Nella seconda metà dell’Ottocento, con lo sviluppo delle ferrovie, le stazioni sono divenute uno dei punti di riferimento fondamentali nella toponomastica e nella vita delle città.
di Massimo Ferrari*
Prima di allora erano state le porte, spesso ricavate nella cinta muraria, oppure i moli marittimi, i punti di accesso ai borghi più o meno importanti. Dopo questo ruolo fondamentale, quasi sempre, è stato assunto dalle stazioni. Che lo hanno mantenuto non solo durante l’epoca del monopolio del treno nei trasporti terrestri, ma anche una volta perduta la supremazia in favore dell’auto e dell’aereo.
Infatti, nonostante la maggior parte degli spostamenti a breve distanza avvenga da tempo su gomma, nessuno si sognerebbe di collocare in un casello autostradale, anonimo per quanto trafficato, la porta d’accesso di una città. E tanto meno in una stazione di bus, strutture spesso, per altro, assenti nel tessuto urbano della nostro Paese. Gli aeroporti rivestono ormai indubbiamente una funzione primaria nei viaggi internazionali ed a lunga distanza, ma, ubicati come sono fuori dalle città – talvolta a notevole distanza dal centro – non vengono generalmente percepiti come un luogo tipicamente urbano.
Per quanto il treno abbia subito una fase di decadenza durata oltre mezzo secolo – da cui forse solo ora sta davvero uscendo – nelle città europee la stazione continua a costituire il luogo deputato agli arrivi ed alle partenze. Anche perché, se è vero che il treno non costituisce più il vettore privilegiato per le relazioni a lungo raggio, il diffondersi dei collegamenti su rotaia verso gli aeroporti ha fatto sì che anche una parte non trascurabile dei “frequent flyers” finisca con l’iniziare o concludere il proprio viaggio in una stazione ferroviaria.
Molto più che in America, dove pure si sono conservate relazioni ferroviarie transcontinentali, ma in un contesto di forte diradamento dei collegamenti locali (con le debite eccezioni, come a New York o a Chicago). Per cui può capitare che a Phoenix o Reno possano scendere rari passeggeri al termine di un interminabile viaggio “coast to coast”. Ma in una stazioncina ridotta ai minimi termini, di cui molti abitanti del luogo nemmeno conoscono l’ubicazione. In Europa no.
E nemmeno in Italia. Le stazioni delle grandi e medie città del nostro Paese continuano a costituire il cuore pulsante del tessuto urbano, sia nell’aspetto positivo di punto di incontro e d’incrocio per decine di migliaia di passeggeri che ogni giorno passano da lì, sia per il degrado che spesso si respira se non attorno ai binari, certamente nelle immediate vicinanze dell’edificio, meta inevitabile di migranti e sbandati. Nel bene e nel male, dunque, le stazioni sono il biglietto da visita delle città.
E sono anche la testimonianza storica dell’epoca in cui furono realizzate. La Gran Bretagna è disseminata di splendide stazioni che celebrano tuttora la grandezza dell’epoca vittoriana, quando l’Union Jack dominava i mari del Mondo. Ne troviamo notevoli esempi non solo a Londra – a cominciare da St Pancras, riconvertita in capolinea degli Eurostar in arrivo dal continente – ma in ogni angolo dell’ex Impero, dal Victoria Terminus di Mumbay alla remota Dunedin in New Zealand.
A proposito di Imperi, le metropoli che ne furono capitali dispongono quasi sempre di una serie di grandi stazioni di testa, su cui confluiscono i convogli provenienti da tutte le direzioni dell’antico (e talvolta tuttora attuale) dominio. E’ così non solo a Londra, ma anche a Parigi (gare du Nord, gare de l’Est, gare de Lyon, Austerlitz, Montparnasse e Saint Lazare) ed a Mosca. Più modeste le articolazioni ferroviarie a Madrid e Lisbona, che, al momento della nascita delle ferrovie, erano già da tempo in declino. Anche Pechino, nell’Ottocento, era decadente e, umiliata dalle potenze europee, disponeva di una sola stazione. Oggi che sta ritornando una grande potenza (anche e soprattutto ferroviaria) di grandi terminal ne ha inaugurati più di uno.
L’Italia è divenuta uno stato unitario poco dopo la nascita delle ferrovie ed alcune delle sue maggiori stazioni rimandano al clima umbertino di fine Ottocento, come nel caso di Torino Porta Nuova o di Genova, che di grandi stazioni ne possiede due: Brignole e Piazza Principe. Milano Centrale, iniziata prima e conclusa dopo la Grande Guerra, risente di una monumentalità sfarzosa che ha fatto parlare di stile “assiro-babilonese”. Poi è arrivato il ventennio fascista la cui architettura razionalista è ancora ben visibile a Venezia Santa Lucia o a Firenze Santa Maria Novella. Infine l’architettura d’avanguardia si è imposta in anni recenti a Torino Porta Susa, a Napoli Afragola o alla Mediopadana di Reggio Emilia.
Con l’avvento dell’Alta Velocità, all’inizio del nuovo Millennio, il treno è tornato ad essere frequentato dalle classi medio alte e le grandi stazioni sono diventate centri commerciali. Qualcuno storce il naso per questa trasformazione, ma bisogna riconoscere che, almeno all’interno degli edifici, l’impressione di degrado, che rischiava di dilagare, è stata attenuata. In ogni caso anche le stazioni si sono adeguate ai tempi correnti: più attenzione alle dinamiche di mercato e meno cura delle impronte ideologiche (ma, purtroppo, anche dello “spirito di servizio” al cittadino).
La tendenza si è affermata pure nei centri di medie dimensioni – tipicamente i capoluoghi di provincia – a suo tempo interessati dal programma di “Cento stazioni”. Qui, naturalmente l’impatto commerciale è risultato minore, viste le più modeste dimensioni dei possibili business. Qualche volta si sono comunque raggiunti effetti non disprezzabili – per esempio a Parma – in altri casi si sono scomodate archistar come Stefano Boeri per ottenere un risultato obiettivamente modesto, come a Matera Centrale, la cui piastra esterna è certamente notevole, ma che all’interno ospita solo un semplice binario a scartamento ridotto. Tutto dipende, però, dalla potenzialità del sistema ferroviario a contorno. Dove le infrastrutture sono deboli, anche l’impatto sulla città è modesto.
Ci sono poi le migliaia di stazioni site nei centri minori che hanno subito negli ultimi venticinque anni il trauma di un più o meno completo abbandono. Le tecnologie che consentono di regolare la circolazione dei treni da remoto e l’imperativo di ridurre i costi di gestione hanno spesso ridotto queste strutture alla stregua di fermate non presenziate o scarsamente presenziate in molte ore della giornata. Con il conseguente dilagare del vandalismo che di per sé genera una percezione di insicurezza tale da disincentivare molti dall’uso del treno.
Eppure si tratta di edifici spesso collocati nel cuore di piccole località di forte richiamo turistico che possono generare flussi importanti di visitatori, come accade ad esempio sulla Riviera Ligure e come attesta la grande affluenza in treno alle Cinque Terre che comporta persino la necessità di contingentarne gli accessi con strumenti tariffari mirati. In tutti questi casi gli edifici di stazione possono essere trasformati in esercizi economici (bar, ristoranti, punti di noleggio bici) di sicuro interesse.
In altri contesti la stazione, o le pertinenze attigue, possono divenire sede di associazioni, di promozione dei prodotti eno gastronomici locali (come ha fatto meritoriamente Legambiente a Potenza Superiore), presidi della Protezione Civile, della Polizia Locale o della Pro Loco. L’importante è che gli ambienti siano resi accoglienti e forniscano servizi utili. I Sindaci dovrebbero capirlo: anche una piccola stazione può divenire un buon biglietto da visita per il loro comune.
Infine, non mancano edifici di pregevole fattura architettonica che meritano di essere preservati non solo per l’esercizio ferroviario. Si potrebbero elencare molti esempi, ma limitiamoci a poche citazioni. Taormina Giardini è uno splendido edificio che evoca, come la stazione di Toledo in Spagna, atmosfere mediterranee ed orientaleggianti. Alassio, sulla Riviera Ligure di Ponente, presenta un edificio in pietra viva, abbellito da affreschi. Una menzione merita anche Cefalù, in Sicilia. Si tratta di fabbricati che rischiano di essere abbandonati in un prossimo futuro a causa dello spostamento in galleria del sedime ferroviario. Sul loro destino occorre interrogarsi fin da subito.
Massimo Ferrari*
Presidente UTP/Assoutenti