal ha intrapreso il monitoraggio dei posidonieti nel 2002, nell’ambito del progetto ministeriale “Programma per il controllo dell’ambiente marino costiero”. Il monitoraggio, proseguito in continuo sino al 2006 ha previsto indagini su campo (balisage- che prevede la messa in mare di corpi morti posizionati lungo il limite della prateria, in modo da permettere, nel corso degli anni, di valutare eventuali variazioni dell’estensione della prateria- e rilievo di parametri visivi) e analisi in laboratorio (analisi fenologica- che si avvale dello studio di parametri utili a descrivere lo stato di salute delle piante- e lepidocronologica- che consiste nello studio dei cicli di vita delle foglie di Posidonia oceanica) in tre stazioni poste in prossimità del limite inferiore di tre praterie: Imperia, Varazze-Arenzano e Punta Mesco.
A partire dal 2008 la rete di monitoraggio delle praterie di Posidonia oceanica è stata estesa per rispondere a quanto richiesto dalla Direttiva 2000/60/CE. Sui complessivi ventisei corpi idrici individuati nella nostra regione, sedici ospitano praterie di Posidonia oceanica per un totale di diciannove posidonieti, da monitorare ogni tre anni (primo triennio 2009-2011), secondo quanto riportato dal D.M. 56/09. In ciascuna prateria sono state fissate due stazioni sulla batimetrica dei 15 m in cui effettuare indagini su campo ed in laboratorio. Inoltre, è stato deciso di mantenere il monitoraggio del limite inferiore, con ciclo triennale, solamente in una delle tre praterie monitorate dal 2002, Imperia.
Purtroppo, attualmente la Posidonia è in forte regressione in tutto il bacino del Mediterraneo, a causa dell’inquinamento chimico, ma anche delle opere di protezione costiera e dell'”aratura” dei fondali provocata dalle ancore delle barche e dalla pesca a strascico abusiva, sotto costa.
La realtà della costa di Varazze
“Il tratto di costa che prenderemo in esame, si sviluppa per circa 5 Km ed è ubicata sul lungomare Europa, che ripercorre la dismessa sede ferroviaria che fu costruita tra il 1860 e il 1868 ed in funzione fino al 1970; questo tratto costeggia il mare in un paesaggio incantevole, dominato da scogli bianchi e neri che costituivano un tempo punti di riferimento per pescatori e marinai.
La litologia del luogo è caratterizzata da rocce appartenenti a due tipi ben distinte di formazioni; nella prima parte del percorso, ad occidente, vi è la presenza di metagabbri, rocce metamorfiche di colore chiaro per la presenza di cristalli di plagioclasio, con macchie verdastre dovute invece all’inclusione di cristalli di pirosseno; sono chiamati localmente “i Gianchi”. Circa a metà del nostro itinerario, presso la località chiamata Baia del Corvo, si incontra una zona dove rocce di colore chiare (metagabbri), lasciano spazio a rocce dal colore grigio scuro (contatto litologico); quest’ultime sono serpentiniti, rocce ultrafemiche metamorfizzate appartenenti alla famiglia delle peridotiti, in cui tutti i minerali che la compongono (olivina, pirosseno e a volta anfiboli) si sono trasformati in serpentino. Queste formazioni rocciose ci accompagneranno per tutta la seconda parte del nostro percorso, fino a Cogoleto; in gergo locale sono chiamati “i Neigri”, da qui il comune nome vernacolo dato alla passeggiata dei Gianchi e dei Neigri (Bianchi e Neri).Su alcuni fondali prospicienti questo tratto di mare vi sono anche delle colonie di fanerogame marine, la Posidonia oceanica e la Cymadocea nodosa; tra le fanerogame marine la Posidonia è la più importante, perché essa modifica significativamente il profilo del fondale marino e crea l’habitat per la vita di altri organismi marini, tra le sue foglie trovano rifugio varie specie ittiche, quali castagnole, corvine, dentici ecc..
Oltre alle sue importanti caratteristiche ecologiche, la Posidonia ci racconta una storia iniziata nel periodo Cretaceo (120 milioni di anni fa); in quel periodo, le coste dell’attuale Mediterraneo, quelle dell’India e della futura Australia, erano bagnate dallo stesso mare chiamato Mesogea. In seguito, la tettonica delle placche le ha portate nella posizione attuali, ma il fatto che oggi le specie di posidonie si trovino nel Mediterraneo e nelle coste meridionali dell’Australia, testimonia come un tempo fossero bagnate dallo stesso mare, dove viveva una specie chiamata Posidonia cretacea,che poi successivamente si è differenziata nelle specie che oggi vivono rispettivamente nel Mediterraneo e in Australia [vedi articolo Le fanerogame marine, primo paragrafo intitolato L’origine delle fanerogame marine].
Tutta la fascia costiera descritta, è inclusa nel Geoparco del Beigua ed è tutelata ai fini di mantenere intatto, anche per le generazioni future, questo meraviglioso scrigno di Geodiversità e Biodiversità.”[Luoni Ottavio in:http://www.biologiamarina.eu/Tra_rocce_e_mare.html ]
“Il margine inferiore della prateria è situato a circa 18 m; la prateria è piuttosto densa ed il ricoprimento è pari al 70% con piccole zone scoperte e con piante insediate sia su sabbia che su matte. Procedendo verso riva si aprono poi ampie zone sabbiose e il margine della prateria assume un andamento con rientranze e diteggiature e sono presenti diversi canali sabbiosi intermatte. Il limite superiore riscontrato è posto a 7. La posidonia insediata nella fascia batimetrica 7-10 m ha una densità di conteggio di 150 fasci/mq ma con un ricoprimento del 60% tale che la densità viene ridefinita e stimata pari a 126 fasci/mq: secondo il DGR della Liguria n°773 del 2003 in tale intervallo batimetrico la prateria è dunque da ritenere in condizioni “non soddisfacenti”. Già una pubblicazione dell’ENEA del 1993, relativa alle indagini volte alla valutazione del danno ambientale causato dall’incidente della M/t Haven, riporta che alla foce del torrente Arrestra – alla profondità di 9 m – la prateria di posidonia avesse valori di densità di 366 fasci/mq (rilievi 1991) e di 300 fasci/mq (rilievi 1992) con un ricoprimento però bassissimo, pari al 5%: applicando la medesima formula di conversione adottata per la presente indagine risulta quindi che la densità calcolata fosse di circa 50 fasci per metro quadrato, addirittura inferiore a quelli stimata attualmente e comunque tale da confermare le considerazioni precedentemente presentate. Nella fascia batimetrica 10-14 m, la prateria ha una densità stimata di 242 fasci/mq e si presenta densa ed in buone condizioni (valore minimo soddisfacente = 160 fasci/mq). Ugualmente tra le profondità di 14 e18 m, le condizioni del posidonieto sono buone e la densità stimata è di 109 fasci/mq (valore minimo soddisfacente = 90 fasci/mq). Il limite inferiore presenta tuttavia in alcuni punti dei rizomi scalzati per effetto delle correnti di fondo che esercitano quindi un’azione erosiva.” (Andrea Molinari e Paolo Bernat, in Rilievi subacquei per la caratterizzazione biocenotica dei fondali marini dei Piani d’Invrea (da Punta della Mola a Punta Arrestra)[ in: https://www.rsta.info/wp-content/uploads/2019/05/2013.811-RSTA-relazione-varazze.pdf ]
Lo studioso Maurizio Wurtz, biologo della società Artescienza, professore di Tecniche di Monitoraggio dei Cetacei all’Università di Genova, che dal 1995 al 2001 è stato Conservatore scientifico del Museo Oceanografico di Monaco – Montecarlo e che da anni abita ai Piani d’Invrea , proprio di fronte al mare, ha recentemente dichiarato che la situazione della posidonia nel Mar Ligure è preoccupante e che la sua progressiva scomparsa dai litorali più vicini alla spiaggia è dovuta ai ripetuti (nei decenni passati) e continui riversamenti in mare di detriti che hanno oramai quasi ricoperto il fondale stesso si una melma che impedisce alla posidonia di svilupparsi, con le ovvie conseguenze anche sulla crisi climatica.
Appare quindi di importanza estremamente rilevante la necessità di procedere a un efficace riforestazione della Posidonia Oceanica, per difendere le nostre coste e per migliorare quella circolazione di CO2 che, ogni anno di più, diventa fondamentale per la sopravvivenza della stirpe umana e per il mantenimento della biodiversità. Questo intervento è già in atto al largo di Sanremo da parte della International School for Scientific Diving e dall’Università di Genova. Ci auguriamo che questo progetto venga esteso anche alle più importanti praterie di Posidonia presenti lungo la costa ligure e, in particolar modo , per quella di Varazze.
I pericoli del rigassificatore
La possibilità (per ora rimane tale) di posizionare una nave rigassificatrice al largo tra Savona e Bergeggi preoccupa non poco chi ha a cuore la tutela dell’ambiente marino e della posidonia in particolare. Un rigassificatore, infatti, riceve da altre navi il metano in forma liquida (il GNL, gas naturale liquefatto) a una temperatura di circa -160°C. A quel punto lo riporta allo stato gassoso, così da immetterlo nella rete nazionale di trasporto del gas. Nello specifico, gli impianti utilizzano l’acqua di mare come fonte di calore per riportare il gas alla temperatura ambiente, scaricando in mare acqua a temperature molto basse. Vi sono molte perplessità al riguardo perché si teme un danneggiamento dell’ecosistema marino a causa del cloro rilasciato dalla nave e degli sbalzi termici creati durante il processo di rigassificazione.
Tiziano Franzi