Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Appennino ligure: si sposta di 2 millimetri l’anno verso le Alpi. La scoperta del vulcano in Piemonte


“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto dei suoi più familiari; torrenti, dei quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche”.

di Alesben B.

Il presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia Romagna, Paride Antolini, scrive :”Nella mappa della pericolosità sismica la zona del nostro Appennino è segnalata come ad alta pericolosità”.

“Ancora presto per dare informazioni precise anche se, generalmente si tratta di eventi sismici, che a differenza della zona dei terremoti del cosiddetto Appennino sepolto, come sono stati i terremoti dell’Emilia del 2012, cioè generati da una compressione (faglie compressive appunto), quelli del Mugello e delle zone attigue, sono terremoti generati da faglie distensive. Possiamo insomma dire che nella mappa di pericolosità sismica, la zona del nostro Appennino è segnalata come una delle più pericolose”.

Non solo, quella della notte tra il 26 e 27 settembre 20232 forse ha superato la pericolosità: un terremoto di magnitudo 4.2 è stato registrato nell’area dei Campi Flegrei alle 3.35. Lo ha rilevato l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). La scossa, che si è verificata a una profondità di 3 chilometri, è stata avvertita nei comuni poco distanti, come Pozzuoli e Bacoli. La scossa di magnitudo 4.2 è stata preceduta nella serata di ieri da altre due scosse: una alle 23.36 di magnitudo 2.0 e una alle 22.49 di magnitudo 2.2

E questo lo dice anche la cronistoria ricordando importanti terremoti nella zona del Mugello, con risentimenti ovvi nel versante romagnolo. Con magnitudo superiore a 6 andiamo indietro nei secoli al 1542 e al 1919. Secondo il catalogo parametrico possiamo citare poi quello di Palazzuolo sul Senio (collocato nel versante romagnolo dell’Appennino tosco-romagnolo) del 1892 con magnitudo vicino a 4, e ancora del Mugello con magnitudo 4.6 nel 1931. Sul versante prettamente romagnolo segnalo il sisma datato 1661 nell’Appennino forlivese con magnitudo 6; nel 1688 con magnitudo 5.8; nel 1725 con magnitudo 5.6; nel 1781 nel faentino, la scossa di magnitudo 5.6 per arrivare a quella devastante di magnitudo 6.4 del 1919 che ha avuto come epicentro il Mugello. E sempre il Mugello venne interessato nel 1929 e nel 1939 da eventi importanti di magnitudo uguale o superiore a 5 fino ad arrivare nel 2003 al terremoto (sempre di magnitudo 5) che interessò l’Appennino forlivese”.

Il nostro Appennino si sposta di circa 2 millimetri l’anno verso Nord Est, verso le Alpi per intenderci. Una lenta migrazione e questo trend evolutivo comporta tensioni nelle rocce del sottosuolo, che quando raggiungono certe posizioni sfociano in eventi simili. I terremoti e le frane sono figli dell’evoluzione dell’Appennino.

I terremoti tendono a innalzare le montagne e le frane sono un fenomeno geologico che tendono a demolire le montagne. Perché fondamentalmente la terra è viva. Noi abbiamo un Appennino molto conosciuto e molto studiato.

Possibile prevedere la durata e l’intensità della scia sismica?

“Assolutamente no. Sappiamo di certo che questa ci sarà e già da questa mattina, dopo la scossa più forte di 4.8 l’Ingv ha registrato 18 scosse di intensità variabile tra magnitudo 2 e 3.4. Impossibile sapere se saranno sempre in attenuazione o meno”.

L’equazione tra zona ad alta pericolosità simica come quella romagnola e la massima attenzione nel costruire è sempre stata valida negli anni? ma per quanto riguarda il mettere in sicurezza gli edifici storici non sempre è andata così”.

Si è utilizzato prevalentemente l”eco bonus’, insomma si è trattato di una grande occasione persa per salvaguardare gli edifici datati e renderli meno vulnerabili. Tutte le nuove costruzioni sono antisismiche ma su tutto quel che c’è di vecchio non abbiamo fatto grossi passi avanti nemmeno con il Super bonus che è stato utilizzato per abbellire, in qualche modo le nostre case e per dar loro una maggiore efficienza energetica. E così continuiamo ad avere ‘comuni di polistirolo’.

Negli ultimi due milioni di anni, nell’area italiana si sono avute manifestazioni molto importanti di almeno 2 tipi diversi di vulcanesimo.

Una prima attività vulcanica è legata allo scivolamento della placca del Mar Adriatico sotto quella del Tirreno. La zolla sprofondata ha attualmente raggiunto i 450 chilometri di profondità e dalla sua parziale fusione si sono formati i magmi che hanno dato origine ai vulcani appenninici, dal Vesuvio ai Campi Flegrei, ai laghi craterici laziali (Bolsena, Vico, Bracciano, Albano e Nemi). Anche le emissioni di vapori e gas del Monte Amiata e i vulcani ormai spenti (almeno lo si ipotizza) del Vulture (Potenza) e di Roccamonfina (Caserta) sono legati allo stesso fenomeno.

Una seconda area di attività vulcanica è quella che si manifesta in seguito allo scivolamento della zolla africana sotto il Tirreno. Il fenomeno ha dato origine al vulcano sottomarino Marsili, che è anche il più grande vulcano europeo (65 km di lunghezza e oltre 3.000 m di altezza) e a quelli delle Isole Eolie.

Questi gruppi di vulcani sono tra loro abbastanza simili nel modo di eruttare. I vulcani non sono dunque distribuiti in modo uniforme sulla superficie terrestre, ma per il 99% sono concentrati in alcune aree particolari che, tra l’altro, sono sede di frequenti terremoti.

E vicino a noi a sud est dell’ex polveriera di Vezzi Portio, appena più indietro della ex cava, ai cui piedi dei versanti sono adagiate le abitazioni di Voze località Ganduglia e le estensioni pratifere delle terre rosse, si eleva sulla dorsale due dossi gemelli, con caratteristiche morfologiche ed aspetto esteriore molto simili a quelli del Monte Poggio.

Monte Poggio (1081 m) poco a nord-ovest rispetto ai Piani di Pràglia, sull’ampia e poco definita dorsale che separa la Valle Stura dalla val Gorzente. Si presenta come un regolare cono erboso, riconoscibile anche da molto lontano; per via della sua forma assomiglia molto ad un vulcano spento. Sui versanti affiorano a più riprese rocce peridotitiche, dal caratteristico colore bruno-rossastro.

La cima della montagna è costituita da due dossi gemelli; il dosso occidentale è il più alto, ed è sormontato da una grande croce metallica e da un cippo in cemento con annessa piccola croce; il dosso orientale è di pochi metri più basso, ed è segnalato da un grosso ometto di pietre.

Poco sotto alle roccette del dosso sommitale si trovano alcuni ruderi di muretti a secco.
Il Monte Poggio è una delle cime più belle e panoramiche del Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo: offre una spettacolare vista a 360 gradi, con il mare, l’Appennino Ligure (bella la vista sull’altopiano della Scaggia e sulla Punta Martìn, o anche la vista ravvicinata sull’alta Val Gorzente, completamente disabitata, e sul Monte delle Figne), la Pianura Padana e gran parte dell’arco alpino sullo sfondo.

Più a nord, ai margini delle Alpi Pennine affiora silenziosamente il Supervulcano detto dei”Vini” tra la Valsesia e la Valsessera ormai da parecchio tempo, anzi da millenni. Le sue dimensioni non sono trascurabili. La sua bocca misurava ben quindici chilometri di diametro.

Come mai non se ne erano accorti prima? Forse perché è sprofondato su se stesso e la catastrofe è avvenuta in lontane ere geologiche e quindi prima che potesse essere visto da occhi umani.

Nonostante questo, il Vulcano in Piemonte, celato da svariati millenni, è stato recentemente scoperto da un gruppo di scienziati italiani e americani. Questo ritrovamento non è stato affatto casuale se si considera che la zona era già conosciuta dai geologi per le sue particolarità e da quasi cento anni gli abitanti della Valsesia hanno visto studiosi di varie nazionalità visitare le loro terre, credendoli però attirati dalle vecchie miniere, ma la vera ragione era più profonda e dovuta al particolare assetto geologico della regione.

Qui, come spiegano gli addetti ai lavori, l’orogenesi alpina ha causato il ripiegamento dell’antica crosta continentale che, di conseguenza, è stata sollevata ed esposta all’erosione.

Alesben B.

 


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